Li incontriamo nella anticamera dell’inferno. Sono mischiati ai “neutrali, a quel cattivo coro di angeli egoisti,non ribelli a Dio ma neppur fedeli. Coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”. Gli ignavi. Sono definiti così scomodando il termine latino ignavus, l’aggettivo composto da in privativo e gnavus/navus che significa attivo, operoso. Si tratterebbe dunque, di persone pigre, di persone inattive. L’ignavo dantesco è la persona che non fa scelte politiche. È uno che non affronta le conseguenze che potrebbero derivare dalla sua collocazione politica, se non addirittura partitica. Incontrando i cosiddetti ignavi, una attribuzione, in realtà, mai usata nella Divina Commedia, ma nata in seno alle interpretazioni successive, Dante li bolla come vili.
Dire una cosa e farne un altra è un pessimo servizio alla politica come libera manifestazione del pensiero, è il consegnarsi alla dittatura delle segreterie dei partiti. Soprattutto quando ciò avviene nel segreto dell’urna. Ben vengano, invece, i liberi pronunciamenti difformi dalle indicazioni dei leader di riferimento. Qui sta la forza democratica. C’è chi molla l’ignavia in favore di una soluzione morbida, come le mogli di un secolo fa costrette all’altare dopo un impiccio cui dover riparare. Ma senza dare troppo nell’occhio. In un mondo dove basta un like per prendere posizione, diviso tra followers e haters tutti si sentono in obbligo di assumere una posizione. Ora che il virus dell’intransigenza è dilagante è più che mai necessario un vaccino contro le banalizzazioni della retorica della “parte giusta”. Forse ha ragione il filosofo Sebastiano Ghisu con il suo elogio dell’indifferenza “se da una parte l’indifferenza si colloca al di qua del Bene e del male, dall’altra risulta essere ciò che rende oggi possibile la tolleranza e istituisce in tal modo un’etica che nel nostro tempo non può presentarsi come indifferente a ogni forma di identità”.
di Antimo Puca