Tra i modi di dire, il termine “impipparsi” sintetizza, in modo scherzoso, la parola “infischiarsene”.
L’associazione forense ischitana, dalla quale presi le distanze anni addietro per la vacuità del
proprio dimenarsi, in una riunione solenne tenuta all’hotel “Delphini” (mai nome fu più
appropriato per una convention di chi è abituato a mostrarsi e a scomparire), un mese fa, alla
presenza del presidente del Tribunale di Napoli (dr.ssa Garzo), il presidente della locale
associazione forense annunciò, con solenne postura e tono, uno sciopero degli avvocati in questa
settimana che si conclude.
Non si accorse che, nonostante la solennità ostentata, l’omologo
contraddittore nel ruolo, non mostrò nessun “brivido fisico” e la situazione è rimasta com’era.
Mentre le lancette, inesorabilmente, portano verso l’ultimo giro di toppa che segnerà la chiusura
definitiva del portone di un presidio che, Alfonso d’Aragona, volle sull’isola nel 1450. Per i
responsabili dell’evento finale, sarà una soddisfazione simile a quella che provò il duca di Bisceglie
quando l’aprì? Non saprei dire, non riuscendo a percepire il grado tensivo di quelli che da anni si
propongono, con scarsi risultati, sul palcoscenico della vicenda. Né desidero addentrarmi in esso
per incapacità a reggere supponenze. L’unico dato certo, piaccia o no, è che bisogna prendere atto
che viviamo in un paese dove tutto è orientato e deciso dalla lobby dei magistrati, che, meglio di
ogni altra organizzazione, sa tutelare bene i propri interessi verso i quali nulla può una politica
acefala, pur se tra i compiti primari dovrebbe “occuparsi della gestione delle sub strutture
territoriali”. Per cui è inutile girare intorno l’argomento mancando, alla scena, il primo attore che,
del problema, ne avrebbe dovuto fare un cavallo di battaglia per il consenso agli amministratori
futuri.
È nello spazio molle dall’assenza che vanno intercettate le colpe degli avvocati che,
diversamente dai magistrati (che per quanto mi riguarda fanno bene a tutelare i loro interessi) non
sanno riempire quello spazio di contenuti stimolanti per l’antico malvezzo per il quale, pur avendo
titoli e capacità, preferiscono gustar l’uovo oggi e non la gallina domani. Cerchiamo di spiegarci.
Nella rivoluzione normativa che, nell’inedia degli avvocati, segnò (follemente), la soppressione
delle Preture, il presidio locale acquisì la qualifica di “sezione distaccata del Tribunale di Napoli”.
Nessuno vide allora (o meglio nessuno volle vedere) che non essendo “conveniente” per un
qualsiasi magistrato “del Tribunale di Napoli”, dover andare a lavorare sull’isola piuttosto che in
una delle comode sezioni distribuite nel palazzone del centro direzionale, sarebbe arrivato il
giorno in cui nessuno sarebbe più venuto e quindi, indipendentemente dalle necessità degli
isolani, dal contenzioso esistente, dai costi e dai disagi che si patirebbero, il portone si chiuderà
e…..tutti andranno, verso di loro, a Napoli.
Il detto ricorda che se la montagna non sarebbe andata
da Maometto, lui sarebbe andato alla Montagna. Salvo, qualche testa calda che deciderà di
fermarsi in qualche vicolo della vecchia Napoli ove le questioni si risolvono senza timbri, notifiche
e contributi unificati. Meglio così? Non saprei, anche se lo stato dell’arte dice che, nella condizione
in cui versa il presidio, non si può più andare avanti. Sono, infatti, oltre dieci anni che sull’isola si
scimmiotta una parvenza di giustizia; sono oltre dieci anni che nel presidio non si incontra un
magistrato “contento di lavorare lì”; sono oltre dieci anni che non si custodiscono più i fascicoli
processuali; sono oltre dieci anni che il codice di procedura civile si stravolge con annientamento
delle procedure cautelari; sono oltre dieci anni che non si registra una decisione non gravata (salvo
i casi di morte). Particolarità non secondaria è che negli ultimi dieci anni due magistrati assegnati
al luogo sono stati arrestati, uno è stato allontanato e una ventina hanno fatto un giro tra i
fascicoli e poi andati altrove. La colpa la dobbiamo cercare nel clima, in qualche Maga Circe o in
quei provvedimenti che hanno reso il presidio ischitano come un luogo di penitenza? O bisogna
darla agli ischitani che amano risolvere i loro problemi mezzo giudice e non per via equipollente?
In tale contesto, di scontro reale anche se non dichiarato, sia la politica che l’avvocatura locale hanno, colpevolmente, lasciato correre su tante cose. Oltre che su fatti di ordinaria
disamministrazione, anche su espressioni paradossali quanto infamanti che hanno disegnato l’isola
come una “realtà sociale particolarmente litigiosa”, caratterizzata dallo scontro tra due studi legali
o addirittura “Ischia è un presidio a rischio per la legalità. La maledizione di tutto il Tribunale di
Napoli e forse di tutta l’Italia”. A me non risulta (pur essendo avanti negli anni) che gli ischitani, per
risolvere la loro litigiosità, si azzuffino o si sparino per strada continuando a ritenere che rivolgersi
al giudice e non ad altri è atteggiamento di civiltà e non viceversa. Non mi risulta che la condizione
del presidio isolano dipenda in qualche modo dagli abitanti che su di esso non hanno mai avuto
voce in capitolo se non quella di far fronte alle spese per la gestione dello stabile. Non mi risulta
che, a differenza di altri, qualche avvocato o funzionario sia stato arrestato per fatti connessi alla
sua attività nel presidio.
La debolezza che ritengo sia da addebitare agli avvocati, specialmente
quelli che si propongono a rappresentare la categoria, è quella relativa alla mancanza di “zebedei”
di fronte ad atteggiamenti lesivi della dignità della categoria e a scelte ostative del regolare corso
di quell’attività che liberamente hanno deciso di espletare. Lasciando dare esecuzione al disegno
di “togliere fisicamente il fastidio di dover andare ad Ischia”. Forse dimentico la nota manzoniana
che “il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare” e che la supponenza oscura anche l’umiltà
riparatrice del passo indietro. E, mentre, inesorabilmente, le lancette vanno avanti tra cravatte
ben annodate su colletti inamidati, tanti giovani che con entusiasmo volevano intraprendere la
professione sono andati via a fare altro. Sconfessando “fisicamente” la sussunta super litigiosità
degli ischitani. Sull’argomento, da tempo vado dicendo che, mantenere sull’isola il presidio per
l’amministrazione della giustizia, non è una battaglia della sola avvocatura ma di civiltà, sociale e
politica, alla quale dovrebbero partecipare tutti; in modo serio e coerente. Che non è quello di
andare ai convegni per fare show. Provo un suggerimento! Costituendo un dato di fatto che vari
ministri e politici di rilievo amano frequentare l’isola d’Ischia per i propri svaghi, anche sensibili,
facendosi accompagnare nei tuor dai politici locali che si mostrano fieri al loro fianco, non credo
che sarebbe complicato creare, con loro, la sinergia necessaria perché del problema se ne parli a
Roma dove si decide.
È necessario che le isole italiane, come le comunità montane, siano
qualificate “aree geografiche disagiate”. Che con decreto legge sia disposta la sospensione
immediata del provvedimento di chiusura e che siano messi in agenda i provvedimenti successivi
tesi ad ottenere che i posti in organico (tanto dei magistrati quanto del personale) dei presidi
giudiziari siti nelle aree disagiate siano posti a concorso, per un’applicazione non inferiore a cinque
anni; durante i quali i vincitori maturerebbero punteggio per i successivi trasferimenti di sede. In
mancanza di una tale possibilità che i sei sindaci con tutta l’associazione forense, si vadano ad
incatenare all’esterno di palazzo Chigi indicendo uno sciopero della fame fino a quando non
saranno ricevuti dal premier al quale faranno sentire le ragioni dei loro territori. Per poter arrivare
a ciò è necessario che la politica locale sia posta, dall’avvocatura isolana, nella condizione di
muoversi. Riempiendo, senza sconti, quello spazio molle, di cui dicevo all’inizio, che procurerebbe
qualche pesantezza e qualche capogiro che, come sempre, sono le condizioni migliori per una
qualsiasi azione di tutela. Essendo noto che la sinergia tra più parti fa sempre sistema e chi fa
sistema ottiene le cose. acuntovi@libero.it