CONCESSIONI BALNEARI. LA METÀ HA UN CANONE ANNUO INFERIORE AI 2.000 EURO

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Canoni esigui, ma giro d’affari da 15 miliardi

Il problema delle concessioni balneari è duplice. Da un lato, c’è il tema dei canoni esigui: nel 2019 l’ammontare complessivo dei canoni è stato di appena 115 milioni di euro, a fronte di un giro d’affari di 15 miliardi di euro. E solo nel 2020 il canone minimo per una concessione è stato portato a 2.500 euro. Il che significa che dalle concessioni attuali lo Stato non guadagna.

In Italia tre concessioni balneari su quattro hanno un canone inferiore a 5.000 euro l’anno. Le concessioni per uso turistico sono 29.987, ma quelle per cui sono disponibili dati sul canone sono 13.299. Di queste solo 3.157 prevedono un canone annuo superiore a 5.000 euro, mentre più della metà ha un canone inferiore ai 2.000 euro.

Dall’altro lato, c’è la proroga generalizzata delle concessioni. Le spiagge italiane, infatti, fanno parte del demanio, l’insieme di beni che sono di proprietà dello Stato e non possono essere venduti o ceduti a privati. Le concessioni esistono proprio per questo. Semplificando, si può dire che sono una sorta di affitto e dovrebbero avere natura temporanea. Allo scadere del termine, lo Stato dovrebbe indire una nuova gara. Finora però questo non è avvenuto e si è andati avanti a suon di rinnovi e proroghe, malgrado i numerosi richiami dell’Ue. Il piano di riforma del governo cerca di intervenire su entrambi i fronti.