L’avvocato Lello Montuori, prendendo spunto dalla sentenza di condanna per l’ex sindaco di Casamicciola D’Ambrosio per la frana del 2009, ha espresso una riflessione sulla Protezione civile in Italia e sulla valenza degli “Allerta meteo”, citando anche il sindaco di Genova Vincenzi ed il dott.De Bernardinis, della commissione grandi rischi per l’Aquila: “Gli interventi di mitigazione del rischio del territorio spettano al governo centrale”.
“Sono rimasto molto colpito dalla condanna in primo grado a 4 anni di uno dei Sindaci dell’isola all’epoca dell’alluvione che oramai dieci anni fa causò la morte di una giovanissima ragazza ancora studentessa.
Fedele all’abito mentale per il quale le sentenze si censurano sempre nel grado successivo di giudizio, confido che in appello il verdetto di colpevolezza per l’accusa di omicidio colposo sarà completamente capovolto e il già Sindaco mandato assolto.
Ma non è della sentenza che voglio occuparmi. Nè di questo caso.
Quanto piuttosto del clima di ipocrisia nazionale sul cui altare si sacrificano spesso vittime a caso, date in pasto ad un’opinione pubblica che cerca sovente un colpevole, uno purché sia, cui addossare le colpe dei morti, dei disastri, delle alluvioni, delle frane e delle inondazioni che flagellano località più o meno famose dello stivale.
Dal caso di Marta Vincenzi, il Sindaco di Genova condannata in appello a cinque anni per omicidio colposo, disastro colposo e altri reati per l’alluvione di Genova del 2011, a quello di Bernardo de Bernardinis della Commissione Grandi Rischi per l’Aquila condannato prima a sei anni -poi ridotti a due- per aver sottovalutato i rischi del terribile terremoto del 2009, solo per citare i casi che ricordo ormai a memoria fra tutti quelli che si sono verificati in questi anni, non c’è tragedia italiana dopo la quale non ci sia un’inchiesta che pretenda di assicurare alla giustizia i cattivi che avrebbero potuto evitare le più gravi conseguenze dell’evento e non lo hanno fatto per ‘evidente’ colpa grave.
È questa una delle ragioni per le quali soffrendo spesso di ansia, per non dire di panico frequente, non mi candiderei né ricoprirei mai un un ruolo che preveda fra i compiti d’istituto quello di prevenire, gestire o governare le emergenze.
Perché in questo strano paese dove spesso ci si copre gli occhi pur di non vedere, altrettanto spesso, come nella favola I Vestiti nuovi dell’imperatore, un ragazzino si sveglia per gridare che il Re è nudo.
Accade così che dopo anni in cui il sistema di protezione civile nazionale -inventato dal Ministro Zamberletti recentemente scomparso- arrivava sempre dopo, per cercare di limitare i danni di eventi calamitosi di varia estensione ed entità e soccorrere giustamente le popolazioni interessate, da un po’ di tempo ci si è messi in testa di prevederli addirittura e all’occorrenza prevenirli, ahimè, non sulla base di una seria politica di programmazione e investimento di fondi – ne servirebbero tantissimi- per la prevenzione dei disastri, ma secondo la logica tutta italiana del CERINO, quello che resta sempre nelle mani dell’ultimo per caso.
Così per 12 mesi all’anno dal Nord al Sud della penisola, è tutto un susseguirsi di impressionanti Allerta Meteo, spediti da più parti ad ogni ora del giorno e della notte, attraverso le famigerate poste elettroniche certificate, l’ultima frontiera del ‘non potevi non sapere’, come se i Comuni italiani -da quello con tre milioni di abitanti a quello con poche centinaia di anime- disponessero di squadre di protezione civile con migliaia di uomini pronti a diffondere tra la popolazione, anche in piena notte, avvisi di criticità e indicazioni operative per evitare il peggio di un evento che non si sa se e quando potrà aver luogo nelle successive 24/48 ore in un’area magari particolarmente critica del territorio comunale, per la quale non basterebbero parecchie decine di milioni di Euro per mitigare il rischio e nella quale l’unica prevenzione possibile sarebbe circoscriverne il perimetro ed evitare che ci fossero all’interno non solo le case, ma anche strade, ponti, sentieri, alberi e che vi si svolgesse qualsiasi attività umana.
Come se fosse semplice, per un Sindaco, l’ultimo eletto in ordine di tempo, evacuare non dico una casa che sia una, ma magari anche un’intera frazione di paese su e giù per lo stivale e interdire il corso di una strada o di più strade, sulla sola base di un rischio vagamente ipotizzato.
Così accade spesso che non si faccia assolutamente niente. Se non pubblicare da qualche parte un accorato Avviso di criticità a futura memoria. Di chi c’era e chi lo legge.
Confidando intanto nella Provvidenza e nel bel tempo. Già sapendo che -casomai dovesse succedere qualcosa- qualcuno sarà chiamato a risponderne. Magari nello stesso Tribunale il cui edificio è stato per decenni privo di qualsiasi agibilità e -secondo circostanze note a tutti- realizzato senza alcun criterio antisismico, cosicché se domani crollasse per via di un terremoto, senz’altro dovrebbero esserne chiamati a rispondere gli stessi che ogni giorno consentono che vi si celebrino udienze di ogni rito con afflusso di pubblico e impiegati.
Così in questo trionfo dell’ipocrisia nazionale alla ricerca di un colpevole, tra Prefetture, Protezione civile nazionale e regionale, Autorità preposte ai vincoli, i Sindaci fanno spesso, troppo spesso, la parte dei vasi di coccio, quelli che si rompono e i cocci sono i loro.
Fino a quando non impareranno anch’essi ad attrezzarsi. Cosicché il cerino resti in mano a qualcun altro. Per esempio a un Assessore. O a un dipendente. Magari all’ultimo di turno in Municipio. Quello che avendo ricevuto l’avviso di pericolo doveva ergersi come Mosè sulla roccia del Mar Rosso ordinando alla pioggia di cessare o alle persone di fuggire prima di essere ingoiate dalle acque e dal fango che precipita.
Con il che non si vuole minimamente mancare di rispetto alle vittime. Quelle colpite a casa loro mentre credevano di stare al riparo dai pericoli. O magari di poterci tornare in sicurezza, a casa loro.Da Sarno e Quindici a Episcopio, fino alle valli del Nord, del Centro e del Sud e alle città costruite negli impluvi dove eventi tragici hanno distrutto famiglie e paesi, ma piuttosto si intende rimarcare che la colpa della fragilità geologica del bel paese non è dell’ultimo Sindaco di turno, quanto piuttosto della cronica incapacità di programmare con interventi seri e non sporadici la gestione del territorio consentendo l’emersione delle criticità a molti già note e il loro superamento con mezzi e fondi straordinari. Quelli che lo Stato tuttavia non può e non è disposto ad investire. Preferendo continuare ad ignorare che interventi di mitigazione del rischio in un paese in cui sono a rischio il 91% dei Comuni italiani, non possono che essere programmati, eseguiti e condotti dallo Stato centrale con mezzi e risorse straordinarie se non si vuole continuare a piangere i morti di ogni frana sparando sull’ultimo Sindaco di paese che è già quasi sempre uno che è sopravvissuto”.