Te piace o’ presepio?

Chi, almeno una volta nella vita, non ha ripreso la frase – tormentone della commedia “Natale in Casa Cupiello”, per intenderci quella che Eduardo, nei panni di Luca, rivolgeva al figlio sfaticato: Te piace ‘o Presebbio? Quasi automaticamente a questa domanda scatta nell’interlocutore che conosce “fatti e persone” la risposta, la stessa risposta di Nennillo: “No”. Ma questa risposta non è vera, perché il presepe piace davvero un po’ a tutti, in quanto al di là delle confessioni religiose, è davvero difficile non apprezzare una delle forme più popolari di artigianato napoletano che in certi esemplari raggiunge vette artistiche davvero alte.
Questa ultima coda di novembre è già un periodo maturo per cominciare a preparare un presepe familiare, come in tanti fanno sull’isola di Ischia, negli ultimi anni invogliati ancora di più dal concorso dell’Associazione Italiana Amici del Presepe Sezione di Ischia che premia i presepi più belli realizzati in famiglia. Dalla raccolta del muschio, alla composizione delle casette, dall’acquisto dei pastori, alla predisposizione dei giochi d’acqua, fino alla sistemazione di tutti i figuranti sulla scena, preparare un presepe è un’attività divertente che mette insieme grandi e piccini. Un’attività anche formativa per i più piccoli perché attraverso un gioco che consiste nel creare un magico mondo in miniatura possono esprimere la loro fantasia, cimentarsi in una manualità che è anche delicata e per certi versi difficile, cercare soluzioni logistiche, far emergere il lato artistico che dorme in ogni uomo, benché implume! Un’attività formativa anche per quanto riguarda l’aspetto culturale poiché del presepe sarà necessario spiegare il significato, narrarne la storia, raccontare della nascita di Gesù nella capanna, parlare dei favolosi re Magi, della stella cometa.
Dal presepe familiare al presepe artistico, il passo è breve.
In tutti i comuni dell’isola di Ischia non si contano le associazioni, i comitati, i gruppi appassionati di questa forma di artigianato che ogni anno allestiscono bellissimi presepi che entreranno a far parte dell’itinerario presepistico isolano per la gioia di isolani e turisti, soprattutto questi ultimi ammaliati dal presepe dei presepi: quello napoletano.
Per capire quanto è forte la febbre del pastore napoletano, basta recarsi in questi giorni a San Gregorio Armeno, uno stretto vicoletto dentro al “corpo di Napoli” che per 10 mesi non diciamo che è deserto – in quanto a Napoli non esiste questo stato fisico – ma è un “vicolo normale”. Poi nell’avvicinarsi a Natale diventa il polo magnetico dove sembrano convertire tutta la città e tutte le “genti straniere”. Nel fine settimana decine e decine di pullman si fermano a piazza San Domenico, e lasciano uscire un fiume di turisti provenienti da tutte le regioni di Italia, con un primato assoluto di Puglia e Sicilia. Si incanaleranno pazienti a formare il serpentone umano che con molta lentezza conduce nella strada dei presepi, dove si sta stretti come sardine e non si riesce a fare un passo. Ma la febbre del pastore vuole questo e altri sacrifici sui suoi altari.
Al di là della battuta, quelle migliaia di persone hanno ragione. Perché il pastore napoletano è una vera forma di arte, basta guardare i prezzi di quelli più raffinati.
Per farci venire poi le vertigini basterà recarci al museo di San Martino che ha una delle più belle collezioni di presepi, tra cui spicca il celeberrimo presepe Cuciniello, su cui sono stati scritte intere monografie come Il presepe Cuciniello di Teodoro Fittipaldi, edito dall’Electa.

Ti piace o’ presepe? Ma ne sai la storia?
Per avere notizie del presepe a Napoli dobbiamo andare parecchio indietro nel tempo nel terribile anno 1000, il 1025 per l’esattezza, data di un documento che menziona la Chiesa di S. Maria del presepe.
Ma dobbiamo attendere un medioevo più maturo, il 1400, per trovare notizie dei primi figurarum sculptores, artigiani che realizzano sacre rappresentazioni in chiese e cappelle napoletane. Tra le cappelle più importanti ricordiamo: San Giovanni a Carbonara, Santa Chiara, San Domenico Maggiore, Sant’Eligio.Queste figure sono più grandi dei pastori che conosciamo: sono di legno, sono policrome e sono di grandezza naturale vengono collocate davanti ad un fondale dipinto; poi, nel corso del tempo, i primi paesaggi in rilievo sostituiscono il fondale dipinto e oltre al bue e all’asinello, via via si aggiungono altri animali. Man mano che cresce l’interesse per la scena, le figure si rimpiccioliscono e nel 1627 i padri Scolopi realizzeranno il primo presepe mobile a figure articolabili.
Il ‘700 sarà il secolo d’oro del presepe napoletano.
E’ l’epoca del regno di Carlo III di Borbone, che dà nuova energia alla fioritura culturale e artistica napoletana e quindi anche alla produzione presepiale. Nasce nell’età dei lumi il pastore che conosciamo noi! La statua scolpita viene sostituita da manichini con un’anima di fil di ferro, arti in legno e teste di terracotta. La frenesia del presepe a Napoli è davvero altissima nel ‘700 e non risparmia le teste coronate: il re si cimenta in ingegnosi congegni, la regina e le dame di corte cuciono i vestitini. Forse fu allora che scattò la prima volta la domanda “ti piace o’ presebbio? Luigi Vanvitelli scrivendo al fratello Urbano lo liquidò come “una “ragazzata”. A lui – come a Ninnillo – il presepe proprio non piaceva!

 

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