CERCO L’UOMO (POLITICO), DATEMI LA LANTERNA PER LA NOSTRA SOCIETA’! DI ANTIMO PUCA

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Magari coloro che mi leggono non ci crederanno ma io sono accusato spesso di disfattismo e perfino di crudeltà quando si tratta di scrivere delle screditate istituzioni dello Stato e della politica. I miei pensieri nascono dallo sgomento e dal riscontro che la dimensione sociale vive solo nella quotidianità, che è tanta e bella, ma se ne sono ormai perse le parole.

(Antimo Puca)

È la sola politica che può avere un senso, quella dell’etica e della dignità.

C’è una cesura, un distacco, una impermeabilità fra politica e società. Dovrebbe essere la prima il faro, la guida della seconda. Forse un tempo era così. Anzi, è la politica ad essersi formata per la gestione sociale ed era quindi lo strumento per massimizzare il benessere sociale sulla base delle esigenze della società stessa. 

In teoria dovrebbe esserlo ancora. 

Ma in realtà la politica ha da tempo abdicato a questo ruolo e non tutti se ne sono accorti, anche perché, andando a votare, ci si illude di esercitare una certa influenza su quelle che sono le politiche, specificatamente o indirettamente sociali. In realtà, noi scegliamo – quando è possibile e nel migliore dei casi – i politici, e non le politiche, che sono già ben determinate o comunque condizionate da altri vertici che poco o nulla hanno a che fare con la democrazia. I politici eletti poi si dividono fra quelli che più o meno volentieri si adeguano (azzardo: la maggior parte) o tentano fra mille frustrazioni di ottenere qualche buon risultato (e spesso ce la fanno). 

Lontano echeggia il canto corale “Patria oppressa” che ci fa comprendere quanto ancora siamo schiacciati sotto il peso di una schiavitù mascherata da una lunga attesa di diritti che non arrivano mai. 

Sento profondamente di dover chiedere un confronto a chi dovrebbe, anzi, avrebbe dovuto, presidiare l’umanità, la giustizia sociale, la legalità, la democrazia, la cultura, insomma, tutti i valori espressi dalla nostra Costituzione, che tutelano le persone. Questo è quanto sento. 

Vorrei fare esperienza in un’Amministrazione pubblica, in un governo locale, occuparmi di politica, lavorare avendo come bussola di orientamento il criterio delle persone prima di tutto. Vorrei rappresentare una politica che fa della promozione dei diritti il suo principio guida.

E proprio sui diritti, due parole sono necessarie. 

E di diritti io non sento più parlare, ormai da un pezzo, da chi invece, nelle sedi politiche e istituzionali, avrebbe il dovere di blindarli e renderli il cardine, il perno, il primo fondamento di un Paese civile.

I diritti non sono più in agenda, non se ne parla nei documenti politici, negli interventi pubblici, sono dimenticati, ignorati, disconosciuti. 

Secondo Richard Titmuss, scienziato sociale inglese, si può parlare di welfare state quando “non solo la maggior parte dei lavoratori, ma dei cittadini, se non tutti, gode di diritti sociali. Per essere pienamente cittadini, non basta avere i diritti civili, che sono i primi arrivati, e neppure i diritti politici; bisogna avere i diritti sociali perché sono quelli che abilitano a esercitare anche gli altri. Perché se non ho ricevuto un’istruzione adeguata, come posso esercitare il diritto civile della libertà di pensiero? Se non ho potuto sviluppare le competenze per capire un programma politico e discuterlo, come posso esercitare il diritto politico di voto o quello di concorrere alla formazione delle decisioni? I diritti sociali non solo sono qualcosa in più, ma sono abilitanti gli altri diritti”

Ci scontriamo contro il muro di gomma di un apparato amministrativo, politico e istituzionale cieco e sordo, che non prende mai coscienza e conoscenza per trasformarla in un impegno, un programma, un intervento di sistema che produca risposte vere, tangibili, a più livelli.

E allora mi chiedo: chi doveva, chi deve, chi dovrebbe offrire delle risposte di sistema, oggi e in prospettiva? Chi doveva, chi deve, chi dovrebbe promuovere una cultura che sia credibile e che non generi masse di homuncoli desiderosi di riscattare le loro collere? Chi doveva, chi deve, chi dovrebbe offrire, nel contempo, soluzioni concrete, praticabili, organizzabili immediatamente che non si riducano soltanto a recriminazioni su leggi inadeguate o rimproveri ai governi di turno che non hanno recepito le loro illuminate sollecitazioni?

Non parlo di una rivoluzione impossibile, ma di un onesto, puntuale e responsabile lavoro quotidiano che si nutra di un contatto permanente col “vivo corpo sociale” (cit. Adriano Olivetti).

Un corpo sociale che oggi il ceto politico dimostra di non conoscere se non per farvi appello nei propri accorati discorsi, in gare di retorica sui social media o nelle solite assemblee, al contempo autofustiganti e autocelebrative, alla presenza sempre degli stessi, in cui il rituale converge di regola in quelle autoassoluzioni, di cui la politica delle anime belle è divenuta maestra.

Basterebbe semplicemente avere come parametro il Bene Comune per eccellenza, che è la dignità delle tante, troppe persone ormai disumanizzate. 

Per usare il lessico popolare, basterebbe una politica human orienteed, non più self orienteed. Una politica che facesse uno sforzo di umiltà e ammettesse che gli strumenti che continua ad usare sono sempre gli stessi – pur se ribattezzati ciclicamente con nuovi nomi e traslocati in nuove stanze – e che si sono rivelati fallimentari proprio perché sono responsabili (si, lo sono!) della situazione attuale, a partire da quei personaggi che disdegna e disconosce, ma che non si sono certamente materializzati all’improvviso, autoproducendosi dal nulla; anche i funghi, quando spuntano, rappresentano il prodotto di una vita vegetativa durata molto tempo…

Come insegnava lo psicologo Maslow, “la tentazione, se l’unica cosa che hai è un martello, è di trattare tutti i problemi come se fossero chiodi“. E allora andrebbe sostituito il martello con la responsabilità, etimologicamente intesa come abilità di dare risposte. Del tipo che, dinanzi ad ogni questione, “non si esce dalla stanza se non si trova una risposta efficace”.

E la risposta efficace è quella che tutela la dignità di ognuno. 

Senza troppi giri di parole….non c’è nulla come l’esperienza concreta!!

Non c’è dignità politica senza esperienza diretta e concreta.