La finzione scenica è una simulazione della realtà che, sulla scena teatrale, attraverso figuranti, espone un avvenimento che nella realtà dovrebbe andare in quel modo. Quando invece la realtà diventa una finzione, le cose vanno diversamente e se a teatro in genere si ride, nella vita reale fanno piangere. La condizione in cui, oramai, versa il presidio giudiziario di Ischia nella sua “compilation immobiliare” (Tribunale e Giudice di Pace) è alla finzione scenica per non dire alle comiche finali. Di esso e della condizione in cui versa ho più volte scritto in questi miei “spazi domenicali”, anche facendo la storia dalla costituzione fino ai giorni nostri, senza riuscire a stimolare reazioni particolari se non quelle “sottovoce” di colleghi particolarmente coraggiosi nell’ambito delle mura domestiche. Quel che mi stimola il ritorno sull’argomento, a parte le “croniche disfunzioni”, è stata la coraggiosa intervista a tele ischia dell’avvocato Paolo Rizzotto (8.10.21) che, pur avendo già “pagato dazio” al suo coraggio, non mostra cedimenti o remore.
Come solo gli uomini con gli attributi sanno essere. L’ufficio del Giudice di Pace, da due anni, è privo di un cancelliere o, comunque, di un funzionario che abbia il potere di firmare gli atti. Senza la presenza del cancelliere le cause non si potrebbero fare, non si possono rilasciare le copie degli atti e i Giudici non potrebbero avere le attestazioni di deposito dei loro provvedimenti al fine di essere pagati. Nei fatti, succede che tutti i giorni si celebrano le udienze, i Giudici depositano i provvedimenti e non si sa chi firma le attestazioni di deposito e, presumo, vengono pagati in quanto, diversamente, se ne starebbero a casa. Gli avvocati non sanno più nulla delle loro cause e nemmeno possono chiedere le copie dei provvedimenti che, eventualmente, si depositano. Chi (avvocato o non) deve accedere all’ufficio (per un adempimento) deve inoltrare una domanda (una per ogni adempimento o verifica), ottenere un appuntamento e, pur se ha cognizione che un provvedimento è stato reso, non può chiederne copia in quanto non c’è chi lo autorizza o lo firma. Lasciando perdere cose più tecniche, il dato di fatto è che: al cittadino che chiede giustizia e paga, non viene reso nessun servizio e lo Stato (con i soldi dei contribuenti) continua a pagare impiegati che non fanno nulla. La cosa che dovrebbe parimenti impressionare è quel che succede al settore penale dello stesso ufficio. Da anni si prescrivono processi per mancanza di avvisi o per altri rinvii ingiustificati. Chi è il responsabile di un tale stato di cose? Sono in essere semplici divagazioni amministrative o fatti che potrebbero costituire anche motivo di interesse per qualche pubblico ministero se fosse stimolato da qualcuno? Da chi? Dall’Associazione Forense? Dalle forze dell’ordine? Da altri non saprei!! La sezione distaccata del Tribunale.
Ai dirigenti del Tribunale partenopeo quello che sembra interessare, fino alla soppressione del presidio (anelata da anni), è il solo funzionamento del settore penale dove sono assegnati tre magistrati con 2 addetti di cancelleria che curano l’organizzazione delle udienze, a calendario con una ventina di fascicoli da trattare in due fasce orarie. A me sembra che l’isola d’Ischia non sia un territorio di delinquenza o di criminalità diffusa perché possa stimolare più attenzione il contenzioso penale rispetto a quello civile che annovera oltre 400 avvocati, quattro magistrati per migliaia di procedimenti affidati in organizzazione ad un solo funzionario che opera senza alcun collaboratore, salvo la gratuita quanto illegittima, disponibilità di giovani avvocati che si prestano a mettere in ordine i fascicoli (sotto lo sguardo, apparentemente perplesso, dei magistrati assegnati che sembrano essere precipitati da Marte). Costituisce dato statistico che ad Ischia spesso, molto spesso, i fascicoli scompaiono o che il sistema telematico non funzioni essendo gestito, a mezzo servizio, da una consolle napoletana (presumo presso il tribunale) e una locale per annotare (non sempre) i rinvii dei giudici. La trattazione in presenza manco a dirsi, come pure il confronto con la controparte ed il giudice per illustrare il processo. Il rispetto dei termini imposti dal codice è un optional. Il fascicolo telematico è sempre aperto e chi può accedervi deposita quello che vuole e quando vuole, non essendo stato prevista una attività di controllo come quella che un tempo assicurava il cancelliere che ad ogni deposito doveva applicare un timbro con la data e la firma. Se l’avvocato era in ritardo si rifiutava di riceverlo, semplificando così il lavoro del giudice. In un tale contesto, succede, che una delle prime attività del giudice, quando il processo arriva alla fase finale (dopo anni di attività, prove, accertamenti dispendiosi, rinvii e sostituzioni frequenti dei magistrati e spesso la morte delle parti o degli avvocati) è la verifica della rispondenza delle regolarità formali degli atti depositati (che non sempre, il giudicante, vede dalla sua postazione informatica). Con particolare riguardo alla posizione dell’attore, sul quale gravano i principali oneri attinenti il loro rispetto. Soprattutto se si guardano le cose nell’ottica deflattiva indirizzata alla soppressione del presidio. Nel contesto confusionario in cui versa il presidio di Ischia, non è difficile (specialmente in questa fase transitoria di passaggio dal cartaceo -che ad alcuni giudici ancora utilizzano mentre agli avvocati è espressamente vietato- al telematico) che non si rinvenga una carta se non addirittura un’intera produzione di parte (s’è verificato anche che in un fascicolo trattenuto in decisione dal giudice è risultato sottratta l’intera produzione di parte attorea e la consulenza di ufficio). In tali casi la “mannaia deflattiva” cade inesorabile e, d’incanto, chi aveva pensato di rivolgersi alla giustizia per ottenere la soddisfazione di un proprio diritto, non solo non la trova ma ne paga anche le conseguenze. Così resta “educato” per le sue decisioni future!! Se i numeri scendono, sarà più facile che al ministero si convincano a sopprimere questo “fastidio territoriale” nel quale nessuno ci vuole venire per interessarsi di tante problematiche complesse (specie quelle legate ai diritti reali), in un contesto fortemente disagiato (non per l’ordinamento) e con lo stesso stipendio di chi opera in una struttura centralizzata. Non serve aggiungere altro se non che, per gli avvocati, ormai tutti annichiliti, la fine delle attività professionali è dietro l’angolo. Credo che non è difficile intravedere, in un contesto sociale che con particolare velocità sta modificando il suo tessuto (visti i tanti: fallimenti, espropriazioni, passaggi immobiliari) che, finendo la figura di filtro dell’avvocato, non sarà difficile rivolgersi a forme alternative che, piaccia o no, in continente operano con puntualità. Sembra che ad Ischia l’unica voce che si alza dal silenzio delle istituzioni e dell’avvocatura è quella dell’avvocato Paolo Rizzotto che, da anni, è osservatore attento e non allineato ai fasti delle apparenze (dal rucolino alle cravatte di Marinella). Intervistato da tele ischia, oltre a raccontare delle disfunzioni che, in parte, ho elencato, ha avuto parole molto dure nei confronti dei colleghi “pecore silenti che non fanno nulla contro il disservizio”, riunite in una “inutile associazione salottiera che non serve a nulla e che cerca di portare avanti istanze di pochi e non di tutti” in un “contesto segnato da gravi illegittimità in cui da anni, almeno per quanto riguarda il giudice di pace, i processi penali si prescrivono per il fatto di patire rinvii su rinvii per mancanza di notifiche o comunicazioni”. Io non posso che elevare un plauso all’avvocato Paolo Rizzotto per il suo coraggio e per il fatto che ancora intende la professione nello spirito romantico, serio e severo di un tempo in cui l’avvocato aveva e meritava rispetto. acuntovi@libero.it