PROLISSAMENTE. DI VINCENZO ACUNTO

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E’ prolisso chi si protrae eccessivamente nello scrivere o nel parlare. L’aggettivo è indistintamente usato per qualificare un’estensione del dire o dello scrivere di un argomento in modo lungo e minuzioso, che taluni qualificano noioso. La mia generazione, credo, è stata la prima nel secolo scorso ad essere coinvolta, nel tempo dei primi apprendimenti scolastici, dai messaggi propagandistici televisivi. Nel 1957 la televisione Italiana (nata nel 1944) lanciò il programma “Carosello”, primo contenitore pubblicitario su larga scala. Il paese versava in pieno boom economico, la lira era la più forte moneta europea, le industrie italiane sfornavano, a ripetizione, prodotti di largo consumo e per venderli gli industriali escogitarono il programma da offrire alla RAI e quindi ai telespettatori, affinché acquistassero i prodotti. Autentiche chicche teatrali e cinematografiche (5 per sera dopo il telegiornale) che, in meno di tre minuti a testa, dovevano stimolare la curiosità dello spettatore perché se ne ricordasse quando andava a fare le compere. Una battuta flash per contenere un intero messaggio utilitaristico. Negli anni a seguire, la pubblicità ha occupato sempre di più lo spazio della comunicazione e come conseguenza ne è derivato un linguaggio per il quale oggi si parla per slogan. Chi è capace di sintetizzare ha molto più credito ovunque. Anche là dove la sintesi può portare a fraintendimenti, per la complessità dei concetti, come sta purtroppo succedendo. Chi proviene da una preparazione scolastica basata sull’esposizione ragionata (con professori che si applicavano a verificare se effettivamente avevi compreso facendoti domande incrociate) oggi è costretto a prendere atto di essere fuori luogo in quanto l’approfondimento, anche semplice, ti addita come prolisso. Io sono un prolisso che, stranamente, si vanta del suo “difetto” in quanto non troppo interessato al numero dei lettori (importante per l’editore) ma alla comprensione dell’argomento sul quale si può essere d’accordo o meno. Ho scoperto che un “vecchio professore di fisica” -autorità accademica indiscussa dell’ateneo napoletano – leggendo il mio pezzo dal titolo “Perseguitati” ha così commentato “condivido pienamente l’analisi ma la ritengo incompleta”. Bellissimo!! Io che, ogni settimana, sono assalito dalla sindrome della prolissità, mi sono sentito risollevato e, nella leggerezza, mi sono imbattuto nel pezzo del prof.Eugenio Mazzarella (il Mattino del 23 nov.) dal titolo “Salviamo il tema, gli studenti non sanno più scrivere” nel quale ho trovato tanti spunti del mio argomentare. L’illustre docente, ripercorrendo il disastro nel quale è stata catapultata la scuola italiana, ha evidenziato come da essa non escono più ragazzi che sanno scrivere per rincorrere una sintesi riassuntiva che consegna elaborati incomprensibili. Conseguenza naturale è che in tanti andranno, poi, ad occupare posizioni di rilievo nella macchina dello stato, dell’informazione, della scuola, delle professioni ove renderanno, come purtroppo sta già succedendo da tempo, un sapere parziale, articolato in slogan. In tanti diffusori della comunicazione è stato praticamente abdicato il corretto uso della lingua italiana. Quei congiuntivi che ci terrorizzavano e ci facevano impazzire, oramai vanno al vento a qualsiasi livello, come pure i pronomi o le preposizioni che rendevano l’espressione immediata e fotografica. Ahimè, ricordo ancora la professoressa Garise che ascoltando un “se avrei detto” s’accasciò sulla cattedra simulando uno svenimento o il prof. Ottato che a fronte di strafalcioni grammaticali gravi si alzava sbattendo ripetutamente il registro sul banco, o la prof.ssa Marotta che per un uso disinvolto di pronomi e verbi messi insieme con la metrica partenopea ti inceneriva con lo sguardo lasciandoti andare solo quando eri riuscito ad argomentare in modo corretto. Oggi, purtroppo, come ha scritto il prof. Mazzarella, non è più così. Esiste una disarticolazione espositiva e riassuntiva che è concettuale in quanto, nel tempo della esposizione col metodo dello slogan, chi è chiamato ad esporre argomenti, anche complessi, ha a disposizione pochi attimi nei quali, per esigenza di spettacolo, si possono esporre solo concetti parziali.  Col risultato che chi è chiamato ad apprendere lo fa in modo parziale e poi, ancor più parzialmente, lo esporrà e la parzialità invaderà ogni cosa. Avremo legislatori parzialmente preparati, medici, giudici, avvocati, ingegneri, e via dicendo sempre meno preparati che offriranno un sapere parziale.

 

Dove andremo a finire o già ci siamo finiti con tante parzialità? Le conseguenze sono e saranno sempre più drammatiche. Per restare agli ultimi (e non essere prolissi): i parziali controlli del ponte Morandi hanno fatto 43 morti; i parziali interventi in pandemia (in Italia) hanno fatto oltre 130.000 morti; la parziale preparazione di tanti legislatori ha lasciato partorire norme contraddittorie che hanno prodotto più danni di quelli che volevano evitare. Cosa fare? Non saprei, in quanto la deriva è molto pesante. Se la smettessimo di essere superficiali, parziali o di dedurre per slogan, su ogni cosa, sarebbe già un successo che porterebbero a risultati diversi da quelli che le due foto dimostrano!!

acuntovi@libero