LE DONNE TRA PATRIARCATO E GUERRA. DI VINCENZO ACUNTO

La Rai nell’ultima settimana ha mandato in onda il film “La luce nella masseria” e la prima puntata della fiction “La Storia”, che hanno affrontato i temi del patriarcato e della guerra di cui tanto si è discusso sui media.  La prima era ambientata in Basilicata a metà degli anni 60, la seconda a Roma agli albori del 1940, con le prime manifestazioni di intolleranza razziale a seguito della meschina legge e l’inizio della presenza tedesca nel nostro paese. Per chi come me ha avuto i genitori che avevano patito gli obbrobri della guerra, e ha vissuto il trapasso dalla povertà assoluta post bellica alla resurrezione economica successiva e la decadenza dell’oggi, è stato come rivivere sensazioni vissute da vicino. Per cui sono grato al servizio pubblico per aver mandato in onda queste pellicole che, ritengo, sarebbe utile proiettarle, come lezioni di apprendimento, nelle scuole dell’obbligo affinché i nostri ragazzi che sembrano sommersi da occupazioni (molto spesso devianti) abbiano cognizione del grande dono che la libertà e la famiglia hanno dato ad ognuno di noi e conseguenzialmente a loro. La pellicola “La luce nella masseria” poneva in risalto il tema del patriarcato nel sud Italia ove un padre, mai padrone e senza impedire libertà a qualcuno dei suoi figli, riusciva a tenere unita la famiglia rendendola mutuabile dell’uno verso l’altro col semplice motto “quando ci si parla si evitano le guerre”. Motto che i figli, alla sua morte, stimolati dalle perfide sirene del denaro offerto loro da imprenditori vogliosi della loro proprietà, infrangevano litigando tra di loro. I nipoti del “patriarca” (tutti piccolini) si opposero privilegiando il senso dello stare insieme e di fare sistema riuscendo a convincere i loro genitori a proseguire nell’attività contadina. Così come aveva insegnato loro il nonno.  In nessuno dei componenti di quella famiglia, che pur viveva difficoltà economiche pesanti, balenava in testa di compiere atti contro le istituzioni, la morale o verso gli altri. Ergo: “il patriarcato non è affatto quello che è stato identificato da tanti dotti in televisione a seguito dell’assassino della ragazza da parte del fidanzato, ma una unione familiare che riconosce e accetta i valori segnati dal capo famiglia e vive una mutualità sia nel bisogno che nella gioia. Con l’ovvia libertà per chi non è d’accordo di andare altrove”. Questo era il patriarcato delle persone perbene. Quello dei delinquenti era soltanto una propaggine di talune indoli criminali, mai corrette, e non altro. La fiction “La storia” ripercorre, invece, il clima degli inizi della guerra con l’arrivo dei primi soldati tedeschi che, un po’ come succede a quei giovani che vengono mandati al fronte in Ucraina o in medio-oriente, vivevano in una condizione di sbandati lontani dalle loro case, dai loro affetti, con una uniforme per vestito che non solo li rendeva invisi ma anche goffi. Che, nella disperazione della solitudine, per la lontananza dalla casa e dagli affetti, si lasciavano andare alla ricerca di vino per ubriacarsi o di donne da stuprare. Questo era e rimane, crudelmente, il contesto di una guerra. Quale essa sia e dove sia. Ragazzi strappati all’affetto dei loro cari, molto spesso poco più che bambini, obbligati a partire. Affidati, in tanti casi, a superiori senza scrupoli, obbligati a premere il grilletto o far brillare una bomba, che ucciderà suoi simili, al semplice grido “fuoco”. E, tutto questo, mentre chi decide delle loro vite, resta blindato in palazzi riscaldati, ovattati, con servitù sempre pronta a risolvere ogni loro desiderio. Perché non vanno anche loro “al fronte”? Perché non indossano anche loro la divisa e gli scarponi che quando affondano nel fango richiedono una forza fisica incredibile per rialzarsi? Perché non mandano i loro figli in prima linea invece di tenerli in collegi di lusso? Io sono figlio di un reduce della guerra in Russia, che per miracolo salvò la pelle nella disfatta di Stalingrado. E posso dire, per racconto diretto, cos’è la guerra. Mio padre ricevette, dalle mani del vigile urbano del paesello in cui viveva, la cartolina di precetto che gli imponeva di recarsi a Napoli presso la Caserma all’Arenaccia. Gli fecero una visita sommaria e gli presero le misure per la divisa.

Dopo pochi giorni dovette ritornare e fu assegnato al battaglione “Torino” che nel 1941 partì per il fronte russo, senza che nemmeno gli comunicassero dove stessero andando. Trasportato, con tanti altri, come merce, su autocarri della Fiat, seduti uno vicino l’altro su assidi legno coperti da un telone. Gli fu assegnato il compito del “lanciafiamme” (cioè quei soldati di prima linea che portavano sulle spalle una specie di pompa del verderame piena di benzina con la quale si accendevano le sterpaglie per lasciar comprendere la natura del territorio e far avanzare la fanteria).

A German solider aims a backpack flamethrower across a field of tall grass, Soviet Union, 1941 or 1942. The image was originally published as ‘Das Heer im Grossdeutschen Freiheitskampf’ (translated as ‘The Army in the Greater German Freedom Struggle’), a collection of 50 plus images taken by the German Army’s combat photography unit (Propagandakompanie) during the German invasion of the Soviet Union. (Photo by R. Grimm/PhotoQuest/Getty Images)

Non potette nemmeno dire a sua mamma, già vedova (era figlio unico), dove sarebbe stato destinato. Mia nonna per due e più anni non ebbe notizie del figlio. Quando tornò e bussò al portone di casa lei, in ciabatte di pezza, mentre accudiva qualche gallina per l’uovo giornaliero, lo guardò restando impietrita e senza parole. Lo strinse a sé, immaginando fosse un fantasma: Lasciando la presa si diresse in cantina ad ubriacarsi per la gioia! Le donne che hanno i figli in “età militare” riescono a rendersi conto dei pericoli ai quali la società sta andando incontro, con il rischio concreto che i nostri figli possono esserci strappati per mandarli a fare cose che nemmeno immaginano (come i ragazzi della fiction)? Non ritengono esse che, sia giunto il tempo di gridare, verso chi comanda e chi non fa nulla in tunica immacolata, il loro disappunto per certe decisioni che coinvolgeranno le loro famiglie e i loro figli in realtà sempre più tragiche? Io credo che, la velocità con la quale, irresponsabilmente, si accendendo focolai guerreschi in più parti del mondo, impone una presa di coscienza forte da parte di tutti ed in particolar modo delle donne che, con il mezzo delle tante associazioni alle quali partecipano, facciano sentire, subito, la loro voce e spingono i propri uomini ad un facere non più rinviabile. Non è più accettabile che, sui media, si continui a discettare, in postura da salotto, di patriarcato o di guerra senza sapere nulla di entrambi i fenomeni. acuntovi@libero.it

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