I sette vizi capitali: la superbia

Per San Tommaso erano otto, per altri ancora di più, ma la tradizione che ci è giunta parla di sette vizi capitali.
Tema di etica in odore di medioevo latino dove i trattati sull’argomento fioccavano, tema oggi rimosso da ogni conversazione, discorso, dallo stesso linguaggio, il tema dei peccati o vizi capitali invece andrebbe ogni tanto rispolverato un po’ per gioco, un po’ sul serio.

La classifica dei vizi, in ogni epoca, vede scattare in vetta la superbia, giacché Initium omnis peccati superbia est .
Superbia che significa anche voler essere come Dio o, in certi casi essere proprio Dio. Eritis sicut dei dice il serpente ad Eva “sarete come dei, conoscendo il bene e il male.”
Insomma nasce proprio con l’uomo la superbia!

Peccato dei peccati se anche Lucifero cadde sotto i colpi della Superbia. Dante identifica questo angelo caduto, prototipo del bello e dannato, come primo e tipico esempio di superbia “ E ciò fa certo che ‘l primo superbo, / che fu la somma d’ogne creatura, / per non aspettar lume, cadde acerbo. Sappiamo che Lucifero per questo suo peccato venne punito da Dio che lo sprofonda nelle viscere della terra come ci ricorda sempre Dante nel XXIX del Paradiso “Principio del cader fu il maladetto / superbir di colui che tu vedesti / da tutti i pesi del mondo costretto.

E allora andiamo a vedere come viene trattato questo vizio dei vizi nella letteratura e nella iconologia: “ Donna bella, e altera, vestita nobilmente di rosso, coronata d’oro di gemme in gran copia, nella destra mano tiene un Pavone, e nella sinistra uno Specchio, nel qual miri, e contempli se stessa. (…) Il vestimento rosso, ci fa conoscere, che la Superbia si trova particolarmente ne gli uomini colerichi, e sanguigni, li quali sempre si mostrano alteri, sforzandosi mantenere questa opinione di se stessi con gli ornamenti esteriori del corpo.

E’ quanto scrive Cesare Ripa nella sua Iconologia, un best seller della fine del XVI secolo, dove si tratteggia anche una tipologia ben precisa dell’uomo superbo: temperamento sanguigno e incline alla collera, dice Ripa, che si mostra altero e – attenzione alla sottigliezza psicologica di questo passaggio – si sforza di mantenere questa opinione di se stesso attraverso gli ornamenti del corpo, i bei vestiti ed i gioielli! Fa quindi capolino da questo ritratto psicologico una insicurezza di fondo che getta una luce da lettino freudiano su questo tipo di peccatore.
Insomma il superbo appare proprio come un tipo di mistificatore, che gode del vantaggio di ingannare per primo se stesso.

Nel Dottor Faust di Marlowe quando Lucifero fa entrare i sette peccati il primo è della lista è la superbia:
“ Io sono la superbia (…) Sono come la pulce d’Ovidio: posso insinuarmi in ogni secreto cantuccio d’una ragazza; a volte come una parrucca poso sulla sua fronte; poi come una collana le pendo attorno al collo; poi come un ventaglio di piume le bacio le labbra; ed infine mutandomi in una camicia ricamata faccio quel che mi piace. Ma oibò che puzza è qui! Non dirò una parola di più, se il pavimento non vien profumato e coperto d’arazzi”.
La superbia può spuntare dovunque ci dice Marlowe e d’altra parte sarà proprio uno dei peccati maggiori del suo personaggi maledetto: Faust è ammalato di superbia, non ha limite e per questo convoca il demonio illudendosi poterlo manipolare e di farla franca.

Superbia che non è un peccato solo del singolo, ma che riverbera i suoi raggi nefandi sull’intera società.
A puntare il dito contro la superbia Tommaso Moro che nell’Utopia la presenta come una belva mostruosa, madre e signora di tutte le calamità, un “serpente infernale che impedisce all’uomo di imboccare la strada che lo conduce ad una vita migliore”.
Il punto di vista etico- sociale di Tommaso Moro è spiegato magistralmente in questo passo di Cosimo Quarta nel suo libro “ Tommaso Moro. Una reinterpretazione dell’Utopia”.

“ Se la superbia è secondo la definizione di Agostino il desiderio disordinato di una perversa grandezza, non v’è dubbio che gli strumenti di cui gli uomini si sono serviti per soddisfare quell’insano appetito sono appunto l’economia e la politica. Sotto l’influsso malefico della superbia l’economia ha perduto la sua funzione autentica e originaria di gestione equa e razionale dei beni, trasformandosi in strumento per la soddisfazione della brama inestinguibile di ricchezze e di denaro, di un solo o di pochi; sotto il medesimo nefasto influsso la politica da gestione equa e originaria della società è diventata strumento di dominio dell’uomo sull’uomo. Superbo come dice ancora Agostino è colui il quale non tollera di essere uguale agli altri colui che vuole ad ogni costo primeggiare sugli altri per dominarli. Superbo è colui che dunque brama il potere sia economico che politico. Di qui la proposta di Tommaso Moro pichè per la sua intrinseca debolezza l’uomo è tentato a farsi dio all’uomo, l’unico modo, l’unico modo di non farlo cadere in tentazione è quello di sottrargli l’oggetto dei suoi appetiti ossia il potere. Una volta tolto il potere anche la superbia venendo a mancare il proprio oggetto finirebbe con l’estinguersi”.
L’estinzione della superbia? Un’utopia, of course.

 

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