La vertenza dell’eav bus e l’istituzione di servizi privati sulla nostra isola, preoccupano Rifondazione comunista: “Lavoratori della EAVBUS e cittadini – scrivono infatti in una nota – hanno segnalato in questi giorni la presenza di automezzi di privati provenienti dalla terraferma in giro per l’isola. Tutto fa presagire che, dimessa e privatizzata la Caremar, la stessa sorte è prevista per l’azienda dei trasporti su gomma.
Sono molte, infatti, le similitudini tra le due compagnie: dalle paventate privatizzazioni degli anni passati allo scientifico fallimento, avvenuto nel giro di poco tempo e conclusosi con terribili disagi arrecati a utenti, pendolari, turisti. E’ormai evidente come dietro l’alibi della crisi ci sia un preciso progetto politico che si realizza attraverso l’affossamento di compagnie che per anni sono state fiore all’occhiello del nostro turismo, mentre oggi sono tristemente erette a bandiera del trionfo del neoliberismo privatizzante, al fine di scardinare diritti di lavoratori e pendolari conquistati in decenni di lotte. Dati alla mano, tuttavia, con una seria volontà politica da parte della Regione e delle sei amministrazioni locali si potrebbe realizzare un altro scenario. Mettendo da parte il parallelismo con la Caremar (il cui capitale sociale nel 2011, al netto di oneri finanziari, tasse e ammortamenti è diminuito del 421.87% rispetto a 2009*), il risultato netto ottenuto da EAVBUS S.R.L. IN LIQUIDAZIONE durante il 2010, dopo gli oneri finanziari, le tasse e gli ammortamenti è aumentato del 43.22% rispetto a 2008**. Altri dubbi sorgono dopo un breve colloquio telefonico con un dipendente EAV, che vuole rimanere anonimo, il quale afferma che nonostante circoli sull’isola solo una decina autobus, con il ricavato attuale di biglietti ed abbonamenti l’azienda potrebbe procedere all’acquisto del carburante e alla riparazione di circa trenta mezzi inutilizzati. Ciò permetterebbe l’attivazione di nuove linee e quindi la fine del contratto di solidarietà dei dipendenti oggi in cassintegrazione. Il problema è che l’azienda di Ischia destina all’isola solo una parte di quel ricavato. Ulteriori dubbi sulla gestione nascono dal fatto che, pur essendo aumentate le “ore di solidarietà” (oltre 2 mesi l’anno) e nonostante il pre-pensionamento di molti conducenti, non si riesce a sapere se sia stato raggiunto il pareggio di bilancio o se il debito sia stato, se non ripianato, perlomeno dimezzato. Volgendo uno sguardo indietro nel tempo, emerge che le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali – scritte nella manovra-bis del Ferragosto 2011 – sono identiche a quelle abrogate dai referendum sui beni comuni, quindi illegittime. Cancellata tutta l’architettura legislativa che si era accumulata con gli ultimi provvedimenti, la bussola sarebbe dovuta tornare sulla normativa europea (richiamata dagli stessi giudici costituzionali), che permette l’affidamento in house a tre condizioni: la società affidataria deve avere capitale interamente pubblico e svolgere la quota prevalente della propria attività con l’ente affidante, che a sua volta deve esercitare su questa un controllo «analogo» a quello assicurato sui propri uffici. Viene da chiedersi perché una classe politica intera preferisca accelerare quasi istericamente la privatizzazione di prestazioni, che per un territorio isolano si configurano più che altrove come beni comuni, invece che praticare altre vie – magari più impegnative, ma col garanzia di servizi decenti, tariffe ridotte e sicurezza occupazionale a centinaia di dipendenti.
I nostri uomini della provvidenza isolani ne sarebbero capaci?