IL POPOLO E LA SOVRANITA’ PERDUTA. DI VINCENZO ACUNTO

Nella costituzione italiana (che taluni commentatori definirono “la più bella del mondo”),
all’articolo 1 è scritto: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità (ndr
di essa) appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il
sostantivo femminile “sovranità”, di chiara matrice monarchica, deriva dal latino “superaneus” –
“che sta sopra” che, nel senso politico, sta ad indicare quel “potere originario e indipendente da
ogni altro”.

La nostra costituzione, riconosce al popolo tale potere superiore a ogni altro. Tanto è
vero che, ai sensi dell’art. 75 della stessa legge fondamentale, “il popolo” può chiedere al
Presidente della Repubblica, come fatto esterno all’azione del parlamento, di indire referendum
popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un altro atto avente
valore di legge. Con esclusione per le materie indicate nel secondo comma dello stesso articolo
per il quale “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di
indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Disposizioni chiare, che non si
prestano ad interpretazioni di sorta. Necessitava, al più, fissare il metodo operativo del
procedimento referendario. Evidentemente, però, a qualcuno non andava bene così!! Negli ultimi
sei mesi della prima legislatura, dopo soli 5 anni di vita della carta costituzionale, senza che si fosse
presentata nessuna occasione per indire un referendum su leggi della repubblica, il parlamento
con la legge n. 1 del 1953, dava una prima limatura alla declamata sovranità del popolo. Con l’art.2
di detta legge, si stabiliva “Spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum
abrogativo presentate a norma dell’art. 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del
secondo comma dell’articolo stesso. Le modalità di tale giudizio saranno stabilite dalla legge che
disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare”.

Era un modo per far entrare dalla finestra,
nella carta costituzionale, un organo, tra il popolo e il potere, che il costituente non aveva
previsto. Il lettore si renderà conto, leggendo i quesiti referendari ai quali siamo stati chiamati, che
nessuno di essi atteneva a qualcuna delle materie di cui al secondo comma dell’art. 75 appena
trascritto. Eppure la Corte Costituzionale è intervenuta dichiarando inammissibili due quesiti. Ma,
andando con ordine, 22 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, senza che si fosse mai
indetto un referendum, con legge 352/1970 erano introdotti altri dissuasori della declamata
sovranità, fissando il procedimento referendario. Era costituito, presso la Cassazione, l’ufficio
centrale per il controllo delle firme e dei quesiti che poi avrebbe esaminato la Corte Costituzionale
per deciderne l’ammissione. Qualcuno certamente si chiederà “e se in questi 22 anni qualcuno
avesse raccolto cinquecentomila firme e chiesto un referendum, che sarebbe successo?” Niente di
trascendentale. Presso il Quirinale, ove alberga un esercito di notabili che non appaiono mai
troppo affaticati, si sarebbe costituito un ufficio di verifica, controllate le firme e il presidente,
senza vincoli di sorta, avrebbe indetto la consultazione. Invece no. Con la legge 352, oltre a
costituirsi l’ufficio per il controllo delle firme e la legittimità dei quesiti, all’art.34, si vincola anche il
Presidente della Repubblica che, dal momento in cui la Corte Costituzionale ha dato o meno il via
libera al referendum, deve fissare la data della consultazione in una domenica che va dal 15 aprile
al 15 giugno. A che scopo fissare dei limiti così imperativi? Chi non vede nella farraginosità del
procedimento fissato da una legge (licenziata nel maggio 70 in piena crisi di governo) una ulteriore
limitazione di quella sovranità che la Carta riservava al popolo? Chi non vede nello spirito della
legge -non della Carta Costituzionale- che solo un popolo di giuristi, costituzionalisti, proceduristi
potrebbe chiedere un referendum e non, invece, quel popolo che, ritenendo una legge ingiusta ne
chiede l’abrogazione e per dare fondamento alla Repubblica (art.1 primo comma), la mattina si
alza per andare a lavorare? La legge è questa e la si deve rispettare ed essere convinti che la
rispettino tutti. Che è tutt’altra cosa.

E, per restare in tema, prendendo atto che poco più del 20% degli aventi diritto sono andati al voto, possiamo ritenere che tutti si sono adoperati affinché la
manifestazione referendaria si svolgesse nel rispetto dei principi fissati dalla Carta Costituzionale?
Senza intendere accuse di sorta: visto che la Corte Costituzionale il 16 febbraio 2022 licenziò
l’ammissibilità di 5 dei 7 quesiti referendari, mi chiedo. “perché il Presidente della Repubblica,
avendo tempo disponibile ha scelto, per la consultazione, l’ultimo giorno utile e cioè il 12
giugno?”. Non poteva farsi prima? Oppure, se come pur dice qualcuno, quel termine 15/4-15/6-
non è perentorio, si poteva fare anche dopo l’estate, consentendo un miglior dibattito sugli
argomenti? Perché la installazione dei seggi non ha rispettato la regola di diffusione territoriale?
(ndr i seggi nei comuni ove si votava per il solo referendum sono stati accorpati in un unico edificio
e non divisi sul territorio) – Perché, visto che si variava il procedimento, il cittadino non è stato
avvertito del luogo ove sarebbe stato allocato il “suo” seggio elettorale per poterlo raggiungere?
(ndr col vecchio certificato elettorale il cittadino oltre ad essere personalmente avvertito della
consultazione elettorale era avvisato anche dove doveva andare a votare, vedi foto) – Perché un
evento così importante “il referendum”, che è previsto come espressione massima della sovranità
popolare, non ha avuto quella pubblicità necessaria per far conoscere agli italiani gli argomenti per
i quali si chiedeva il suo parere, lasciando che le reti televisive fossero occupate da repliche di
programmi visti e rivisti e da altre stupidità? Ci sarà qualcuno che si attiverà per qualche verifica?
Ci sarà qualcuno che restituirà al procedimento quella sacralità che consente alle democrazie
moderne di sopravvivere? Non nutro particolari speranze, non per scoramento personale, ma per
la semplice constatazione che, in Italia, il popolo non conta più nulla e non solo nel procedimento
referendario (basti pensare che da 11 anni l’Italia non è più governata da un premiere eletto dal
popolo), per cui mi ritorna in mente quel vecchio film di Luigi Magni “Nell’anno del Signore” in cui,
il regista, rievocando, verosimilmente, una rivolta carbonara avvenuta durante il papato di Leone
XII, inscena l’esecuzione a morte di due carbonari, incolpati di crimini contro la chiesa, alla quale il
popolo è chiamato ad assistere. I due carbonari rinchiusi a Castel S.Angelo devono essere
trasportati in piazza del Popolo per essere impiccati e, prima di essere tradotti, ricevono la visita di
un frate (Alberto Sordi) che tenta di farli redimere. C’è quindi un ritardo sul procedimento di
esecuzione ed il popolo, che è ansioso di assistere alla scena, si incavola e tenta un assalto al
carcere per prelevare i due condannati e cacciare il religioso. Il frate di fronte al tentativo si
inalbera e ai rivoltosi grida “Popolo, ma che te sei messo in testa? Ma che vuoi? Vuoi comanna'
te? E chi sei? Sei papa? Sei cardinale? O sei barone? Ma se non sei manco barone chi sei? Sei tutti
l’artri! E tutti l’artri chi so’? Rispondi. So’ l’avanzi de li Papi, de li cardinali, de li baroni! E gli
avanzi che so’? So’ monnezza! Popolo, sei ‘na monnezza! E voi mette pure bocca? Premonitore
degli eventi di oggi??? Non saprei! acuntovi@libero.it

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