L’aggettivo “stucchevole”, in senso figurato, sta per “fastidioso – tedioso” e tali mi sono apparsi in questa
settimana gli interventi (non avevano altro di cui scrivere?), sulla stampa locale, che con termini roboanti,
impropri, spesso sgrammaticati e offensivi, hanno commentato il provvedimento del vescovo di Ischia
mons. Gennaro Pascarella che ha destinato ad altro incarico il parroco di Ischia Ponte don Carlo Candido.
L’enfasi espositiva, con la quale si è voluto biasimare il provvedimento vescovile, mi ha incuriosito e,
“obtorto collo” ho letto qualcosa.
Martedì 11 un quotidiano ha così esposto (per la verifica si può leggere
gli allegati) “La rivoluzione all’interno della diocesi di Ischia è figlia di una situazione nella quale hanno
davvero torto tutti e -soprattutto- nessuno ha saputo farsi bene i conti” ….” il vescovo Pascarella ha deciso
di seguire qualche pecorella del suo gregge -ndr in parentesi- (ormai prossimo alla pensione e che dunque
non si capisce nemmeno quali interessi personali avrebbe potuto trarre, se non magari per conto terzi) e ha
estromesso don Carlo Candido dall’ormai suo -habitat naturale- di Ischia Ponte”…… “senza considerare che
i fedeli hanno deciso di prendersi un ruolo di primo piano in questa sagra degli orrori” …. “nella quale s’era
organizzata una manifestazione popolare volta (scrive l’articolista) a manifestare una volta di più a mons.
Gennaro Pascarella la volontà della comunità di Ischia Ponte e non solo. Carica, allora, all’insegna del Don
Carlo o muerte”. Che dire? Una saga di strafalcioni e contumelie per non dire nulla. Un altro quotidiano,
sullo stesso argomento, manifestando anch’esso avversione per lo spostamento del prete, lunedì 10, aveva
scritto “Ora non sappiamo se nei precedenti “colloqui orali” si siano detti altro e che la nota partita da
Ischia sia solo la conseguenza della corrispondenza orale”. Che dire se non che mi si accappona la pelle
immaginando “colloqui non orali” e una “corrispondenza parlata”! ed ancora “Il disastro che è riuscito a
fare il vescovo Pascarella avrà un eco nei tempi. Una figuraccia storica e una ferita nella credibilità della
chiesa che neanche l’ex parroco dello Schiappone era riuscito a fare. Preti con i figli, preti da only fans e
tutto il catalogo non hanno male quanto ha fatto Pascarella in 45 giorni più o meno”. Che c’entra tutto
questo, con il provvedimento vescovile per una diversa gestione della chiesa di Ischia Ponte ed in particolar
modo il “prete dello Schiappone con i figli?”. Chi legge si renderà conto che oltre alla genericità dei rilievi e
all’offensività dei termini, altro non c’è, se non la consegna dell’isola d’Ischia, attraverso la terribile cassa di
risonanza mediatica, al ludibrio generale per la rappresentazione di uno spessore culturale, degli ischitani,
prossimo allo zero. Se quelli preposti alla stampa (che dovrebbero rappresentare il meglio tra color che, per
mestiere, usano la penna) argomentano a livello di bar sport a commento di una partita tra “vaiasse e
pennivendoli”. Sento il dovere, affettuoso, di citare anche lo scritto di Davide Conte che, a commento dello
stesso fatto, pur se dispiaciuto della decisione vescovile, ha annotato “il contraddittorio tra un fedele e don
Pugliese al termine della messa domenicale, contrassegna con un’ennesima pagliacciata la fine del
mandato di don Carlo Candido” – “la vicenda in questione non ha nulla a che fare con la vera fede che
adesso sta ponendo tutta Ischia Ponte sul piano del ridicolo”. Sintesi perfetta! L’articolista ha poi ricordato
un precedente del vescovo Antonio Pagano e del come reagì quando si determinò una vicenda simile a
quella di oggi. Conoscevo bene il vescovo Pagano e ricordo, purtroppo, che quando gli chiesi perché aveva
deciso di farsi trasferire dall’isola, mi rispose, in napoletano, “ca dint’ me stann’facenn’ murì schiattat’
ncuorp!”. E, il riferimento non era a quelli che avevano rumoreggiato per il trasferimento di Don Agostino
Iovene dalla chiesa del Buon Pastore a quella di S. Pietro ma ad altri. Ho ricordato la circostanza per dire
che già nel tempo del vescovo Pagano, succeduto a Diego Parodi (il vescovo manager che stava più a casa
sua che in diocesi), nel clero ischitano tante cose “giravano male”, senza commento alcuno sulla stampa.
Perché? Poi venne Strofaldi che stese un lenzuolo sulla “cancrena” che si mantenne, fino alla fine del suo
mandato. E nessuno ne parlava. Perché? Per lasciar comprendere al lettore il clima che si viveva e del
quale, isolatamente, scrissi più volte, (uno dei miei pezzi titolava “un novello Baldassarre Cossa agita i sonni
della chiesa ischitana”), ricordo di un confronto tra il presule e don Pasqualino Castagna (prete colto e
culturalmente disinibito) al quale il primo voleva contestare le sue sensibilità comportamentali verso il
gentil sesso dicendogli “don Pasquale in giro ho sentito dire di lei che…”. Non finì la frase che l’altro
(sapendo dove poteva essere punto) replicò “Eccellenza sapesse cosa si dice di lei in giro e nelle
parrocchie!”. La conversazione finì lì, lasciando che il lenzuolo si stendesse sempre di più. Poi venne Pietro
Lagnese che, avendo forza fisica oltre che spirituale, culturale e tecnica, mise mano a quel “Suk Clericale” in
cui era caduta la diocesi, dove il chiacchiericco (non infondato) aveva superato di gran lunga quello delle
omelie. Da un lato i preti “vecchio stampo” che, pur se pur confinati in angolo, difficilmente smarrivano il
senso della loro missione e il giuramento dell’obbedienza; dall’altro la “nouvelle line” dei giovanotti col
collarino, palmare in bella vista, clergyman sempre perfettamente stirato e smart lucidate per gli
spostamenti tra le navate! (parole, le ultime, copiate da scritti di altri). Sempre più “manager di eventi
religiosi” e sempre meno disposti a “tacer obbedendo”; pronti alla replica se non alla contestazione.
Ricordo l’episodio di un prete che, al vescovo che gli suggeriva maggiore sobrietà, replicava “Eccellè, qua ad
Ischia ci si comporta così. Voi, prima di venire, siete stato informato e se non vi stava bene potevate anche
non venire”; oppure quella del vecchio prete che partecipando ad una riunione del presbiterio, non
condividendo talune posizioni, si lasciò scappare “Io di questo fatto ne parlerò al vescovo” che un aitante
collega gli si avventò contro e allungandogli le mani al collo gli gridò “ah tu ne parl cu vescovo? e io
t’appenn’ vicin a chella pianta e aliv” (ndr Ulivo). Pietro Lagnese nonostante gli attacchi, spesso vergognosi
e non documentati, di una stampa locale alla ricerca scoop, confezionati da soggetti interessati, iniziò
l’opera di pulizia e di riordino che tutti aspettavamo e per la quale è stato promosso a Vescovo di Caserta
che come diocesi è dieci volte più grande di quella di Ischia. La circostanza dovrebbe stimolare qualche
riflessione approfondita, prima di scrivere di eventi e di persone che appartengono ad un mondo e a una
vita che un tempo si diceva “segnata dallo Spirito Santo” e invece no. Pur di soddisfare gli scontenti,
riempiendo pagine di scempiaggini, si scrive di intrighi, intrallazzi o congiure di sorte. Addirittura
stimolando “astensioni dalla fede” che, effettivamente, “stanno ponendo il tutto sul piano del ridicolo”.
Ed ora veniamo alle decisioni del vescovo di fare dei cambiamenti in taluni “asset presbiteriali” dell’isola.
Qualcuno può dispiacersene? Sono d’accordo. A qualcuno quel prete gli sta più simpatico di un altro. Sono
d’accordo. Ma la religione, la fede sono tutt’altra cosa. Prima di scrivere che siamo nella “saga degli orrori”
o nel “disastro della chiesa ischitana” ce ne corre. Ogni giornalista dovrebbe sentirsi obbligato a scrivere
solo di cose certe e documentate e non cadere nella volgarità che può diventare cialtronaggio. Per
mestiere, educazione e cultura ritengo che chi riveste compiti istituzionali va rispettato a prescindere. Salvo
che per fatti criminosi o deleteri accertati. Specialmente se posti in essere da chi esercita un ruolo
delicatissimo qual è quello del prete. La diocesi dell’isola d’Ischia nel periodo dal 1997 al 2012 ha patito una
involuzione di cui si poteva scrivere tanto ma non lo si fece. Perché? Eppure i giornalisti di oggi scrivevano
anche allora. Informati sono oggi come lo erano allora e quindi? Non serve stare a “ciurlare nel manico”
scrivendo stupidaggini o immaginando interessate “regie occulte prossime alla pensione” dietro l’azione del
vescovo che, per quanto mi riguarda (e, volutamente, non vado oltre) bene ha fatto a continuare
quell’opera già intrapresa dal suo predecessore. Movimentando certe secche che stavano per diventare
stagnanti. Che qualcuna delle sue decisioni sia dispiaciuta anche a me, non lo nascondo. Ma non mi
sognerei di partire “lancia in resta” facendo apparire un’autorità religiosa come una marionetta in mano di
altri, senza dire nulla. Ricordo che i vecchi preti (che dalle mie parti, spesso, non avevano nemmeno i soldi
per comprarsi la tonaca) al Catechismo ci insegnavano che, al vescovo si ubbidisce, e che il purgatorio è
fatto per i giusti che prima o poi splenderanno in paradiso. Famiglie permettendo! acuntovi@libero.it