L’argomento è ostico e se ne parla poco. Lunedì 5 settembre, seguendo un format televisivo ove si
discuteva (non si parla d’altro) della crisi energetica e del rigassificatore da installare a Piombino,
l’argomento si allargava all’ impianto di Porto Venere, costruito sul finire degli anni 60 e in funzione
da allora a rigassificare miliardi di metri cubi, di gas liquido, senza destare allarmi o provocare danni.
Il conduttore, mostrando, sull’argomento, qualche paginata che il Corriere della Sera (all’epoca in
proprietà della famiglia Crespi il cui amm.re Maria Giulia stava dando vita ai primi gruppi di
ambientalisti italiani) aveva organizzato contro l’impianto, chiedeva se l’informazione, distorcendo
la verità dei fatti, non determina processi involutivi al paese. L’argomento ci consente, ancora una
volta, anche in questa piccola rubrica domenicale, di parlare del ruolo dell’informazione che, da
“cane da guardia della democrazia” si trasforma, sempre più spesso, in “cane da guardia del potere”.
Sia esso politico che economico; considerato che appare sempre più difficile trovare “giornalisti
liberi”, “informati e documentati” che, conoscendo le regole dell’informazione e della grammatica,
scrivono con onestà documentata e non “per sentito dire”. Il giorno successivo martedì 6, mi son
divertito molto a leggere una risposta del prof. Brunetta al giornalista (Mascheroni) che su di lui
aveva scritto un pezzo particolarmente ilare che, toccando la nota suscettibilità del soggetto, ne
aveva provocato la reazione. In punta di matita blu, il prof. Brunetta sottolineava tutti gli svarioni in
cui era caduto l’estensore (prof. universitario anche lui) che, scarsamente documentato, citava, per
sentito dire, fatti che l’altro annotava per mai verificatisi. L’evento fa da pendant ad infiniti altri che,
nella nostra Italia, succedono da anni e mi convincono, sempre di più, che, senza pensare affatto ad
una censura o limitazione di sorta, visti i disastri che informazioni distorte provocano sulle persone,
è giunto il tempo di un intervento legislativo teso a disciplinare metodo, forma e responsabilità
dell’informazione giornalistica. Anche allo scopo di creare griglie di ingresso, ad una funzione così
delicata quale è quella del giornalista, per sole persone dalla conclamata preparazione che non si
fermano al “sentito dire” che, esposto tra sostantivi, aggettivi, verbi e punteggiatura raffazzonata,
ne distorcono talmente il significato da creare più danno di quello che si vorrebbe denunciare. Ad
incominciare dalle cosiddette stampe locali che dovrebbero essere le “palestre degli aspiranti
giornalisti” ma che, troppo spesso, si trasformano in casse di risonanze del “poterucolo locale” o del
piccolo potere finanziario che elargisce qualche sovvenzione al foglio in pubblicazione. Foglio che
(espandendosi nel mondo a macchia d’olio via internet), privo di controlli e capacità espositiva, offre
spesso un’immagine fuorviante di realtà che meriterebbero ben altre considerazioni. E, veniamo
all’isola d’Ischia e all’informazione che di essa, spesso, malamente si dà. È da anni che si denuncia
l’invivibilità dell’isola “schiattata in corpo” da un traffico che ha raggiunto livelli indescrivibili e da
un libertinaggio impunito in tanti settori e, da anni, ci si lamenta dell’inerzia delle forze dell’ordine
e dei sindaci che non fanno quello che dovrebbero fare. Tanto tuonò che, finalmente, piovve!
Quest’anno si è insediato un nuovo dirigente al commissariato di via delle terme e, bisogna dare
atto, che la musica è cambiata. Più polizia di stato per strada ha stimolato, in miglioramento, anche
altre forze, nonché la polizia locale, troppo spesso distante dagli eventi. Dico che possiamo
dichiararci soddisfatti (sicuramente va fatto ancora di più, soprattutto agli sbarchi delle auto!) a
fronte di una movimentazione, enorme, che, dopo due anni di pandemia, si è riversata sull’isola.
Anche un sindaco (quello del comune capofila) ha battuto un colpo forte emanando un’ordinanza,
seria, che impone, senza interpretazioni di sorta, l’interruzione a mezzanotte delle diffusioni sonore
all’esterno ed alle due quelle di ogni tipo. Un provvedimento circostanziato che si attendeva da anni
che ha meritato diversi plausi e interventi, della stampa locale. Uno di essi, che pubblico di lato
oscurando, per decoro, il nome dell’estensore, mi ha dato veramente il voltastomaco.
Ritengo che tanto il titolo che l’estensione (da leggere per avere un’idea) se fosse stato/a presentata al mio professore di italiano, gli avrebbe rifilato un due meno – meno- attivandosi poi per una bocciatura
finale. Il titolo “L’isola tra ordinanze, chiusure e quel silenzio che fa rumore” con il relativo sottotitolo
è una campionatura di stupidaggini sgrammaticate che offende gli ischitani e consegna una verità
distorta e pacchiana che fa vergognare al solo leggerlo. Tralasciando le considerazioni che, fuor
dall’isola, si son fatte del tasso di alfabetismo esistente sullo scoglio di Tifeo. È bene dire che la
chiusura del locale notturno “New Valentino”, non dipendeva da motivi connessi con l’ordinanza
del sindaco di Ischia ma da una rissa che s’era sviluppata all’esterno di esso e pertanto il lettore resta
fuorviato e ritiene che s’era applicato un provvedimento ingiusto a chi fosse in regola per poter fare
chiasso. L’estensore, quindi, utilizzando un fatto di cronaca che non c’entra nulla, si duole, in realtà,
del provvedimento sindacale che, considerando le esigenze delle persone normali che non amano il
rumore, ha reso un atto di civiltà che è stato goffamente additato come dissolutivo di un benessere.
Solo un “custode dell’illegalità diffusa” avrebbe saputo presentare meglio il fatto, così dimostrando
come un’informazione superficiale e raffazzonata possa determinare processi involutivi ad un
paese. E, di tanto, anche Ischia, non ha bisogno.
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