Della guerra in atto ho già scritto due volte, il 20 febbraio e il 6 marzo scorso, dicendo che essa non è scoppiata col primo colpo di cannone sparato e che se si vuole tentare di fermarla ognuno deve fare la sua parte ad incominciare dal Papa.
I commentatori che sulla vicenda si alternano sui media, di gran lunga più autorevoli di questo osservatore di paese, hanno, nel tempo, confermato le mie impressioni e cioè che è in atto una guerra di posizioni e che per risolverla appare necessario che, anche fisicamente, scenda in campo il Santo Padre portandosi nei luoghi della morte. Così come fece un suo antenato tanti secoli fa che per arginare l’invasione dei territori della chiesa si portò, a capo dell’esercito, contro il nemico, “armato della sola Croce”.
Ho letto sulla stampa che i servizi segreti ucraini avevano informato il presidente Zelenski che la Russia si
preparava ad invadere l’Ucraina, sin dal mese di novembre scorso. A prescindere che nessun’aggressione può essere accettata, giustificata o tollerata, non ho difficoltà a dire che Putin dalla ragione è passato al torto.
Torto marcio. Per comprendere il passaggio, potrebbe essere utile ripassare un attimo la storia nelle
esternazioni che autorevoli commentatori (A. Di Meglio. V. Nardiello; P. Lignola e tanti altri ancora), privi di
museruola, hanno fatto. Alla fine della seconda guerra mondiale, nello storico incontro di Yalta, gli Americani, i Russi e gli Inglesi divisero l’Europa secondo la cartina che mostra come la Russia si estendeva fino al mar Nero con il protettorato sulla Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria etc. Nel 1963 ulteriore
allargamento con il protettorato su metà della Germania, la divisione della città di Berlino con il famoso
“muro della vergogna”. I sovietici erano uniti sotto la sigla URSS (unione delle repubbliche socialiste
sovietiche) e con gli altri “stati satelliti” diedero vita nel 1955 al cosiddetto “Patto di Varsavia” e gli occidentali al “Patto Atlantico”. Nelle singole realtà nazionali per arginare improvvide mire espansionistiche dei cultori dell’ideologia comunista, si diedero vita a corpi “paramilitari”, come “Gladio” in Italia per parare le frenesie titine.
Dopo oltre 70 di vita il famoso “Impero Sovietico”, sulla spinta enorme del Papa Polacco, franò nelle
contraddizioni politiche ed economiche di quell’ideologia e, nella confusione generale che si determina ad
ogni caduta di regime, le antiche realtà territoriali, oppresse da oltre un secolo (prima dagli zar e poi dai
comunisti), ritrovarono la loro autonomia riprendendo la forma di Stato. Tra esse la Georgia, la Bielorussia,
la Lettonia, l’Ucraina ed altre. L’evento ci lascia comprendere, quanto mal tollerata, pur dopo tanti decenni,
fosse la condizione di quei popoli, salvo a considerare che, nei tempi di annessione, s’erano determinate
mescolanze di razze con diverse radici etniche ed etiche che, al momento del “distacco”, da quella che era
stata la patria comune, conservavano ancora distinguo mai sopiti. Per fare un esempio, comprensibile, in
Italia, dopo un secolo dalla riunione, quando i meridionali, negli anni 60, emigravano al nord per lavorare,
trovavano cartelli con scritto “non si accettano i meridionali” o “non si fittano case ai meridionali” o altre
amenità del genere che ancora oggi si registrano durante certe partite di pallone. Tanto per dire come, nel
tempo, possono resistere certe differenze tra le persone.
In Ucraina i contrasti tra i “russofoni” del Dombass e della Crimea sono stati tanti ed il governo non ha mai esitato a mostrare la mano pesante verso i nostalgici della “madre casa Russia” fino al punto che si sono permesse (o organizzate) vere e proprie guerriglie (con parecchi morti), referendum consultivi, sobillazioni contro governi in carica etc. etc. E’ solo di qualche giorno fa la notizia di un volontario italiano, morto da combattente tra le forze russofone secessioniste del Dombass.
Non è cosa segreta (si legge un po’ ovunque) che, con l’elezione dell’attuale presidente, l’Ucraina aspirasse
ad entrare nell’ UE. Aspirazione che, pur apparendo un fatto legittimo, ci consente di interrogarci del perché
il parlamento europeo, pochi mesi addietro, febbraio del 2021, ebbe a deliberare che “Per l’entrata
dell’Ucraina nell’Unione vi sono diversi nodi da sciogliere – riguardo a governance, corruzione, diritti delle
minoranze e altro – come ha rilevato nel febbraio 2021 il parlamento europeo nell’ambito del monitoraggio
sul programma di riforme.” E’ altresì noto che, sempre con l’attuale presidenza, l’Ucraina abbia manifestato
concreto desiderio di entrare nell’ Alleanza Atlantica che, a sua volta e “stranamente”, andava intensificando
(stando sempre a quanto è dato leggere) le esercitazioni militari nelle aree di confine con la Russia e le
contestazioni da quel lato sono sempre cadute nel vuoto. Orbene, fermo restando il principio inizialmente
esposto che nulla potrà giammai giustificare l’invasione militare, possiamo continuare a ritenere, di fronte a
tutti quei morti e distruzioni che il signor Zelenski sia indenne da colpe e che sia il presidente giusto per una
nazione appena uscita dalle fauci dell’orso che ancora ringhia fuori l’uscio? Ma il signor Zelenski non è lo
stesso che nel 2015 mise al bando 11 partiti politici che vennero definiti “filo russi”? Chi aveva rilasciato un
tale attestato ai partiti? Non è lo stesso che compra armi dagli americani (o altri) e autorizza le esercitazioni militari nelle aree di confine? Non è la stessa persona a cui (si legge dalle cronache) i servizi segreti avevano
detto a novembre che i russi stavano per invadere il suo paese? Con chi si è consultato dopo tale
avvertimento? Perché non ha fatto il “giro delle sette chiese”, come sta facendo ora (collegandosi con tutti i
parlamenti ed anche con la sede degli oscar cinematografici), per denunciare pubblicamente il pericolo e
dare la possibilità a tutti di intervenire anzitempo? Allo stato dell’arte, il dato di fatto è che l’ 80% del popolo
russo è con Putin (non esiste allo stato prova contraria) e che non è pensabile che il mondo si scateni in una
guerra mondiale per andare militarmente a cacciare Putin dal potere o andare a difendere una nazione che
manca di un governo credibile. Resta, invece, da considerare se sia ancora opportuno che Zelenski continui
a restare al suo posto, al netto dal considerare oggi in modo benevolo i suoi appelli al mondo, e se è
opportuno che altri gli forniscono ancora armi che, a mio giudizio, saranno capaci solo di fare altri morti, che
nulla hanno a che fare né con le manie di Putin né con le incapacità manifeste di Zelenski, né con gli interessi di terzi sempre pronti a “sfruculià a mazzarell’ a S. Giusepp” o a inventare leader capaci solo di essere camerieri al loro servizio. Personalmente ritengo che non si diventa presidente di una nazione per il semplice voto di Anastascia o di Petrovic (Nastasìa o Precucciell), ma attraverso una serie di “congiunzioni particolari”.
I media hanno riportato le dichiarazioni dell’ex presidente americano Trump, che nessuno ha smentito, dei
grandi interessi finanziari che la famiglia Biden coltiva in Ucraina fin dai tempi della presidenza Obama, di cui
l’attuale presidente americano ne era il vice e quindi tanti giri di parole tornano. Ed allora poiché questa
assurda guerra è stimolata da due attori pazzi e vanesi, che cercano il palcoscenico mondiale per esibire la
loro follia, mentre gli altri muoiono, ritengo che è giunto il momento che un altro simbolo del mondo intero
intervenga per tacitare entrambi. E visto che non possono essere le armi, strumento di morte, a portare la
pace, l’unico che ancora può salvare sia le capre che i cavoli, resta, a mio parere, il Papa. E’ o non è il
rappresentante di Cristo in Terra? Se lo è, non deve temere di poter correre qualche rischio. Deve lasciare le
ovattate stanze vaticane e armato della sola croce portarsi fisicamente sui luoghi di guerra a gridare, con la
sua voce, il desiderio di pace di tutto il mondo visto che le grida di dolore di tante mamme che piangono i
loro figli morti, non servono. acuntovi@libero.it