Romania, anche Simion vittima dell”abbraccio’ di Trump: l’analisi post elezioni

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(Adnkronos) – Non solo in Canada e in Australia, anche in Romania l’abbraccio di Donald Trump e del Maga si rivela, in termini elettorali, mortale. George Simion, che forte del trionfo al primo turno delle presidenziali marciava sicuro della vittoria con il cappello Maga al fianco e professando di volersi ispirare al modo in cui il tycoon “dice la verità, difende il suo Paese e i suoi interessi”, è infatti stato sconfitto nel ballottaggio dal sindaco di Bucarest Nicușor Dan, che è riuscito nella missione impossibile di opporre un muro europeista al leader sovranista.  

“Siamo tutti, in Europa e in America, stanchi della gente del politically correct che mina la nostra libertà e le nostre opinioni, noi combattiamo per la libertà di espressione e per le libere elezioni. Noi combattiamo per Dio contro il male”, diceva, intervistato da Skynews britannica, alla vigilia del secondo turno il 38enne, che nel 2019 ha fondato il partito di estrema destra Aur, diventato poi un punto di riferimento del movimento no vax romeno.  

 

Nelle parole usate da Simion risuona la retorica con cui JD Vance, nel suo discorso, gelando gli alleati europei lo scorso febbraio alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco, mise al primo posto delle “minacce interne” che il Vecchio Continente deve affrontare, più pericolose di quella di Russia e Cina, l’annullamento da parte della Corte Suprema della Romania delle presidenziali vinte lo scorso novembre dall’ultranazionalista Calin Georgescu a causa di interferenze russe. Un esempio, disse allora il vice presidente americano, “della ritirata dell’Europa da alcuni dei propri valori fondamentali”.  

Dall’appoggio a Georgescu, che si dichiara vittima del “deep state” come il presidente americano dopo che gli è stato vietato di candidarsi alle nuove elezioni, l’amministrazione Trump e il mondo Maga sono passati all’entusiastico appoggio a Simion. “Saluti a tutti i nostri amici Maga”, ha esordito il leader nazionalista romeno nell’intervista rilasciata nei giorni scorsi a War Room, il podcast di Steve Bannon, il guru dell’estrema destra americana che in questi anni ha fatto spesso da ponte con i sodali in Europa.  

 

Il deragliamento della vittoria annunciata di Simion ricorda quello che nelle scorse settimane è successo in Canada prima e poi in Australia, dove candidati trumpiani dati per vincenti sono stati sconfitti. All’inizio di maggio, ha perso il voto Peter Dutton, il leader dei conservatori australiano, che aveva adottato politiche e stile Maga, lodando Trump un “grande pensatore”, magnificando i suoi negoziati internazionali impostati alla “art of deal”, l’arte di fare gli affari.  

Quello che forse ha maggiormente affossato Dutton, dando un’inattesa miracolosa conferma alla guida del Paese al laburista Anthony Albanese, è stata l’idea del leader conservatore, che ha anche perso il seggio alle elezioni, di ispirarsi ai tagli del Doge di Elon Musk per risanare i conti pubblici australiani, compresa la minaccia, poi ritirata prima del voto, di costringere tutti i dipendenti pubblici a tornare a lavorare in presenza.  

Ma forse il miracolo maggiore Trump lo ha fatto in Canada, dove a fine aprile il leader conservatore Pierre Poilievre è stato sconfitto dal nuovo premier liberale Mark Carney, dopo che solo all’inizio di gennaio aveva un vantaggio di oltre 20 punti sull’ex premier Justin Trudeu, da anni indietro nei sondaggi.  

A rovesciare completamente il panorama politico in Canada hanno giocato un ruolo determinante le bordate che, da dopo la vittoria di novembre, il tycoon ha cominciato a lanciare contro il vicino non solo con la guerra commerciale, ma anche continuando ad invocare la trasformazione del Canada nel 51mo stato americano. Parole che hanno risvegliato lo spirito patriottico persino dei tiepidi canadesi che, soprattutto, hanno voltato le spalle a Poilievre, che ha pagato i suoi passati flirt con il mondo Maga.