Visto che in questi giorni le parole che sono echeggiate a Barano e in tutta l’Isola – uscite dalla bocca di chi ha visto la scena da lontano, ne ha sentito parlare, ha cercato una spiegazione o ha voluto trovare una spiegazione – poco hanno saputo ricordarti, ho deciso di dare voce al mio cuore.
Caro zio,
Non ho parole di conforto per zia e i ragazzi.
Non ho parole per spiegarmi e spiegargli cosa è successo lunedì sera.
Non ho parole da indirizzare al Signore per chiedere che ti accolga tra le sue braccia.
Non ho parole e non voglio cercarle; cercarle significherebbe ammettere che non ci sei più.
Agli amici che mi hanno chiesto che tipo eri ho detto tutto e niente. Non è possibile ridurre un uomo a qualche aggettivo stereotipato, figuriamoci te.Abito in un’altra città e quindi, purtroppo, ci vedevamo poco. Ma ricordo il tuo “we sarettì” che mi accoglieva quando entravo in farmacia all’improvviso e senza preavviso. Ricordo il tuo sorriso e la passione quando mi tenevi ore a parlare del tuo cane o di musica italiana. Ricordo come eri fiero di me perché avevo scelto il liceo classico prima e giurisprudenza dopo. Ricordo la tua battuta pronta, ma non di quelle banali, le tue erano argute e giocavano sul diverso significato che le parole assumevano nei diversi discorsi.
Ricordo di una volta in cui mi hai detto con aria fiera, mostrandomi un articolo di giornale, “guarda Saretta, guarda che cosa ho scritto” e abbiamo parlato per ore di un episodio che, ancora oggi, mi fa ridere a crepapelle. Si tratta di quella famosa mostra canina in cui il tuo amato bracco non era stato valutato come meritava ed era stato definito “leggero” e ricordo del tuo fervore nel cercare di trovare una spiegazione plausibile a quell’aggettivo che proprio non ti andava giù. Rido pensando alle parole di zia che cercava di placare la tua irruenza. Rido ricordando le espressioni di Anna e Michele che, dietro al bancone e indaffarati come sempre, tuonavano perché tu li aiutassi a smaltire i clienti e tagliare corto con una storia che, probabilmente, avevano sentito mille volte. Spesso, tra il serio e il faceto, zia si chiedeva a chi volessi più bene, visto che, il tuo adorato cane ti aspettava ogni giorno per leccarti il viso e godere delle tue coccole.
Tu eri cosi: “guai a chi tocca il mio cane…”
Non tutti possono sapere che tu eri uno dei più grandi estimatori di Sofficini Findus. I nutrizionisti avrebbero da ridire ma tu li adoravi. Ti ho invidiato per il fisico asciutto e longilineo che sfoggiavi nonostante la quantità di cioccolata che facevi fuori, zia mi raccontava di tavolette alle nocciole che mandavi giù intere la sera davanti alla TV. Per non parlare dei barattoli di Nutella che finivano in poche ore e che io, data la mia costituzione fisica, potevo vedere con il cannocchiale. La quantità di Nutella che riuscivi a mangiare a qualsiasi ora era impressionante. Mamma che invidia.
Tu eri così: “guai a chi tocca la mia Nutella…”
Sono molte le cose che nessuno sa di te perché non a tutti permettevi di conoscerti e di apprezzarti fino in fondo.
Tutti ti conoscevano come “il farmacista di Barano”, pochi ti conoscevano, semplicemente, come Aniello Garofalo: uomo buono, altruista, simpaticissimo, innamoratissimo della moglie a cui ogni giorno portavi il caffè a letto e che riempivi di attenzioni, orgoglioso dei figli, amante della natura e della caccia, atleta del tiro a piattello, bevitore di acqua ghiacciata sia d’estate che d’inverno, cuoco: ricordo in uno dei pochi Natali trascorsi insieme quanto ci hai messo per preparare i tuoi fichi ripieni e ricordo le espressioni di zia mentre con calma sistemavi ogni cosa; per non parlare del tuo coniglio all’ischitana che non ha eguali. Divoratore di dolciumi vari, pescatore di totani – mia madre e mio padre ricordano sempre quella notte passata in barca con te e zia mentre, senza alcun risultato, cercavate di tirar su qualcosa – uomo di sani principi ed educatissimo, conoscitore della lingua latina e greca, amante della musica italiana e di Renga in particolare, legatissimo ai figli che solo tu potevi ammonire ma che se venivano attaccati da qualcuno erano guai, ma soprattutto in pochi hanno potuto ammirare la luce che brillava nei tuoi occhi quando hai preso in braccio il tuo nipotino che potrà conoscerti solo attraverso le parole di chi ti voleva bene.
Parole come quelle che io non sono riuscita a dirti.
Non voglio chiudere questa lettera, ho paura di mettere un punto e dirti ciao, non voglio dirti ciao.
Ho paura di dire banalità.
Perciò mi affido alle parole di qualcun altro, una frase del tuo cantante preferito: “Angelo prenditi cura di lui”.
Con affetto.
Sara.