….panelle senza mazze fanno ‘e figli pazzi!- E’ uno dei tanti proverbi che la mia cara mamma era solita ripetere a qualche sua amica che si lamentava del comportamento dei figli. A me, che per sfotterla le dicevo “mamma se quando ero piccolo ci fosse stato il telefono azzurro, saresti ancora in carcere”, con fare sprezzante rispondeva “sono orgogliosa di quello che ho fatto”; aggiungendo: “ho cresciuto tre figli dei quali nessuno mi ha mai potuto dire nulla”. Ho vissuto la mia infanzia in un paese piccolissimo (ci vivo tuttora), ove, come oggi, tutti sapevano di tutti, e ove, alla fine degli anni 50 inizi 60, non c’era ancora l’energia elettrica, l’acquedotto, i servizi o la carta igienica e la stazione dei carabinieri più vicina era a 8 chilometri (un percorso lunghissimo se si considera che l’unico mezzo di locomozione era il bus che faceva poche corse al giorno). Le strade si illuminavano solo col chiarore del giorno, le coppie sposate generavano non meno di tre figli e ragazzi e ragazze crescevano in piena normalità. E, pur esistendo, tra i miei coetanei, qualche testa più accelerata delle altre, mai che si sentisse di episodi di violenza o di prepotenza fisica di qualche maschio nei confronti della femmina. Non escludo che in qualche (e dico qualche) famiglia potesse esservi, il ricorso alle “botte verso la moglie”. Ne ricordo solo due, stimolati da alcolismo (in uno della donna e nell’altro del maschio), che segnavano anche la vita dei figli con i quali ci si giocava con difficoltà, temendo le reazioni del padre picchiatore. I figli quindi diventavano freno a mano di certe pratiche che, nella mia S.Angelo degli anni 60, aprendosi al turismo scomparvero del tutto. Questa piccola digressione, pescata nell’archivio della memoria, serve per affrontare la vicenda drammatica che in questa settimana ha scosso l’Italia intera, travolta dal barbaro assassinio, da parte del fidanzato, di Giulia Cecchettin, la ragazza di Vigonovo (un paesino grande quanto la nostra Casamicciola), in un’ottica diversa da quella della vulgata giornalistica che ha sintetizzato l’analisi di responsabilità dell’assassino, nello slogan “Né mostri né malati, soli figli del patriarcato”. Espressione vuota che fa pendant con l’altra, che nella parola “femminicidio” sintetizza l’assassinio di una donna. Solo il quattro settembre scorso, analizzando il problema, in questa finestra settimanale scrissi: “alla fine del mese i “femminicidi” (bruttissima parola) sono circa ottanta e gli stupri (senza riguardo d’età) aumentano a vista d’occhio. Su entrambi gli argomenti se ne discute in “talk show” organizzati più per dare visibilità al presentatore (o ai suoi ospiti preferiti e spesso di parte) che per affrontare il problema. Riducendo il tutto a vicende di ordine pubblico, con “sfondo” la poca efficienza del governo in carica. Comprendere quali “maglie” della regolamentazione civica, negli ultimi trent’anni, sono state improvvidamente dilatate e che soluzioni potrebbero prevedersi, manco a dirsi. Credo pertanto che eventi del genere ve ne saranno ancora, prima che lo spettacolo delle loro gesta diventi oggetto di analisi serie e non di show mediatico.” E gli eventi, purtroppo, mi hanno dato ragione. Il numero delle donne uccise è cresciuto vertiginosamente giungendo oggi, nell’anno che corre, alla stratosferica cifra di 107. Ci lecchiamo le ferite dicendoci che in Germania e Francia hanno numeri più alti. Una vergogna gigantesca, per non dire dei risultati fallimentari di taluni interventi legislativi degli ultimi trent’anni diretti a modificare i paradigmi interpretativi: della funzione genitoriale; del ruolo del maestro di infanzia; del sistema di valutazione del merito o dell’interpretazione di certe norme poste a tutela della famiglia. Giorni fa, in una rivisitazione storica del pensiero e dell’opera del “politico” Giovanni Gentile -foto 1-,

ministro del governo fascista che nel 1923 organizzò la scuola in Italia, è stato finalmente scritto “La riforma Gentile fu una salvezza. Creò una vera classe dirigente che guidò i successi del paese nel dopoguerra”. Bene, la mia generazione ha iniziato il proprio corso scolastico in piena vigenza della riforma Gentile e l’ha conclusa tra le modifiche raffazzonate del dopo. Potrei ricordare tanti momenti sia del primo periodo, quando la maestra ci sgridava e ci metteva in “castigo dietro la lavagna” se andavamo a scuola senza aver fatto i compiti o se sporchi nell’igiene personale, che del secondo quando all’università i docenti avevano paura di andare a fare lezione in quanto dai “collettivi studenteschi” si pretendeva il “18 politico” o altre amenità del genere. Nella mia vita professionale ho avuto modo di leggere decisioni che hanno condannato insegnanti per non aver prevenuto l’evento di un bambino che, nel suo agire agitato, aveva procurato danni ad un altro nel corso delle lezioni o di altri insegnanti arrestati per violenze sessuali sui minori (chi non ricorda il caso della scuola materna di Rignano Flaminio -foto2-

che anni dopo si risolsero con assoluzioni piene). Ho letto di interventi devastanti nella famiglia con arresti di genitori o nonni per molestie sessuali sui figli o nipoti che poi risultarono non vere (chi non ricorda, nel 1990, il caso del prof. Schillaci -foto 3-

arrestato, con tanto di diretta televisiva, perché preoccupato che la sua piccola figlia Miriam di pochi mesi aveva una febbre persistente l’aveva portata in ospedale dove scambiarono un tumore per una violenza carnale e quel papà, fino a quel momento una persona integerrima, era sbattuto in galera patendo l’onta del pedofilo domestico). O di provvedimenti di sospensioni della patria potestà verso genitori che, per prevenire deviazioni dei propri figli (dei quali erano certi uscivano di casa per andarsi a drogare), ne limitavano le uscite o le pretese? Stravolgendo così il concetto del reato di “abuso dei mezzi di correzione” codificato in un tempo in cui l’abuso consisteva in ben altri comportamenti che avvicinavano l’uomo più alla bestia che agli umani. Se a ciò si aggiunge la deflagrazione che, almeno per quanto riguarda la società italiana, è avvenuta nella chiesa, ove in più casi la funzione sacerdotale è stata scambiata per una scappatoia per l’esercizio dei propri istinti omosessuali o di pedofilia, possiamo forse comprendere il perché i nostri figli oggi sono così fragili e fuggono verso estremità violente che l’assassinio di Giulia conferma ancora una volta. Il dato di fatto è che la mia generazione non ha saputo e non ha potuto fare il genitore. Non ha saputo in quanto l’immaginario della famiglia che gli era giornalmente presentato, da un sistema informativo o rappresentativo, era completamente diverso da quello nel quale era cresciuto (ove sia i genitori che gli insegnanti esercitavano un deciso ruolo formativo partecipato da quei tanti NO). Non ha potuto in quanto la velocità impressa alla società ha avvolto la famiglia in un vortice ove, al centro, i bambini restano sempre di più affidati a terzi, e i genitori correre per lavorare. Ai lettori ricordo qualcuna delle tante espressioni, vuote, che hanno segnato i percorsi demolitori sia della famiglia che della scuola “ai bambini non bisogna mai impedire di sviluppare la propria autonomia e autoregolamentazione” – “Il barattolo della calma offre al tuo piccolo una soluzione per gestire lo stress”. Espressioni che non solo hanno disorientato ma portato i genitori a ritenere che solo dando ai figli sempre di più, avrebbero adempiuto la loro missione. E così “il telefonino appena parla”, “il calcetto o la danza appena cammina”, “la play station”; etc, etc, etc. in un contesto familiare condito, sempre più, da litigi, da distacchi, da privazioni riempite da programmi televisivi, spesso violenti o per dementi. E ci si meraviglia se i giovani di oggi sono fragili e violenti? Io no. Mi fa rabbia quando sento o leggo la parola “femminicidio” e non “omicidio di una donna” o quando si scrive che l’omicidio di Giulia è stato generato dalla “cultura del patriarcato”. Cari lettori, il patriarcato è tutt’altra cosa e chi lo usa nella vicenda di Giulia non sa cos’è. Basta sentire solo quello che hanno detto i due papà (di Giulia e di Filippo), persone eccezionali, per convincersene. Solo nei commenti di due specialisti ho riscontrato onestà intellettuale di analisi. Il prof Crepet (psichiatra) che ha parlato di fragilità giovanile dovuta “a genitori che non sanno più dire di no ai propri figli”, che “usano troppa gomma piuma con i ragazzi” -che “I sentimenti si imparano vivendo e non solo a scuola”; e il prof. Ammaniti (psicanalista dell’età infantile) che, finalmente, ha detto “le differenze di genere ci sono e non le possiamo cancellare. Né dobbiamo farlo. Riconosciamo le differenze di genere e il rispetto dell’uno verso l’altro. Capiamo l’importanza dell’empatia”. Ne vien fuori che i metodi educazionali tra maschi e femmine vanno rivisti in un panorama diverso anche sotto il profilo normativo. Dobbiamo avere il coraggio di dire, una volta e per tutte, che, dal 1968 in poi, la società italiana, costruita sulla famiglia da uomini e donne che avevano patito i disastri della guerra, della fame e della dittatura politica, è stata progressivamente sgretolata da divagazioni di pensiero che, incidendo sui metodi educazionali e di insegnamento, hanno negativamente orientato l’evoluzione della società di oggi. Il proverbio della mia mamma non stava a significare che il genitore doveva riempire di botte il figlio indolente, ma che i genitori dovessero avere quella autorevolezza necessaria che gli consentiva di porre dinieghi per arginare comportamenti perniciosi dei figli. Dinieghi dei quali Ella si dichiarava fiera di averli imposti. acuntovi@libero.it