PAPA FRANCESCO, UNO DI NOI! DI ANTIMO PUCA

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PAPA FRANCESCO JORGE MARIA BERGOGLIO

Discorsi a braccio. Telefonate all’improvviso. Sguardi amichevoli. Rimproveri duri. Ricordi familiari di vita quotidiana.
Il suo rifiuto di risiedere nell’appartamento papale è stato il simbolo del no al più generale comportamento papale.
Il nome di Jorge Mario Bergoglio non figurava quasi mai tra le liste dei principali papabili. Una scelta completamente innovativa. Il primo papa non europeo. Il primo papa latino-americano. Il primo papa che ha scelto di presentarsi al mondo come “vescovo di Roma”.
Soprattutto, il primo papa che ha scelto di chiamarsi come il poverello di Assisi, l’alter Christus, quel folle che parlava ai lupi e agli uccelli e che disdegnava i potenti.

(Antimo Puca)

Un programma di governo all’insegna della testimonianza profetica e della radicalità evangelica.
Il fatto che Bergoglio abbia scelto di chiamarsi Francesco indica nel modo più esplicito la sua chiara percezione della gravità della situazione che la Chiesa cattolica stava vivendo.
Radicalitá evangelica. Povertà. Mitezza. Lontananza dal potere. Amore per ogni uomo e per tutto il creato.
Francesco ha messo in moto, con la semplicità di chi fa un lavoro necessario, difficile ma non drammatico, cambiamenti epocali. Ma lo ha fatto senza alcun pathos progressista e senza ansie tormentate. Il suo stile disarmava a priori tutte le resistenze. Se fosse stato Papa quando i due astronauti sovietici primi pionieri dello spazio dichiararono pateticamente di non aver visto Dio, Francesco non avrebbe probabilmente reagito con l’accorata tristezza di Paolo VI, ma avrebbe magari mandato un telegramma per ringraziarli di averlo rassicurato, visto che sarebbe stato imbarazzante se quei due avessero veduto Dio che invece non si era mai fatto vedere direttamente dal Papa e se Dio fosse visibile lassù, o laggiù, si fa per dire, piuttosto che dalle nostre parti.

Un vero grande leader «semplice come una colomba e astuto come un serpente», come esorta il Vangelo e come dovrebbe essere ogni capo e, prima ancora, ogni uomo. C’è una grande ironia cristiana e Francesco ne è stato maestro.

Da papa Bergoglio ha voluto anzitutto essere vescovo di una città.
Sapeva che poteva essere veramente papa in fedeltà al Vangelo e al Vaticano II solo nella misura in cui era vescovo, cioè una guida concreta a contatto con i problemi reali della gente reale. Gesuita. Mite e austero insieme. Amante della semplicità, della povertà. Di una vita all’insegna dell’essenziale. Privo di decorazioni barocche e dal linguaggio semplice e asciutto. Assomigliava molto a Carlo Maria Martini, di cui certamente era amico. E forse quei 200 anni con cui Martini in una sua profetica intervista segnò la distanza tra la Chiesa e il mondo («la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni») con Francesco I sono stati colmati.

La sua ultima enciclica è del 2024 e si intitola “Dilexit nos”, “Ci ha amati”. Eccone un passo: “La cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine”. Francesco ci invitava a immaginare come valutare la nostra esistenza quando arriverà la fine.
Forse la sua esistenza si può valutare come quella di un “profeta” che, come attesta l’etimologia greca, “parlava davanti a” e insieme parlava “a favore di”.

Egli ha parlato davanti a Dio a favore del mondo.
E l’ha fatto con uno stile tutto suo, inconfondibile e irripetibile, a volte dolce a volte amaro, morbido e spigoloso, conciliante e pungente. Ma sempre autenticamente umano, anzi italo-argentino.
E sempre autenticamente gesuita.