ALLA TORRE DI GUEVARA L’ESPOSIZIONE “COMBINATO DISPOSTO”.

Marisa Albanese e Roberto Marchese presentano un progetto espositivo, intitolato Combinato Disposto, Patrocinato dal Comune di Ischia e dal Museo MADRE, a cura di Michela Casavola, nel quale opere recenti e inedite, alcune site-specific, si pongono in dialettica relazione tra loro e con gli spazi della Torre di Guevara. L’incontro tra i due artisti dà vita a un “intreccio” linguistico multimediale (caratterizzato da installazioni e sculture ambientali, disegno e fotografia, tecnologie analogiche e digitali) che veicola una vera e propria simbiosi, uno scambio di visioni su tematiche e contesti affini. Da ambiti antropologici e sociali (Marchese) si passa a questioni sulla condizione dell’uomo contemporaneo, nomadismo e spostamento identitario (Albanese). Un percorso tra “nonluoghi” (per citare Marc Augè) caratterizzato da input visivi eterogenei per incontrare le tracce archeologiche e geografiche della surmodernità, accompagnati da riferimenti al superamento della condizione di mobilità, associati all’ipotesi di un nuovo habitat quotidiano, capace di ridisegnare la vicenda contemporanea e i suoi fenomeni.  L’naugurazione ci sarà domani, sabato 12 luglio alle ore 19.00

Marisa Albanese crea nuove mappe con polvere di metalli nell’opera Cosa ferma le altalene?. In questa installazione un gruppo di cinque altalene in vetro spostano, mediante un magnete posto sotto la loro seduta, la polvere di ferro distribuita tra due lastre, componendo un motivo iconico momentaneo, che varia a seconda dell’oscillazione dell’altalena. La polvere si dispone secondo percorsi liberi, elettrici, sottostando alla densità del campo magnetico. L’artista non soltanto inventa mappe geografiche, con polveri metalliche o con il sale, come vedremo nell’opera inedita che realizzerà espressamente per una grande sala della Torre di Guevara, ma disegna anche in modo inventivo il viaggio e il transito. Nel ciclo Diariogrammi i disegni divengono grovigli di segni di fronte ai quali si è spinti a cercare un’immagine, a ricostruire un senso figurativo, fino a che non si coglie la vera immagine lì custodita: l’immagine di un corpo fermo che si muove, un’apparente unità organica statica che cela in realtà un flusso di energia in attesa di esplodere, di de-flagrare. È la traccia di quella diffusa potenza immanente che rimane inesplosa solo perché sepolta da una smisurata produzione di flussi immunizzanti. Traccia che testimonia il lavoro dell’artista, narrando, come fu per gli antichi viaggiatori del Grand Tour, la potenza creatrice del proprio sguardo, delle proprie mani, della propria ragione critica, fino a compiere nella sua forma più alta il nostro viaggio. In Marisa Albanese si può cogliere, attraverso la leggerezza del tratto, tutto il “peso” del nostro tempo, della vita in transito, nonché l’essere in viaggio.

L’analisi delle opere di Roberto Marchese si pone, invece, oltre la moderna condizione globalizzata con la presentazione di oggetti archeologici reinventati (oggetti in cemento ricavati da calchi di vecchi televisori e componenti strutturali di luoghi dismessi), spesso utensili-artefatti nati dal riuso di materiali trovati (sorta di doppio ready made) che aprono la riflessione su una rinnovata memoria futura, riferibile a una immaginaria civiltà postindustriale. Marchese si avventura poi in un “viaggio onirico” con il ciclo fotografico intitolato New Yort, una registrazione temporale di immagini catturate nelle aree periferiche di Napoli che, accentuando il senso quasi visionario di zone dove convivono agglomerati edilizi in cemento, fabbricati in lamiera dismessi e scorci desolanti, zone intaccate dal vuoto, rivendicano “il potere dell’immaginazione” in un paesaggio apocalittico. Marchese esplora terre e “territori” alla ricerca di codici non completamente decodificati, ma che siano anelli di congiunzione di due grandi blocchi culturali, quello contadino e quello del capitalismo post-industriale, ponendo l’accento sulle contraddizioni tra luoghi urbani e quelli rurali in una logica di catalogazione e destrutturazione degli oggetti che sono appartenuti o appartengono alla collettività. Nell’epoca in cui il mondo si sperimenta, Marchese si muove nello spazio eterogeneo della modernità, “dal quale siamo chiamati fuori da noi stessi, nel quale si svolge concretamente l’erosione della nostra vita, del nostro tempo e della nostra storia” citando Foucault.

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