Ho conosciuto il Presidente Coraggio a fine 1999 allorquando venni destinato alla sede di Napoli del Tar
Campania che Egli presiedeva. Lo incontrai, per la presentazione di rito, in quell’ufficio ad angolo del quarto
piano le cui balconate offrono una visione a tutto campo di Piazza Municipio e di Palazzo S. Giacomo, sede del
“potere” cittadino.
Vi giunsi accompagnato dal Segretario generale che si complimentava con me, anticipandomi che ero stato
assegnato alla prima Sezione, quella presieduta dal Presidente del Tribunale, evento questo, il mancato transito
per le altre sezioni prima di approdare alla prima, a suo dire inusuale e, sempre a suo dire, dovuto
all’apprezzamento presidenziale per la mia produzione in materia sanitaria nelle precedenti sedi.
In effetti, come ebbi modo di constatare negli anni a venire, la sanità ed i profili sostanziali e processuali del
contrastato rapporto pubblico/privato, lo attraevano. E’ dal suo insegnamento, dal suo lineare argomentare, che
ancora di recente ho attinto per supportare l’assunto che non vi sono diritti “tiranni”, che l’aggettivo
“fondamentale” contenuto nell’art. 32 Cost. non sta a rilevare un “carattere preminente” del diritto alla salute
rispetto agli altri inseriti nella parte prima della Carta. Tali, con richiami alla giurisprudenza della Corte, le sue
parole nel maggio dello scorso anno in un convegno nell’Aula Filangieri del Tar Campania: quell’aula che Egli
volle, fortissimamente volle, e della quale curò la realizzazione con pazienza ed amore.
Non è agevole tessere l’elogio del presidente Coraggio e del suo cursus honorum, invero unico. Giudice
ordinario, giudice contabile, giudice amministrativo, presidente di TT.AA.RR. e di Sezioni del Consiglio di Stato,
presidente della Corte di giustizia federale, presidente del Consiglio di Stato, giudice della Corte costituzionale,
suo Vice Presidente, oggi pervenuto allo scranno più alto di Presidente della Corte.
Ignoro se il percorso ancora a sopravvenire fosse tutto già nella sua mente negli ultimi mesi della sua
permanenza a Napoli, allorquando con un velo di mestizia confessava che molto gli doleva lasciare il Tribunale
(si era liberato un posto di presidente di Sezione del Consiglio di Stato) e questa città, in cui era nato, aveva
vissuto, aveva casa, ma che non poteva farne a meno perchè aveva ancora tratti di via (romana) innanzi a sè.
So di potermi permettere di affermare che fra noi si erano stabiliti legami affettuosi. Quando dico fra noi intendo
fra noi tutti che in quegli anni avemmo, nella prima sezione del Tribunale partenopeo, il privilegio di poter
crescere all’ombra di Coraggio e del suo insegnamento professionale ed umano. Furono, quelli, anni nodali per
la giustizia amministrativa, chiamata dalle storiche pronunce della Cassazione (500 del 1999) e della Corte
Costituzionale (204 del 2004) a misurarsi con il risarcimento del danno, con il riparto di giurisdizione fra giudice
amministrativo e giudice ordinario e con (i limiti del)la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La visione del pianeta giustizia da parte del Presidente Coraggio non è mai stata limitata, elitaria, da torre
eburnea che domina le valli. Al contrario, Egli ha posto la sua indiscussa autorevolezza, guadagnata giorno
dopo giorno sul campo, al servizio del bene comune, calandosi nel mondo, organizzando e partecipando a
convegni e, da ultimo, da giudice costituzionale, “viaggiando” fra le scuole d’Italia per incontrarvi studenti e
ancora “viaggiando” fra i detenuti per testimoniare che la Costituzione appartiene a tutti, ivi compresi -ma direi,
Coraggio direbbe, a partire da- i più deboli.
Ed una Presidenza della Corte Costituzionale con tale “visione” non potrà che lasciare il segno.
Per unanime sentire, Coraggio è “una dama” che non esterna facilmente i suoi sentimenti. Di certo, ben lo
ricordo, per manifestare il suo dissenso si limitava ad alzare il sopracciglio. E tanto bastava.
E questa sua ritrosia alle esibizioni, ai toni sopra le righe, rendevano, han reso negli anni a venire, più preziosa
la tangibile manifestazione del suo affetto, ovvero il suo abbraccio, le volte che abbiamo avuto occasioni di
rincontrarci.
Con affetto immutato, mio Presidente.
di Arcangelo Monaciliuni
Presidente della Corte Costituzionale
già Magistrato T.A.R. Campania