OGGI SI VOTA. DI VINCENZO ACUNTO

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Il mio pezzo della scorsa settimana (rinvenibile in questa bacheca di Facebook) ha riscosso diffuso interesse ed in tanti hanno voluto commentare, a voce o con Whatsapp, qualche passaggio più articolato, come quello relativo alla separazione delle carriere tra P.M. e Giudici o quello sulla custodia cautelare.

Ho dato risposte in coerenza ai miei mezzi che, sui media di mercoledì 8 giugno, hanno avuto conferma
argomentativa, da autorevolissimi giuristi e uomini di cultura: il, già, presidente di Corte d’Assise Assise
Pietro Lignola (giudice coraggioso, raffinato giurista e uomo di grande cultura) e l’avvocato Severino Nappi
prof.alla Federico II di “diritto del lavoro”. Incomincio col riportare quanto disse il magistrato Giovanni
Falcone in un audio inedito del 1989 (pubblicato in questi giorni) “quando all’estero spiego che il pm è
magistrato ma non è un giudice, alla fine tutti mi dicono che hanno capito ma non hanno mai capito nulla.
Perché in effetti è incompatibile l’azione con la giurisdizione: o chiedi oppure giudichi”. Aggiungeva
“avremo un pm molto più agile, molto più dinamico, molto più parte, molto più poliziotto. Quindi un pm
che si dovrà creare il suo diverso -totalmente diverso- ambito, rispetto a quello di adesso”. Nel 1989,
all’alba del nuovo codice di procedura penale, quel grande magistrato che ha dato la vita per la giustizia,
aveva già intravisto la necessità di dover separare le carriere tra i due organi “è incompatibile l’azione con
la giurisdizione”. Sugli stessi argomenti, come detto, hanno argomentato Pietro Lignola e Severino Nappi; il
primo, deducendo sul quesito referendario relativo alla custodia cautelare, ha scritto “ma vi sembra
possibile che nelle carceri italiane non ci sia più posto per i condannati in via definitiva perché esse
traboccano di detenuti in attesa di giudizio?” – Relativamente alla necessità di dover applicare la custodia
cautelare non ha tentennamenti “delinquenti professionali, innumerevoli volte arrestati in flagranza di
reato, dovrebbero essere condannati in direttissima producendo condanne definitive. Al contrario invece
sono oramai centinaia i cittadini perseguitati, di solito per concorso esterno o per reati contro la pubblica
amministrazione che vengono trattenuti per mesi, a volte per anni, nelle patrie galere e poi assolti perché il
fatto non sussiste!”. Nemmeno sulla separazione delle carriere il presidente Lignola ha dubbi “un altro
risultato che si dovrebbe raggiungere è il rispetto per la funzione giudicante, dovuto a quella grande
maggioranza di magistrati che ancora credono nella loro missione. Non è possibile che un pubblico
ministero, abituato a essere parte, diventi giudice. Men che meno si può accettare che un magistrato datosi
alla politica, torni al suo mestiere al termine del mandato. Avendo militato, non sarà equo ma benevolo
verso i compagni e malevolo verso gli avversari”.

Il prof. Severino Nappi (avvocato di lungo corso e politico
di consolidata esperienza) ha offerto dati, a dir poco impressionanti, che riporto “In Italia ogni anno più di
mille persone innocenti finiscono in carcere. Il 10% dei casi si registra solo a Napoli. I risarcimenti per
ingiusta detenzione dal 1992 a oggi ammontano a 900 milioni di euro. In media 30 milioni di euro l’anno di
cui 2,5 milioni soltanto a Napoli, seconda città d’Italia per episodi di mala giustizia. Una causa civile dura in
media 2600 giorni, oltre sette anni (ndr quando va bene). Per una causa penale la media è di 1600 giorni
(ndr quando va bene). A Napoli è in media di sei anni (ndr quando va bene)”!! Amici lettori questi sono
dati, non parole che necessitano di ulteriori aggiunte. Se restringiamo la lente ancor di più, potrei
raccontare parecchie chicche rinvenibili nel nostro piccolo tribunale ischitano che, nel gaudio di una
magistratura molto sensibile (a certi risultati), si avvia alla chiusura per l’inerzia di una classe politica prona
ai desideri dei primi. Condizione che il Costituente aveva previsto e, per arginarla, aveva “ideato” l’art. 68
della Carta Costituzionale che politici superficiali modificarono dando il via libera alla condizione di oggi.
Non serve dire altro se non che, nella storia del paese, mai s’era verificato che si indicesse un referendum
nel silenzio dei media. Rinnovo pertanto il concetto espresso domenica l’altra “chi ritiene che l’attuale
funzionamento della giustizia italiana è da paese civile vada a votare NO”. Chi invece ascoltando,
informandosi, parlando con esperti avrà maturato dei dubbi vada a votare SI. Ben sapendo che con l’esito
referendario non modificherà “d’emblée” le cose, in quanto dovrà essere, sempre, il parlamento (cioè
quelli che noi eleggiamo) a far poi le regole. Per cui, senza remore, andiamo a votare, conservando la
curiosità di sapere come mai l’informazione ha così poco informato. acuntovi@libero.it