GLI ANNI SESSANTA CON LA CINQUECENTO FIAT… E TUTTO SEMBRO’ PIU’ BELLO. LE STORIE DI SANDRA MALATESTA

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Quando negli anni sessanta molti comprarono la Cinquecento Fiat tutto sembrò più bello. La nuova Fiat Cinquecento che nel 1957 sostituì la Topolino sempre della Fiat ma più economica e che costava 490.000 mila lire cioè 13 stipendi di un operaio. Era una macchina omologata per due posti con una panchetta dietro e il motore a trazione posteriore con quattro marce non sincronizzate più la retromarcia. I finestrini erano fissi tranne i deflettori laterali, lo sbrinatore era considerato un optional e le porte si aprivano a vento perché incernierate posteriormente. Eppure piacque a tanti che la comprarono grazie al pagamento a rate.

Quando, anche sulla nostra isola arrivarono le prime cinquecento, le distanze si accorciarono e Ischia ci sembrò più concentrata. Quelli di altri comuni che il sabato sera dovevano prendere il pullman, chiedevano il passaggio ai genitori o ai parenti e così avevano più tempo per uscire. Quelle piccole macchine sono state per noi qualcosa di dolce. Si poteva andare la Domenica in giro per l’isola. Di colpo Forio ci sembrò vicino e andare a Zaro era come fare una piccola vacanza. Le macchine si tenevano come gioielli. Sempre pulite dentro e fuori perché erano costate sacrifici e si dovevano tenere bene. Quando si usciva per un giro, molti papà scendevano prima e con il panno di daino pulivano bene i vetri. Le nostre strade erano un poco meno sicure e si doveva guardare di qua e di là prima di attraversare perché oltre alle macchine c’erano anche gli isomoti e le Vespe. Non si usciva sempre con la macchina per risparmiare la benzina, però si mettevano da parte dei soldi per fare una vacanza che prima di allora nessuno sapeva cosa fosse. Quando si doveva partire si montava sul tettuccio il porta pacchi. Cosi le valige e altre cose si mettevano legate sul tettuccio della macchina e coperte con un foglio plastificato ben legato tutto intorno. Di solito si andava a casa di parenti che vivevano fuori da Ischia e si portavano regali per ricambiare l’ospitalità. In estate si vedevano nei nostri vicoli macchine anche di tipo familiare piene di tutto. Ricordo quei giorni perché restavo incantata e mi chiedevo come facessero a portare persino le reti per dormire. Io sono andata per la prima volta in una cinquecento bianca, quando ero in terza geometra e il fratello di un mio amico, venne a prenderlo a scuola con la sua cinquecento bianca. Tutti a guardare e a dirci “Beato lui” e lui capi e disse ad alcuni di noi di entrare e sederci dietro. Io emozionata entrai e il cuore mi battè forte. Lungo la strada con i finestrini aperti cantavamo con le mani fuori e ogni tanto che guidava bussava il clacson. Fu per me una specie di trasgressione e a un certo punto dissi che dovevamo smetterla, ma loro ridendo continuavano a cantare. Quando arrivai a casa ero intontita e dissi a mio padre che avevo cantato in macchina. Lui mi guardò in modo severo e poi disse: “Spero che non abbiate dato fastidio ricordati di non esagerare e ricorda anche quando ti lamenti di rumori che vengono dalla strada”. Mio padre aveva un potere ed era quello di farmi riflettere con poche parole. Così disse a me stessa che una volta si poteva fare ma che non era giusto cantare forte mentre si girava in macchina e non lo feci più. Quelle piccole utilitarie furono per noi che avevamo sempre camminato a piedi, come una magia e tanti cominciarono a fare l’autostop per chiedere passaggi. Cosi sullo spiazzale parcheggiavano più macchine e il posto dove ci incontravamo non esisteva più ma eravamo così felici nel pensare che magari un sabato qualche genitore ci avrebbe portati a Lacco Ameno dove c’era un locale che non ci importò più di stare le ore sedute sul muretto. Avevamo il telefono a casa e le cabine a gettoni per strada e senza rendercene conto la cinquecento, il telefono, la vespa stavamo limitando il tempo in cui ci guardavamo negli occhi. Fu da quel momento che la vita andò più veloce più veloce fino ad arrivare a ritmi talmente stressanti da farci rimpiangere quei giorni in cui Ischia ci sembrava enorme e I Pilastri per noi di via De Rivaz erano quasi irraggiungibili.

Sandra