LA BOLLENTE STORIA D’AMORE TRA NGIOLETT’ E MADAME. DI VINCENZO ACUNTO

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Dalla raccolta dei “racconti sotto l’ombrellone” in edizione aggiornata.

La bollente storia d’amore tra Ngiolett’ e Madame (di V. Acunto)

Anno 1963, mese di ottobre, in un tramonto rosso fuoco la motonave “Delizia” (che copriva la tratta da S.Angelo
d’Ischia a Capri e viceversa) annuncia, con due fischi, il suo arrivo nel porticciuolo di S.Angelo. La manovra è
particolarmente difficile per il maestrale ma la maestria del comandante Adolfo Iacono, consente l’attracco in
pochissimo tempo e, senza problemi dalla nave scendono i turisti felici per l’escursione all’isola di Tiberio. La
“dogana dei banchinari” li passa in rassegna, ad uno ad uno, per saggiare la loro soddisfazione del transfert, pronti a
commentare eventuali mugugni degli escursionisti. Tutti si accorgono che, rispetto al mattino, vi era un passeggero in
più. Una donna minuta, di carnagione scura, scapigliata, con uno zainetto sulle spalle che, con camminata
ciondolante, s’avvia verso il centro del paese, guardandosi continuamente intorno. Appare estasiata dai luoghi che
ammira incuriosita e chiaramente gaia. Legge l’insegna “Locanda la Conchiglia”; entra e prende posto dalla signora
Agnese (Ngesin a Conchigl’). Gli “acchiapponi” del posto, sempre affamati di novelle prede, la passano ai raggi X e
scuotendo il capo, convengono che “non ne vale la pena”; l’insieme non manifesta stimoli per fauci sempre affamate.
La new entry, dopo poco, esce dalla locanda e si dirige per l’istmo, verso la montagnola incolta che i locali chiamano
“la torre”. Si ferma più volte ad ammirare il sole che, a ponente, scende dietro la “punta del chiarito” in un mare
luccicante del quale il maestrale le consegnava profumi inebrianti. Giunge sotto la torre, nei pressi della scuola (ove è
oggi l’Ufficio marittimo) che, solo pochi giorni prima, con una cerimonia sontuosa, il Sindaco del comune aveva
consegnato alla direttrice didattica come “nuovo plesso” per le classi terza, quarta e quinta elementare. Con altri 13
bambini, occupavo l’aula pluriclasse (terza e quarta elementare) che dava sul retro verso la montagna. Le aule erano
bellissime, ariose ed assolate, e senza paragone con quelle lasciate nella casa “lu parchian -ncopp’zenn’a marie”.
Erano custodite, dalla piazza antistante, da porte con ampie vetrate che nelle giornate calde erano lasciate aperte per
consentire l’areazione degli ambienti. Per cui spesso ci si distraeva per quanto avveniva all’esterno, trafficato dai
turisti, che in quel tempo cominciavano a far capolino a S.Angelo che a ottobre erano ancora in tanti o occupata dai
pescatori intenti a rammendar le reti. Tra gli stanziali, fissa era la presenza di “Ngiolett”. Un uomo del posto di nome
Angelo, di carattere mite e cordiale che, per essere piccolo di statura ed abitante nei pressi della scuola, il suo nome
era stato declinato in “Ngiolett e sotto’a torr”. Diminutivo che Angelo non gradiva in quanto avvertiva in esso un
senso dispregiativo a cui addebitava lo scarso successo con le donne del posto che lo respingevano sistematicamente.
Anelanti, com’erano, di qualche giovane, aitante e ricco, che le affrancasse da quel paese di povertà. Ngiolett si
sentiva inadeguato e, patendo un complesso di inferiorità, s’era allontanato dalla piazza e dai suoi occupanti che, pur
senza dirlo, odiava ogni qualvolta lo chiamassero “Ngiolett”. Trascorreva le sue giornate impegnandosi in qualche
piccola attività di pesca o aiutando “Paolo” nella bottega di maestro d’ascia. Nel tempo libero si sedeva sul muretto a
protezione della piazza, con lo sguardo perso nel vuoto ad ammirare Sant’Angelo mentre la mente vagava lontano.
La signora sbarcata dalla Delizia, senza accompagnamento e senza considerazione, aveva completato
l’attraversamento dell’istmo. Ngiolett l’aveva notata e, come era capitato tante altre volte l’aveva seguita con lo
sguardo. Giunta nei suoi pressi, la donna rallentò il passo e gli sorrise. Ngiolett, incredulo per il saluto, rispose con un
altro sorriso mentre lei passava oltre. Giunta sugli scogli della “puntella” si sedette ad ammirare la spiaggia dei
maronti e l’isola di Capri che in lontananza ancora magnificava lo sguardo con la sua sagoma a forma di nave. Non
c’era la scogliera grande di oggi e, pur incominciando ad imbrunire, non resistette all’idea di fare un bagno in quelle
acque, per lei, così invitanti. Si denudò e si tuffò. Ngiolett che con un occhio guardava il paese e con l’altro il fare
della donna, al rumore del tuffo si destò e vide che era entrata in acqua completamente nuda. L’uomo sentendosi
inadeguato a restare dov’era, non volendo mettere in imbarazzo la straniera si ritirò avvertendo uno
scombussolamento dei suoi sensi, non avendo mai visto prima di tal momento una donna nuda che con tal
naturalezza si bagnasse. Si acquattò dietro una barca, per assistere allo sbarco di lei che, ritornata dalla nuotata, si
mostrò essere priva di inibizioni. Completamente nuda si fece asciugare dal fresco ponentino e poi, raccolte le sue
cose, coperta da un pantaloncino ridotto e di un reggiseno nero, riprese la strada per la locanda. Ngiolett dalla sua
postazione aveva seguito la scena, si mosse e fece in modo di incrociare la donna. Le sorrise ancora; fu ricambiato e
senza dire nulla ritornò sul muretto. Allontanandosi la donna gli aveva detto “bonsuar”. Ngiolett, non aveva capito e
restò a rimuginarci sopra (ripetendo a cantilena bon-suar…bon-suar) sentendosi, forse per la prima volta, considerato
da una donna in modo positivo. Il mattino successivo era giorno di scuola. Le porte restarono aperte per il caldo e
notammo che Ngiolett, rispetto al solito, era particolarmente agitato e più ordinato nel suo vestiario. Paolo, il maestro
d’ascia, lo chiamava perché andasse in bottega e lui “Nun pozz’venì, teng che ffà”. Pensammo che fosse nervoso.
Verso le 10 comparve la donna della sera precedente. Per noi, ragazzini abbastanza discoli, fu una novità “eccitante”
vederla camminare per la piazza con un costumino succinto che quasi gli cadeva dal corpo, andare verso gli scogli.
Era sola. Ngiolett’ nel vederla si destò e si posizionò affinché la donna lo notasse. Col suo andamento ciondolante,
incrociandolo, gli sorrise e, in una lingua per noi incomprensibile, gli disse “buonjur”. Ngiolett pur senza comprendere disse “buongiorno” e sorrise fiero. Chiedemmo al nostro maestro Giuseppe Foglia (uomo garbato e
particolarmente affascinante in sogno di tutte le donne in età da marito) che lingua era quella appena ascoltata e lui,
con garbo didattico, “è una signora francese. Ha detto buongiorno”. Poi, quasi a giustificare l’abbigliamento di lei,
aggiunse ”le donne francesi sono da sempre abbastanza disinibite”. Ngiolett’ che per la prima volta non registrava la
presenza ingombrante degli acchiapponi paesani, con i quali non avrebbe avuto partita, si mostrava particolarmente
indaffarato. Da una specie di grotta che era di fronte alla nostra aula, uscì, scalzo, in costume da bagno, con un
piccolo tridente tra le mani (‘u lanzaturo) ed una rudimentale maschera subacquea, trattenuta, dietro il capo con un
filo di ferro e raggiunto lo scivolo delle barche si tuffò e, dopo aver nuotato un poco, giunto all’altezza di dove s’era
posizionata la donna a prendere il sole, si diede da fare per raccogliere ricci e padelle che abbondavano. La donna lo
seguiva con lo sguardo e Ngiolett di tanto in tanto metteva fuori la testa dall’acqua e le sorrideva. Giunto nei pressi di
lei, Ngiolett con insospettabile agilità, risalì dall’acqua e si sedette dandosi da fare a pulire i ricci e le padelle che
mangiava lentamente. La donna incuriosita gli si avvicinò con fare curioso. Ngiolett’ avvertì nuovamente lo
scombussolamento della sera precedente. Quel corpo seminudo lo turbava. Aprì un riccio e lo offrì alla signora. Lei
disse “cos’ è?”. Ngiolett’ non sapendo rispondere le fece vedere come mangiarlo, ingurgitando in un baleno il frutto,
rosso fuoco, uscito dal guscio. La donna seguì la mossa e ingoiato il frutto, sgranò gli occhi dicendo “meraviglios”.
Ngiolett comprese la parola e si dette da fare aprendo tutto il raccolto marino che offriva progressivamente alla
signora che gustava con manifesta avidità. Ngiolett’ avvertendo un crescente tumulto dei suoi sensi, provocato dal
discinto abbigliamento della donna, con uno scatto felino si lanciò in acqua. La temperatura del mare gli fece
recuperare il suo aplomb e decise di risalire. La donna lo seguì in acqua continuando a dire qual cosa. Ngiolett pur
non comprendendo rispondeva con dei ripetuti “si- si” rendendosi conto di trovarsi in una condizione nuova e bella
mai avvertita prima. D’un tratto non sentendo movimenti attorno a se, si girò e notò che la donna, poco distante, è
dritta, sembra stecchita sull’acqua. Ha un sussulto. Pensa ad una congestione per i tanti frutti mangiati. Con due
bracciate gli è vicino, gli passa il braccio sotto il capo per portarlo fuori dall’acqua e si industria per raggiungere la
riva. Lei avvertendo la sensibilità e delicatezza dell’uomo, con una mossa felina, si gira e, notando lo stupore nel viso
di lui, gli stampa un bacio sulle labbra. Si aggrappa agli scogli e risale. Ngiolett’ non sta in sé. Non sa se è più
contento del fatto che la donna non era morta o del bacio ricevuto. La guarda da dietro. Lo slip quasi gli cade di
dosso. Pur se molto magra e non tanto giovane, la vede ugualmente attraente e la sente dolce. Per la prima volta gli
“acchiapponi” non rompono le scatole e lui realizza che, forse, può avere una donna tutta per sé. In un attimo i
dispiaceri della sua esistenza sono svaniti e si dà ad una nuotata tonificante. Grazie a quella donna, si sente uomo in
ogni sua sfaccettatura. Lei dagli scogli lo segue e gli fa cenno di avvicinarsi. E’ora di pranzo e deve andare e che
ritornerà “après-midì”. Ngiolett’ pur non comprendendo, è certo che essa tornerà. Quando lei ritorna, è già pronto
con una barchetta semi-sgangherata, sulla quale, a gesti, la invita a salire. Lei sale, è serena avendo compreso di
potersi fidare di quell’ uomo al quale, in un italiano stentato, gli chiede “come ti chiami?” e lui le dice “Angelo”. La
donna Angelo? Io, puntando il dito su di sé, Angela. Lui sorride e, poiché gli sembra strano chiamarla con il suo
stesso nome (che non amava per quel diminutivo che gli era stato affibbiato), la battezza, seduta stante, con
l’appellativo di “Madame”. La donna della Delizia diventa così, per tutti, “Madame”. La barchetta si indirizza verso
la “grotta dell’elefante e “Madame” esprime, ad ogni remata, la sua gioia con continui “oh- uì; oh-uì”. Ngiolett la
porta nella grotta che gli illustra a gesti e “Madame” dice “Ui- Uì -Elèphant”. Gli mostra poi lo scoglio detto “della
principessa” per la sua distesa liscia e Madame, sentendo la parola, capisce che ella (pur bruttina com’era) era
diventata per l’uomo, la sua principessa. Ride di gusto dicendo “je suis la principess?- Ui Ui”. Sono nei pressi dello
scoglio. Madame si tuffa e si aggrappa allo scoglio, sale e vi si distende. Con la mano invita Ngiolett a seguirlo. Lui
si guarda intorno. Sono soli, intorno non c’è nessuno. Non s’avvede nemmeno che noi, ragazzini terribili, li avevamo
seguiti arrampicandoci sugli scogli, fin dove potevamo. Madame è distesa al sole come una lucertola e si mostra
contenta. Ngiolett realizza che è giunto il momento della sua vita. Ora o mai più. Lega il barchino ad uno sperone di
roccia e a nuoto raggiunge lo scoglio. E’ai piedi di Madame e gli fa il solletico sotto il piede. Madame ride divertita e
con la mano gli fa cenno di portarsi su. Il suo armamentario dei sensi è quasi scoperto. Ngiolett sale e, pur senza
esperienza attiva, come una calamita, scivola sul corpo di Madame che non si ritrae e gli carezza la schiena. Ngiolett
è un vulcano pronto ad esplodere ma non sa come procedere. La sua mascolinità, ancora intatta, precipita, per fatto
naturale, nella faglia a cui la donna aveva tolto ogni protezione per, evidente, astinenza prolungata. La donna,
avvertendo l’agognata invasione, ha un sussulto; le pupille gli si dilatano e rotolano all’indietro emettendo un suono
gutturale. Ngiolett si gela. Pensa che Madame abbia avuto una sincope e fa per ritirarsi. Lei avverte l’arretramento
del maschio e con un secco “nooo” lo tira a sé, inarcandosi con lui. Come una aragosta in amore, con le sue esili
gambette cinge le natiche dell’uomo stringendolo con una forza inimmaginabile. Ngiolett realizza che va tutto bene
e, pur non avendo esperienza di tecnica amatoria, prosegue dandosi completamente al piacere, eccitato sempre di più
dai mugolii di Madame e dalle parole della stessa che gli grida “anchor – anchor”. Ngiolett, non sapendo della
particolarità che le donne francesi che all’apice del piacere sono solite dire “anchor”, ritiene che ella lo inviti a
proseguire e poiché la sua “polveriera” è intatta, continua senza sosta. Noi, ragazzini terribili, resici conto che dalla
posizione raggiunta non vedevamo nulla, ma sentivamo solo delle grida poco comprensibili, non sapendo di cosa si
trattasse, avevamo fatto ritorno sulla piazza a giocare a pallone. Paolo, il carpentiere, ci chiese se avevamo visto Ngiolett e, candidamente, dicemmo che era sullo scoglio della principessa dove la donna gridava “ancora, ancora”.
Nel frattempo, sullo scoglio “Madame” era esausta. In un lampo di pausa del mitragliatore, con voce flebile, dice a
Ngiolett’ “alt, Je suis mort”. Ngiolett, sentendo la parola “mort” capisce che si deve fermare subito. Recuperata la
donna una autonomia d’azione fa capire a Ngiolett, ancora pronto a ripartire, che desidera tornare a riva. Recuperata
la barchetta tornarono a riva. Ngiolett, da perfetto gentiluomo, aiuta la donna a scendere sugli scogli e poi gli
cammina di fianco gesticolando e farfugliando. Sembrava, nel passo, che lievitasse, mentre quello di Madame era più
sbilenco del solito con andamento chiaramente sinusoidale. Lei andò via verso la locanda e Ngiolett restò da solo con
Paolo che lo redarguiva per averlo lasciato al lavoro da solo. Ha uno scatto d’orgohlio e rivolto all’amico “ma che me
ne mporta e sti quatt’ varch fracit. Dopp 50 ann’ finalmente agg’ tenuto na femmen tutta pe mme”. Paolo lo guarda
con apprensione. Ripreso il suo “self controll” gli dice. “Te’ si fatt’ a chella là?” e Ngiolett “Si pecchè ch’ tien a
dicer’?”. E Paolo “Nient. So cazz’ tuoi! Almen’ si stat’ attient’ a nun a mett’ pren”? (incinta). Ngiolett, dopo aver
appreso i rischi di un rapporto senza controllo, sbianca in volto e dice “Io nun agg’ capit chiù nient. E mo comm’ se
fa? Se l’ho messa pren’ è nu’ guaio gruoss’.” Paolo è un uomo pacato ed un vero amico. Ci pensa un poco e dice
“dobbiamo chiedere al dr. Brussier”. Egisto Brussier non era del posto. Aveva sposato una possidente locale ed
abitava anche egli “sotto la torre”. Era di carattere schivo e riservato e dava poca confidenza alle persone.
Manifestava un aplomb altezzoso e quando attraversava l’istmo, dà e per la piazza con passo corto e veloce,
sembrava un clinico che si muoveva in una corsia d’ ospedale. La sua parlata in italiano forbito ed il suo nome con
desinenza esterofila, aveva determinato nel popolino santangiolese, il convincimento che fosse un medico. Di talchè
Egisto Brussier, dal popolo, era stato laureato in medicina ed insignito del relativo titolo accademico. Brussier
godeva di tale considerazione e nulla faceva per smentirla. Paolo e Ngiolett aspettarono che il “dottore” rientrasse e,
quando lo videro arrivare, Paolo, che aveva miglior rapporto con lui, lo salutò con la deferenza che si deve ad un
clinico e gli espose il caso nel mentre Ngiolett capuzziav. Il dr. Brussier, che nel suo linguaggio usava, spesso, un
intercalare di gravità e meraviglia, sentito Paolo, disse subito “accipicchia questo è un problema”. Rivolgendosi a
Ngiolett gli chiese con gravità “Lei quante volte ha concluso il rapporto senza precauzione?” Ngiolett non capendo
nemmeno cosa volesse dire Brussier non seppe rispondere. Fino al momento in cui madame non gli avesse detto “Je
suis mort” non si era fermato e il dottore “accipicchia, questo è un problema ulteriore”, aggiunse “Il rilassamento
femminile creare in genere le migliori condizioni per la fecondazione”. Paoluccio “dott’ è na cos’ grav? Brussier,
con il mento tra le mani, con espressione grave, disse “devo vedere la paziente”. Paolo rilevò che la donna non
parlava una parola di italiano essendo francese e sentì Brussier che diceva e “ce n’est pas un problème”. Notando
l’incredulità dei due paesani aggiunse “ho detto che non è un problema”. Paolo osservò che era difficile dire a
Madame di farsi visitare per aver fatto l’amore con Ngiolett’ che con espressione gravida d’ansia seguiva il discorso.
Paoluccio notando il suo affanno “strunz’, dieci vot’ strunz’. A primm’ che t’è capitat’ nun e capit’ chiù nient’ ‘e ui
lloc. Strunz’ nata vot’”! Brussier compresa la difficoltà per la visita corporale nonché la sua per non essere medico e,
recuperando il suo aplomb, disse “basta che la guardi camminare e vi dirò”. Madame nel frattempo era stata alla
locanda di Agnesina, s’era riordinata alla meglio e, consumata una frugale cena, decideva di ritornare sotto la torre
dal suo uomo. Era ancora in estasi del pomeriggio trascorso. Ngiolett’ la vide arrivare e avvisò Paolo perché
chiamasse Brussier. Il dottore uscì subito di casa e si diresse verso l’istmo, dopo aver intimato ai due “non vi
muovete di qua”. Incrociata Madame, Brussier si fermò e la osservò, da capo a piedi inclinando ed alzando più volte
il capo. La donna, sentendosi osservata, gli sorrise e gli disse “bon suar” e “il dottore” rispose in francese (o pseudo
tale) con gentilezza e distacco. Brussier si girò per seguire la donna con sguardo indagatore e mento nella mano
destra, fino alla piazza. Lei incontrò Ngiolett’ che salutò con un bacino sulla guancia e guardandolo più volte
intercettò il suo turbamento che non comprese e, insieme, andarono verso gli scogli. Ngiolett’ si sentiva nervoso,
diverso e distaccato da Madame, che non comprendeva la metamorfosi. Brussier sulla piazza si fermò e raggiunto
immediatamente da Paolo gli comunicò il responso “vista l’età del soggetto, la sua magrezza, la sua camminata
sbilenca, non rilevando sospette modifiche al ventre, escludo, categoricamente, che possa essere gravida”. Paolo,
attentissimo all’eloquio “medico”, timidamente chiese “Che significa dottò che non è gravida?”. Brussier, infastidito
per tanta ignoranza, replicò “significa che non è prena, come dite voi del popolino”. Paolo abbracciò grato il dr.
Brussier, sentendosi anche lui sollevato e raggiunse, immediatamente, Ngiolett’ seduto sugli scogli, con Madame, per
comunicargli il responso dicendogli “ Ngiolett tutt’ a post’. Ha ditt’ u dottor can un è prena” e rientro in bottega che
chiuse in fretta. L’evoluzione della notte tra Ngiolett e Madame non ebbe bisogno di altre parole. Ngiolett era
all’apice della gioia e, rilassato e felice, contava le stelle. Non immaginava minimamente che da un momento
all’altro tutto potesse finire. Anche Madame appariva felice, guardava il suo uomo negli occhi e gli carezzava il viso
e a malincuore gli sussurra “Scerì je doman partir. Je torn a paris”. “Non più largià”. Ngiolett dice “che cos’è il
largià” e madame con le dita gli fa capire che non ha più soldi per pagare la locanda. Ngiolett’ si gela, si rende conto
che il sogno di una vita sta per concludersi. A gesti le fa capire che desidera che lei resti. Madame “je vudrè ma non
aver largià”. Il cuore di Ngiolett’ va a mille e, in preda allo sconforto gli dice “tu dormi qui” e gli fa vedere il
terraneo di fronte alla scuola ove tiene custodite vecchie cose. Apre la porticina sbilenca e ripete “tu puoi dormire
qui”. Madame si guarda intorno. Lo squallore è enorme. Gli occhi di Ngiolett la implorano e lei dice “Issì?”.
Ngiolett’, che mai aveva detto una parola di francese, in un impeto supplichevole gli esce “ui issì con me”. Madame è commossa, abbraccia l’uomo e scuotendo il capo dice “okei, scerì, dimage je dormì issi avec vous”. Si lasciano e
lei va a dormire alla locanda di Agnese per l’ultima notte”. Ngiolett’ è nuovamente ai sette cieli. Durante la notte,
come un forsennato, si dà da fare per una pulitina del nido. Dà una spazzata ed una sistemata alle cose. Stende a mò
di materasso le vecchie reti che erano in deposito. Trafuga dalla panca di casa due lenzuola matrimoniali che sistema
sulle reti e, voilà, il nido è pronto. Alle nove di mattina arriva Madame con il suo zainetto sulle spalle. Ngiolett' è
sull’uscio ad aspettarla. Noi (ragazzini impiccioni) seguiamo la scena dall’aula. La porta del nido si chiude alle spalle
dei due. L’interno era a malapena illuminato dal sole che già alto riscaldava l’aria intorno. Dopo pochi minuti dalla
nostra aula, tenuta con le porte aperte per il caldo, incominciamo a percepire dei mugolii e poi, in modo sempre più
marcato, delle grida della donna che di tanto in tanto, diceva “anchor-anchor”. Era la stessa frase che alcuni di noi
avevamo sentito il giorno precedente dagli scogli ed alla quale non avevamo dato significato. Gennarino il più grande
d’età, il più sveglio e discolo tra di noi (forse aveva già capito tutto) esclama “e che stà succeden llà dint’.
Stann’scannan ‘u puorc?”. Il maestro Foglia notando la nostra disattenzione alla sua lezione, alza, in modo innaturale
per lui, il timbro della voce per richiamarci all’attenzione del suo dire. Poco dopo, cessate le urla, Madame esce col
suo costumino striminzito e con la sua andatura sbilenca, quasi disorientata, si dirige verso gli scogli e si tuffa in
mare. La giornata è bella e soleggiata e l’acqua è invitante. Dal tugurio esce anche Ngiolett’. Il maestro lo chiama e,
sottovoce, con molto garbo, gli dice, “signor Angelo mi raccomando: un po’ di discrezione. Qui c’è una scuola, ci
sono dei ragazzi”. Ngiolett’ non sa che dire e scrollando le spalle si allontana. La sera un gruppetto di noi, con a capo
Gennarino che ci aveva detto quello che poteva avvenire tra Ngiolett’ e Madame, presidia l’area per seguire le
evoluzioni e capire perché la donna grida così tanto. Paolo, vedendoci appostati, ci scaccia in malo modo. Il giorno
dopo ritorniamo a scuola ed il maestro ci comunica che, come da programma avremmo fatto lezioni di canto. Le
canzoni prescelte erano di sfondo patriottico, (l’inno di Mameli o il Piave) o religioso (Astro del ciel o Oggi e sempre
sia lodato…). Gennarino, essendo ripetente, le conosceva tutte. Era molto intonato e si dilettava anche a cambiare le
parole dei testi. Il maestro rivolto a noi tutti nuovi arrivati tranne Gennarino disse “ora Gennarino vi fa sentire il
motivo della prima canzone”. Gennarino non attese oltre e, mentre il maestro organizzava le sue carte,
incominciandosi a percepire i mugulii provenienti dalla grotta, e, sul motivo del Il Piave, intonò “Madame
mormorava calma e placida al massaggio, mentre Ngiolett’ facev’ e quatt’ e maggio”. Il maestro grida “stop- fermati
Gennarino” e in malo modo aggiunse “vergognati; un testo patriottico alla mercè della tua stupidità”. Proseguendo
“Oggi dobbiamo cantare le canzoni religiose non quelle patriottiche”. Le carte erano in ordine, il maestro legge il
testo che dice “oggi è sempre sia lodato Gesù mio sacramentato”. Gennarino conosce anche questa. Il maestro si
mette in posa da direttore di orchestra. Alza il lapis che diventa la sua “piccola bacchetta da direttore d’orchestra” e
proprio mentre sta per dare l’attacco del pezzo, dalla grotta Madame emette un grido forte dicendo “Anchor-
Anchor”. Il maestro ha un chiaro gesto di disappunto e sbagliando l’attacco, con voce alta, per coprire le grida di
Madame, canta “ancor e sempre sia lodato…”; Gennarino è in agguato e accodandosi al motivo prosegue “e madame
s’l’è…e mangiat’”. Il maestro, furioso come mai s’era visto prima d’ora, interrompe la lezione e ci porta fuori a fare
una passeggiata col chiaro intento di allontanarci da quel luogo divenuto “di perdizione”. Passiamo davanti alla
grotta dalla quale si sentivano urla sempre più incalzanti e al passo di “avanti marc”, tutti in fila, per due, andiamo
verso la piazza del paese. La mia oltre ad essere pluriclasse (terza e quarta) era mista; 8 maschi e 6 femmine. La
notizia delle grida provenienti dalla grotta, aveva fatto il giro del paese e raggiunto anche le case. Le mamme dei
maschi, tranne la mia, mostrarono indifferenza. Quelle delle femmine ebbero reazioni diverse. Alcune fermarono per
strada il maestro chiedendo, con sottile senso morboso, notizie dei due “schifosi” sui quali il maestro minimizzava,
altre si mostrarono più indignate e si manifestarono pronte per un intervento. Una delegazione di esse decise di
irrompere nel nido nel momento delle grida per porre fine allo sconcio. Si presentarono nei pressi della scuola
“Mnaculat a marunell”, “Prizetell’ e ncopp e chianar”, “Nunziat e Cuatr” e “Failin a monac”. La più infervorata era
“Mmaculat a marunnell”. Era una donna alta e corpulenta che pur rimasta vedova da molti anni del marito Antonio
(Nduniucc ‘u curt fratello di Ngiolett’), manifestava il suo status di vedovanza indossando abiti neri che gli
conferivano, in uno al suo carattere prepotente, il ruolo di rappresentante del gruppo. Nunziat’ e Cuatr’ stava lì con
atteggiamento indifferente mentre Failin’ a monac’ (detta così per il suo carattere schivo e frequentatrice assidua
della chiesa locale) si mostrava perplessa su quanto le era stato riferito. Anche perché ella, in passato, aveva respinto
il corteggiamento di Ngiolett’, andando in sposa con un bellimbusto di fuori che si era dimostrato molto più attratto
dalla bottiglia che dal talamo e, dopo sei anni di matrimonio, non le aveva dato la gioia di un figlio. Si appostarono
nei pressi della grotta e quando Madame iniziò il concerto, Mmaculat disse alle altre “Fatem j’ a mme e po ve facc’
vedè che succed’ ” e sbattendo il piede per terra si diresse verso la grotta. Giunta nei pressi della porta sbilenca pose
l’occhio nella fessura, sbirciò una prima volta e, mentre Madame riprendeva il concerto, si fece un po’ indietro, come
respinta dai decibil. Si strofinò l’occhio e riguardò dentro per un tempo molto più lungo, seguendo le performance
dei due. Si ritirò nuovamente e andò verso il gruppo, che era in ansia di sapere. Mmaculat le guardò, tirò un sospiro
profondo e con aspetto serio e parlata grave dice “Ngiolett è tal’ a qual’ a Nduniucc mio. Pit, pit ma ch’ potenz’. In
10 anni di matrimonio m’ha fatt’ fà otto figl’. Cu chella forz’, vecch’ comm’è, Ngiolett’ a fa ascì pren’ ”. Nunziat e
Cuatr e Prizetell’ e ncopp e chianar, si muovono per andare alla grotta. Mmaculat si mette in mezzo con le braccia
aperte impedendo loro il passaggio. Rivolta alle due “addò vulit ì?.Intravendo in “Ngiolett” la figura del suo defunto marito (di cui era gelosissima) disse ancora: “Andò vulit’ j?; Vulissev veré a Nduniucc mio annur?. Non si può”.
Stanno per prendersi per i capelli. Dalla grotta “il concerto” raggiunge toni alti. Mmacult’ contesta alle altre. “Io so
vecchia e vabbuò. Sit stat’ vui c’ avit’, semp’ schfiat a Ngiolett e mmò, lasciat’ u sfugà. Ca se ne veresse bbene. Iss e
a frances’ ” . Failin a monac’ scuote la testa e ciabattando s’allontana. Con le mani conserte, come usava fare in
chiesa, ha un sussulto e dice “Abbess’ saput’!! E, chi s’avesse pigliat’ a chillu’ scaulat’ che penz’ sul’ a buttilgl!!” Si
porta la mano destra alla bocca e si dà un morso sul dorso scuotendo il capo. Il vociare delle donne raggiunge la
scuola. Il maestro è costretto a intervenire per porre fine ai litigi. Con il suo parlare garbato e sereno, che trovava
molto credito nelle donne, confermò, con giuste parole, il principio enunciato poco prima da Mmaculat e che il
povero Ngiolett ora si stava prendendo la rivincita di una vita. La riunione fu sciolta e, ancora per qualche giorno le
cose andarono avanti così. Il tempo era passato e si era alla fine di ottobre. Al rientro a scuola, dopo la sospensione
per la pausa dei morti, notammo che Madame non c’era più. Chiedemmo a Paolo per quale motivo Ngiolett’ fosse
nervoso e, dopo qualche tira e, canticchiando una vecchia canzoncina napoletana “Palummella zomp’ e vol’ addò stà
nennell’ mia…” ci disse che Madame era partita. Ngiolett’ era triste non sapendo nemmeno come e dove poterla
raggiungere e ogni volta che sentiva Paoluccio canticchiare quel motivetto andava in bestia. Per tale motivo aveva
ripreso il suo vecchio tran-tran comportamentale tra noia e solitudine. Le giornate per lui erano lunghe, noiose e
tristi. Il ricordo del suo amore era struggente e vivo per cui con la mente si assentava spesso nelle settimane andate.
Succede, però, che verso la fine di novembre, la postina del paese giunge sotto la torre e, nella curiosità delle persone
del posto sempre pronte ad interessarsi per sapere chi e cosa scrivesse, a gran voce, chiama “Ngiolé o Ngiolè addò
stai?” Ngiolett rispose “stò ccà, che c’è”. La portalettere gli chiede “sei tu Ngiolett sotto la torre di S.Angelo
d’Ischia?”. Alla risposta affermativa, data con un cenno di testa e con le spalle, la postina gli consegna una cartolina.
La fotografia riprendeva la torre “Eiffell” simbolo di Parigi. Sul retro un lungo scritto che Ngiolett non sa leggere,
poiché in francese, che si concludeva con il disegno di un cuore all’interno del quale c’era scritto Madame. Ngiolett
realizza che è uno scritto del suo amore e che Madame, pur lontana, non l’ha dimenticato. Corre da Paolo perché
interceda con il dr. Brussier per far tradurre lo scritto. Brussier non è in casa. Paolo non lo vorrebbe scomodare
ulteriormente per tali vicende, ma Ngiolett è ansioso e lui cede. Ngiolett si posiziona alla testa dell’istmo e attende
fino a sera l’arrivo del dottor Brussier. Quando compare avverte Paolo che esce dalla bottega e va incontro al
“dottore”. Gli offre alcuni pesci che un pescatore, cui stava aggiustando la barca, gli aveva regalato la mattina e
Brussier manifesta gratitudine. Subito gli dice “dottò mi devi far nu’ favor. Mi devi dire che c’è scritto dietro a sta
cartolina”. Brussier prende la cartolina ehh….sospirando “Accipicchia quanto è lunga. Me la prendo e più tardi ti
porto la traduzione”. Ngiolett a Paolo “Chist’ ogni vot’ dice sta parola ca io nun capisc che vuole dire.”. E Paolo che
pur ha dovuto chiedere a qualcuno che significasse, di rimando gli dice “è come si vuless dicer ‘a facci e stu cazz’ “.
E Ngiolett “ma allor chist e sap’ u frances o no?”. E’sera inoltrata ma Brussier non dava segnali. Ngiolett non era
smanioso di saper cosa gli avesse scritto Madame. Bussa alla porta del dottore; entra e nota che Brussier è seduto ad
un tavolo con un vocabolario di Italiano/Francese. Alla richiesta se avesse tradotto la cartolina Brussier risponde con
distacco e scontrosità “Certamente e che pensi che stavo qui a pettinar le bambole mio caro?”. Ngiolett “e che ci sta
scritto?”. Brussier “Madame ha scritto che non riesce a dimenticarti e che per Natale ritorna”. Mettendo l’indice sullo
scritto aggiunge “vedi ha scritto anche la data del suo arrivo. Sarà qui il 20 dicembre prossimo”. Ngiolett non è più
nei panni. E’oramai sera inoltrata e Paolo è andato via e non può comunicargli la sua felicità. Scarica la tensione
andando su è giù per l’istmo. La mattina, quando noi andiamo a scuola, lo troviamo, fischiettante e allegro, che gira
per la piazza e ci incuriosiamo nel raffronto con i giorni precedenti. Quando arriva l’amico, Ngiolett lo avvicina e gli
dà la notizia. Paolo si mostra anch’egli felice per l’amico. Ngiolett’ che non ha dormito per l’eccitazione, gli dice
“Paulù ‘i voless ffa qualcosa dint’ a rott’. Pe quann’ ven Madam ha vulesse accuncià nu poco”. Paolo lo guarda e gli
dice “ce vonn nu sacc’ e sold. Tu addò e pigl’.” Dopo qualche ora di parlatorio e di progettazioni, Paolo, avendo
come un lampo di genio, gli dice “Ngiolè me venut’ un’ idea. Vai ad Ischia addù Michel ‘u lignammar, accatt’ na
ventin e fogl’ e masonit’. Nuie foderamm’ tutt’a rott. Poi na bella passat’ e cementit’ e chell’ esce nov’”. A Masonit’
nun cost’ assai. Vai, fatt’ fa nu’ preventiv e po parlamm”. La masonite era un compensato povero, risultato della
compressione di scarti di cartone che si vendeva a basso costo. Il giorno dopo, di buonora, Ngiolett’, con in tasca la
lista delle cose da preventivare, parte in pulmann per Ischia. Giù al porto, nei pressi della spiaggia dei pescatori, c’era
un piccolo grossista di legname conosciuto come “Michel u lignammar”. Va e chiede il costo dei fogli di masonite,
dei chiodi zincati e della cementite. Torna che è ora di pranzo. Va immediatamente a casa dei suoi che, mal vedendo
la relazione con la straniera, non gli prestano attenzione particolare. Apre la cassapanca e conta i suoi risparmi. Gli
bastano per acquistare il materiale. Ne riparla con Paolo e decidono di andare a fare le compere ad Ischia via mare,
con una barchetta a motore che un turista aveva lasciato in loro custodia. Il giorno dopo, di mattino presto, Ngiolett e
Paolo sono in navigazione per Ischia e nel primo pomeriggio fanno ritorno a S.Angelo con tutto l’occorrente
necessario a foderare la grotta. Paolo sospende le riparazioni delle barche e con Ngiolett preparano il progetto. Dal
giorno successivo la grotta è un cantiere in fermento. Viene liberata dalle tante masserizie accumulate, vengono prese
le misure. Nella bottega di Paolo qualche vecchia tavola viene tagliata a pezzetti, bucata con un rudimentale trapano
e realizzati tanti spessori, tutti uguali, da inchiodare nella volta di tufo e su di essi, poi, i fogli di masonite. In dieci
giorni di lavoro la grotta è foderata. Due passate di cementite la rendono bianca come non mai. Ngiolett è raggiante. La grotta è diventata una casa. Noi dalla scuola seguivamo i lavori e, ad opera compiuta, anche il maestro, che aveva
saputo del ritorno di madame, canticchiava di tanto in tanto “Ahi l’ammor e che fa fa”. Giunge il fatidico 20
dicembre. Ngiolett ad ogni arrivo del pulmann a cava grado (di cui conosceva gli orari) si precipita per accogliere
Madame. Dalla mattina a sera fece sette viaggi ma di Madame manco l’ombra. Incominciò a sospettare che la
cartolina era stata uno scherzo degli acchiapponi di S.Angelo o che Brussier non l’avesse tradotta bene. Madame non
arrivò neanche il giorno successivo e Ngiolett aveva perso la speranza. Si era rabbuiato di nuovo riprendendo la
posizione sul muretto con le gambe penzoloni verso il mare. Nemmeno lo sfottò del solito pescatore che gli
canticchiava “aspett e sper, che poi s’avvera”, gli faceva più specie. Forse solo la morte gli avrebbe reso liberazione
dalle ansie. Era il 22 di dicembre, all’imbrunire Ngiolett era, come al solito, sul muretto a guardare l’istmo, noi
ragazzi pregustavamo già le vacanze natalizie e giocavamo a pallone. D’un tratto da lontano appare una figura
femminile in avvicinamento. E’minuta e ha una camminata sbilenca. Ngiolett pensa che sia il fantasma di Madame
che gli si manifesta. Riguarda ancora, si stropiccia gli occhi e messo a fuoco il viandante, la riconosce, è lei. S’alza,
passa di corsa fuori la bottega di Paolo che è ancora lì a lavorare e gli grida “Paulù è turnat’ Madame. Prepar’ ‘a
citilen”. Corre a perdifiato lungo l’istmo. Madame lo vede arrivare, si ferma, posa il suo zainetto per terra ed allarga
le braccia. Sono vicini, si guardano, è un attimo. Si abbracciano, si stringono, si baciano e si rotolano per terra. Baci e
carezze si sprecano. Ngiolett e madame sono una cosa sola; felici e raggianti. Si rialzano, Ngiolett è ansioso di
portarla nel nido. Anche Paolo è contento ed in un attimo ha preparato “l’acitilene a carburo” che porta all’interno
della grotta, ove, come dal piano concordato con l’amico, resta nascosto. I due colombi giungono alla grotta.
Madame vede la porta sostituita ed esclama “Ohhh”. Al fischio di Paolo che è all’interno che avverte che può entrare,
Ngiolett’ spinge l’uscio e da perfetto gentiluomo dice alla donna “prego Madame”. La donna sorride ed entra. Paolo
dà fuoco all’acitilene. La luce forte rischiara a giorno tutta la grotta. Madame è sorpresa, confusa, gli manca il fiato,
si gira intorno continuamente. Rivolta a Ngiolett’, che in quel momento si sente lievitare, gli dice più volte “Ohhh
scerì, trebbien. Meraviglioso. Ohhh, ohh scerì trebbien, meraviglios”. E, nell’imbarazzo di Paolo che ride felice, lo
copre di baci e lo carezza ripetutamente. E’un tripudio interminabile di sentimenti. Ngiolett dimostra, ancora una
volta, la sua onestà intellettuale e volendo far rilevare a Madame che basta poco per essere felici gli si rivolge e, con
l’indice della mano destra verso l’alto ad indicar la volta gli dice “Madam non ti lusingar è tutta masonite”. Paolo va
via contento. Il “carburo nell’acitilene” sta per finire e la luce dopo poco si spegne. La notte con le sue tenebre
profonde e avvolgenti non chiese altro per raccogliere la grande passione di Madame e Ngiolett.
Il mattino dopo Madame apre lo zaino e consegna al suo uomo un regalo. Ngiolett è sorpreso. E’la prima volta che
riceve un dono. E’un libro di poesie di Montale che sfoglia e legge con avidità. Una poesia la legge più volte e ne
sottolinea i versi che dicono” Felicità raggiunta, si vive per te sul fil di lama. Agli occhi sei barlume che vacilla, ai
piedi ghiaccio teso, ghiaccio che s’incrina e dunque non ti tocchi chi più t’ama. Se giungi sulle anime invase di
tristezza e le schiari, il tuo mattino è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case”.
Madame restò a vivere a S.Angelo con il suo uomo mostrandosi ogni giorno estasiata della sua quotidianità che gli si
presentava. Non avanzava pretese particolari al suo uomo e, dopo aver messo in ordine le povere cose del “loro
nido”, i suoi raccoglimenti ad ammirare il mare ed i tramonti santangiolesi erano religiosi. Non c’era impegno che la
trattenesse ad un salutare bagno di mare indipendentemente dalle stagioni. E, proprio mentre, da sola, si recava a
mare scivolò, battè la testa e morì. Ngiolett’ pianse la sua donna per lungo tempo e, nella speranza, divenuta nel
tempo certezza, di ricongiungersi con lei in un altro mondo, si lasciò andare fino a morirne.
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