QUANDO PASSAVA L’ACCONGIAPIATTI E ACCONGIATIANI. LE STORIE DI SANDRA MALATESTA

Quando ero bambina in ogni casa c’erano dei tegami di terracotta di varia forma, varie misure e profondità. Quello in cui si cucinava il coniglio era largo e non molto alto, quello per la pasta era alto, e quello per il sugo medio. C’erano anche servizi buoni di piatti che dovevano durare una vita.

Succedeva che qualche piatto o qualche tegame si rompesse cioè, come diceva mia nonna, si SENCASSE. SI formava come una lunga spaccatura e quindi non si poteva più usare. Cosi tutti eravamo attenti a quando passava l’accongiatiani e l’accongiapiatti che era lo stesso uomo. Era un artigiano che spesso veniva da fuori o il sabato o la Domenica. Passava nei nostri vicoli gridando: “Donne scendete, portate i tiani e i piatti rotti ci penso io, venite si paga poco”. Se si voleva, lui veniva in casa ma quasi tutti preferivano scendere. Io ricordo la mia gioia quando lo sentivo. Saltavo felice correndo in cucina a prendere i tegami da fare aggiustare. Di solito andavamo noi bambine più grandette, perché le mamme avevano da fare. Diventava quasi una festa per la curiosità e la gioia di vedere i nostri tegami di nuovo belli come prima. Si formavano lunghe file di bambine e adulti con i tegami e piatti ben stretti tra le braccia, e lui era veloce e preciso. Aveva solo una pinza, del fil di ferro, del gesso e un rudimentale trapano a corda con il quale faceva due buchi ai lati della spaccatura. Poi passava il filo di ferro sottile attraverso i due buchi e attorcigliava le due estremità piegandole. Alla fine passava sopra il gesso che copriva il tutto. A quel tempo I tegami di terracotta costavano tanto e ogni famiglia preferiva aggiustarli piuttosto che comprarli nuovi. In ogni cucina c’era almeno un tegame e dei piatti aggiustati e come reggeva bene quel lavoro fatto con precisione. Quando la fila era finita, lui si spostava di una sessantina di metri più avanti e DAVA LA VOCE. Erano momenti incredibili per noi perché spesso le mamme o le nonne ci regalavano 20 lire ed erano tante per noi. Infatti con 20 lire si comprava la scatola Tabù o due formaggini Tom o una decina di rotelle di liquirizia. Io le mie 20 lire spesso le conservavo perché poi con le mie amiche compravamo un pallone per fare la partitella sulla spiaggia. Insomma quello era il tempo in cui niente si buttava e tutto si aggiustava. Persino le calze di lana si rammendavano mettendo un uovo di legno sotto al buco riformando prima la trama e l’ordito e poi riempiendo il buco. Quando racconto dei miei ricordi io sono così felice che tutto mi sembra più bello. Era il valore che si dava alle cose che ci portava a stare attenti a tutto, persino ai sentimenti. Una sorta di pudore ci spingeva a non strafare in niente ma ad aspettare sognando quei giorni in cui un semplice artigiano significava festa per tutti noi. Le nostre mamme il giorno dopo subito cucinavano il coniglio con il tegame aggiustato dicendo: “Vediamo come è venuto speriamo che mantiene” e manteneva eccome e noi con pezzi di pane in mano salivamo sulla sedia (perché il focolare era alto) per assaggiare il sugo scappando subito via felici perché le mamme non ci avevano viste…Sandra

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