ENTE DA MARCIAPIEDI. DI VINCENZO ACUNTO

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Con una lunga intervista rilasciata alla stampa locale, l’avv. Carmine Bernardo, politico di esperienza,
impegnato per oltre un ventennio in amministrazione ad Ischia, ha detto “nel comune oggi non crede più
nessuno” – “un tempo l’ente locale determinava lo sviluppo di un paese, oggi l’unica diversità è che ci siamo
trasformati in economia da marciapiede” aggiungendo “oggi tutte le attività si fanno sui marciapiedi”. Una
definizione sicuramente caustica che rende l’idea della considerazione in cui versa l’Ente locale che, per
storia, affonda le sue radici alla fine dell’XI secolo. Non a caso si dice che l’Italia, come unità politica e
amministrativa, si è formata riunendo i comuni e non viceversa. Pertanto rilevare che nel governo locale
nessuno più crede, impone delle riflessioni. Già in altre occasioni ho scritto che da quando in Italia si sono
rese operative le regioni (che pur previste nella carta costituzionale, la loro istituzione era stata rinviata di
ben 23 anni) e si è, di poi, intervenuti a modificare il titolo quinto della costituzione, la politica locale è andata
progressivamente evaporando lasciando il campo alle vacuità o, come dice Bernardo, “al marciapiedi” che,
un tempo, segnava proventi da illegittimità o da meretricio e come tali da perseguire. Siamo sicuri che, oggi,
le attività sui marciapiedi elencate da Bernardo siano legittime? Mi viene qualche dubbio che non affronto
qui nel suo tecnicismo normativo per non appesantire il lettore. Ritenendo, però, che l’espressione sia stata
usata per rilevare l’anomalia che, a pochi mesi dal rinnovo del consiglio comunale nel comune capoluogo
dell’isola non si registrano movimenti o aggregazioni di persone, penso sia utile attenzionare il fenomeno che
ha portato a questo stato di cose. Il problema, purtroppo, viene da lontano e oggi bisogna ricordare che
quando menti lucide lo segnalarono, furono derise da certi “cantori delle modernità ideologiche”. Gli stessi
che hanno poi determinato l’elezione al parlamento di persone che, fregiandosi del titolo di “onorevole”,
scrivono sulla scheda per l’elezione del Presidente della Repubblica il nome di Rocco Siffredi, di Frassica, di
Amadeus o di altri.

Uno squallore culturale di dimensioni spaventose che, se da un lato dovrebbe determinare
il prossimo inquilino del quirinale a sciogliere, per indegnità, le camere, dall’altro, obbliga le persone colte e
preparate a rimettersi in cammino per la ricostruzione di uno Stato che viene così selvaggiamente svilito. Con
l’obiettivo primario di sottrarlo ad una gestione emozionale che da decenni determina le sorti del nostro
paese e riportarlo a quell’ordinarietà che consente riflessione e corretta applicazione di principi e regole. Val
bene ricordare che è dal 1978 che gli eventi politici in Italia si accavallano con ritmo emozionale. In quell’anno,
dopo la tragedia dell’Onorevole Moro e le dimissioni del Presidente Leone (costrettovi da una campagna di
stampa diffamatoria che poi, molto poi, risultò del tutto infondata), il parlamento italiano elesse, al
sedicesimo scrutinio, l’ultraottuagenario Sandro Pertini alla massima carica dello Stato che riuscì, con talune
decisioni di imperio e forse estemporanee, a ridare fiato alla politica che, alla successiva evenienza del 1985,
elesse al primo scrutinio Francesco Cossiga a Presidente della Repubblica. Nel 1989 l’Europa fu attraversata
dal travaglio della riunificazione delle due Germanie che provocò il crollo generalizzato delle economie di
tutti i paesi nel quale le delinquenze stesero i loro tentacoli. Nel 1990 l’Italia fu scossa dal rendere pubblica
l’esistenza di una organizzazione paramilitare “Gladio” (nata per resistere ai tentativi non tanto sottesi dei
comunisti slavi del maresciallo Tito che nel 1953 aveva determinato la crisi di Trieste) che occupò le pagine
dell’informazione per svariati mesi, sottraendo attenzioni in altri settori nei quali la delinquenza macinava
attentati a ripetizione, ai quali si opponevano, come se fosse un fatto esclusivamente loro, le forze dell’ordine
e la magistratura tra cui spiccavano due grandi uomini Falcone e Borsellino che, poi, pagarono con la vita il
loro impegno nel lavoro. Sull’onda emozionale della morte tragica del primo (fatto saltare in aria a Palermo)
nel 1992, il parlamento elesse Scalfaro a presidente della Repubblica. Era intanto scoppiato lo scandalo di
“mani pulite” che, in modo eclatante e spettacolare, espose al pubblico ludibrio, il malaffare esistente nella
classe politica e imprenditoriale italiana. Malaffare che le persone perbene denunciavano da anni ma che
nessuno voleva vedere o sentire. Un evento banale, utilizzato però ad arte, fece partire la macchina
giudiziaria che, “attizzata” da una informazione tendente allo spettacolo, ha, nel tempo, condizionato la vita
politica italiana. Non dimentichiamo i tanti arrestati, poi assolti, i morti per suicidio in carcere o a casa loro
per sfuggire all’ignominia del carcere, le tante famiglie distrutte o aziende sgretolate per un’attività
giurisdizionale martellante. E’ dal 1992 che, in Italia, trovare gli uomini giusti a gestire la cosa pubblica è
diventata un’impresa. Costituisce un dato di fatto che appena eletti, entrando nello stabile di destinazione
(qual’ esso sia) si passa nella stanza dei sospetti, poi in quella degli indagati e poi in quella degli imputati, ove,
spesso,si resta fino alla fine dell’impegno pubblico, patendo anni di tribolazioni, pressioni e paure per le quali pochi, oramai, si sentono tagliati. E’ un dato di fatto che non c’è amministrazione locale che non registra nei
propri organici soggetti a procedimento penale. La conseguenza derivata è che risulta sempre più difficile che
“persone culturalmente idonee” prestino il loro corpo (oltre la loro mente) alla macelleria dello stato. In tale
contesto, che oramai dura da circa trent’anni, è agevole comprendere lo svilimento in cui versano le
istituzioni elettive e le amministrazioni locali in particolare, fino a divenire insignificanti se non inutili
nell’indirizzo dell’interesse collettivo che, come ha detto Bernardo, si riduce al marciapiede. Come uscire da
tale stallo non saprei e non azzardo ipotesi. Posso solo dire che la storia insegna che le rivoluzioni non si son
mai fatte intorno al tavolo da pranzo o con le pance gonfie.

Allo stato dell’arte gli italiani sono stati sgonfiati: nelle famiglie (figli costretti a correre all’estero per il lavoro); nel portafogli (gli aumenti stratosferici dei costi e della pressione fiscale ci tiene costantemente in affanno); nell’intraprendenza (vittime di una burocrazia che ucciderebbe un rinoceronte); nella certezza delle regole (non c’è più una giustizia celere che consente di esercitare con certezza un proprio diritto). Il grande Eduardo ai giovani napoletani consigliò “fuitevenn!!”. Sarà forse il caso di ascoltarlo prima di andare, tutti, a finire sul marciapiedi? acuntovi@libero.it