IL DELFINO? NO, AD ISCHIA PONTE NO! DI ANTIMO PUCA

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Quando lessi L’hiver de la culture del critico francese Jean Clair, pubblicato nel 2011, ebbi la sensazione che l’arte contemporanea fosse vicina al collasso. Clair, riferendosi ai cosiddetti grandi artisti dei nostri giorni, attribuiva loro una vera e propria “volontà dell’immondo”, sostenendo che con gli escrementi essi facevano opere d’arte la cui natura appariva come minimo deplorevole. E individuava senza mezzi termini un specie d'”artista che si riteneva un dio, capace di trasformare in opera d’arte un oggetto insignificante” e perfino laido(come “merda d’artista” e simili) – consegnando, con un enfatico giudizio, ad una immortalità tanto fittizia quanto truffaldina. Duchamp proclamava una verità che dopo di lui sarebbe diventata quasi universale. “Si trattava dell’artista, preso da furor divinus, che decideva se un oggetto, anche privo di qualsiasi pregio, si doveva considerare artistico” . Jean Claire in un testo che La Repubblica (23 ottobre 2016 pag 52)anticipa rispetto all’intervento del critico nella giornata di studi “Il falso specchi della realtà”, fondazione Federico Zeri, Bologna, dice apertamente che “l’arte è composta di falsi”. L’opera  posta in piazza in quel di Ischia ponte, antistante il Castello Aragonese in cui dobbiamo immaginarci un delfino è oggetto di chiacchiericcio e critiche. Questa opera dovrebbe essere stata pensata e progettata per il preciso contesto ambientale, culturale e sociale nel quale è ststa posizionata ed esposta. L’intervento dell’artista dovrebbe essere stato realizzato secondo un dialogo instaurato con il contesto scelto e il suo pubblico, con l’idea, a priori, di essere fruito e goduto da chi lo osserva e, dunque, da chi, anche casualmente, si trova dinanzi ad esso. A differenza dell’opera d’arte che nasce per un progetto espositivo all’interno di musei e gallerie, l’opera d’arte sita nella piazza ischia pontina antistante il castello aragonese, si inserisce in un contesto vissuto da un pubblico eterogeneo che NON SCEGLIE DI ASSISTERE AD UN’OPERAZIONE CULTURALE  e che, nella maggior parte dei casi, non possiede chiavi di lettura per comprenderla. È necessario, dunque, che la progettazione di un’opera d’arte pubblica preveda non solo l’analisi del contesto in cui deve inserirsi ma anche un’attenta riflessione sul messaggio da trasmettere al pubblico. L’artista è, in questo caso, RESPONSABILE DI UNA TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO su cui interviene e deve evitare l’autoreferenzialità del proprio gesto.  Appare evidente che la trasformazione paesaggistica e urbana può essere accettata e giustificata solo se in presenza di un vero dialogo e scambio formativo fra arte, contesto urbano e pubblico, assolvendo così ad una specifica funzione: sensibilizzare le comunità all’arte, alla cultura per lo sviluppo di un popolo consapevole e riguardoso. Non solo per avere le espressioni artistiche. Ma anche verso diversità sociali e culturali. È, però, più che opportuna un’attenta riflessione sulla fattibilità e sostenibilità delle installazioni d’arte pubblica, aprendo specifici dibattiti nelle comunità interessate, per definire non solo la loro pertinenza progettuale, ma interrogandosi, altresì, sulle problematiche conservative e di manutenzione, ricordando che fra 100 anni la nostra civiltà è la nostra cultura saranno valutate anche attraverso la morfologia urbana e gli interventi artistici. Sempre che siano ancora lì. Tale  la situazione dell’arte dei nostri giorni, Clair  sostiene. Simile criticismo, che ritengo in buona parte fondato, quando sarà eccepito a largo raggio, metterà a soqquadro alcune figure professionali oggi considerate importantissime. Tra le quali :- l’artista stesso, che si considera un creatore capace di dar valore a oggetti privi in sé di qualunque pregio. – Il critico d’arte, che avvalla, coi suoi autorevoli pareri, tale operazione. L’artista, se l’arte di oggi è un falso, come sostiene Clair, l’artista è nient’altro che l’autore del falso. Le sue pretese demiurgiche sono aria fritta. Ciò che dichiara è falsificazione, imbonimento, truffa. Il critico d’arte, nella sua accezione attuale, è secondo loipinione di Clair, diventa un proclamatore di capolavori che non sono affatto tali, in gran parte derivati da metafore di basso livello fatte passare per riflessioni sublimi. Parole, parole, parole che inondano un mercato ingenuo, credulone, non dotato di capacità di critica, quale vediamo operare nei vernissage di mostre ridotte in più occasioni a semplici sceneggiate. Data la situazione, ci si può aspettare che stia per affacciarsi nel mondo dell’arte una spinta critica dissacratrice, incline a trasformarsi in pensiero generalizzato. Via quel monumento funebre da Ischia ponte.

Di Antimo Puca