Lavorare dal sud può rappresentare per uomini e donne una svolta della propria vita lavorativa e personale. Stiamo assistendo a un cambiamento epocale nel mondo del lavoro: durante la pandemia abbiamo osservato un’ampissima diffusione dello ‘smart working’, ed ora -con la ripresa dei casi di Covid- è stato appena messo a punto un nuovo Protocollo Salute per i lavoratori, valido fino al 31 ottobre prossimo. Elena Militello e Mario Mirabile sono tra gli animatori dell’Associazione South Working. Lavorare dal Sud (all’indirizzo www.southworking.org).
“E’ stata fondata a marzo con l’obiettivo di mettere a frutto idee ed esperienze di chi è riuscito a tornare nei propri comuni d’origine e colmare il divario economico, sociale e territoriale tra Nord e Sud, tra aree industrializzate e marginalizzate del Paese”. Da questa loro esperienza è nato il volume “South working. Per un futuro sostenibile del lavoro agile in Italia”, edito di recente da Donzelli, arricchito da una prefazione di Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud.
Secondo i dati Inapp relativi al 2021, in Italia si è passati in modo repentino da 570.000 a oltre 7 milioni di ‘smart worker’. Uno degli aspetti più eclatanti del fenomeno è rappresentato dal sud Italia e dalle donne: molti lavoratori e lavoratrici meridionali hanno avuto la possibilità di tornare nelle proprie terre d’origine, contribuendo così alla valorizzazione territoriale. E’ stato possibile, inoltre, osservare un fenomeno interessante: “Anche lavoratori non originari del Sud Italia -sostengono gli autori- si sono trasferiti nel meridione, grazie allo smart working. Questa tendenza è di fondamentale importanza, perché nel mondo globalizzato è sempre più necessario rendere il meridione attrattivo, soprattutto per i giovani talenti”.
In luce un fenomeno interessante che riguarda le donne lavoratrici
Come sappiamo le donne sono state penalizzate dalla pandemia e hanno perso il loro impiego in misura nettamente maggiore rispetto agli uomini. Per loro lavorare da remoto ha comportato un aumento ulteriore dei carichi di cura della casa e della famiglia. “La mancanza di disponibilità nelle abitazioni di uno spazio adeguato a svolgere lo smart working -proseguono Militello e Mirabile- non è stata presa in considerazione dai datori di lavoro, che hanno derubricato il problema a una mera questione privata”.