ELEZIONI ALL’ITALIANA MA… GUARDIAMO AVANTI! DI ANTIMO PUCA

Se le parole rispettassero veramente le cose non si dovrebbe parlare, purtroppo, di elezioni. Le forze politiche che si confrontano e si scontrano sembrano intenderle piuttosto come un super-sondaggio, significativo per più o meno prossime elezioni. Non sembra che ai partiti interessi in primo luogo accrescere la forza dei socialisti o dei popolari nel Parlamento, bensì contare in cagnesco i voti ricevuti; ancor meno ovviamente guardano agli interessi del Paese i gruppi accesi, assai poco sensibili ai problemi comuni che trascendono e devono trascendere i singoli Paesi anche quando investono particolarmente l’uno o l’altro di essi.
Il legame politico e affettivo con la propria identità nazionale, regionale, cittadina, culturale è ovvio ed è anche naturale e doveroso; non è certo di per sé un gretto e chiuso localismo ma anzi, se rettamente inteso, ne è l’opposto. Dante, cui è difficile negare universalità e senso dell’universale, scriveva che a furia di bere l’acqua dell’Arno aveva imparato ad amare fortemente Firenze. È umano ed è anche giusto che io senta i problemi brucianti di Ischia con più immediata partecipazione che non i problemi brucianti di altri luoghi in Italia.
Alle parole sull’Arno che gli aveva insegnato l’amore per Firenze, Dante aggiungeva che la nostra patria è il mondo, come il mare per i pesci. Già il senso di un’unità dell’Italia secoli prima della sua realtà politica – un concetto/sentimento che è difficile e affascinante vedere formarsi, come sottolinea Alberto Asor Rosa nel suo grande libro Machiavelli e l’Italia – è un processo in divenire, processo che si allarga sempre più. Per riprendere un’immagine di Alberto Cavallari, siamo delle matriosche, l’Ischia dove sono nato è in Italia, questa è nell’Europa e quest’ultima nel mondo. In un suo acuto e arguto articolo sul Corriere, Beppe Severgnini ha scritto che «la costruzione europea non può essere la somma degli egoismi nazionali, è invece una consapevole cessione di sovranità]…]una grande affermazione dei sovranisti segnerebbe la fine di questa UE, che ha portato, nel continente, settant’anni di pace dopo tremila anni di guerra».
L’Italia sembra certo assai poco capace di accendere quella passione civile, quel pathos, quel sentimento di appartenenza comune che, compenetrato dalla ragione, è essenziale per far parte di una comunità e renderla viva. Per i comuni cittadini ossia per quasi tutti noi, l’Italia appare misteriosa e complicata come un’istituzione kafkiana, bloccata dal paralizzante principio di unanimità che è il contrario della democrazia liberale ed è congeniale alle dittature, che ne proclamano e ne impongono una fittizia.
Tutto ciò non può far dimenticare i grandi progressi che si sono fatti negli ultimi decenni. Il senso di appartenenza comune, specie fra i giovani, è cresciuto; ci sono state e ci sono numerose iniziative che promuovono e favoriscono scambi, progetti culturali ed economici che, non meno dei corsi di studio, collegano individui, associazioni ed enti. Sono in atto tutele dell’ambiente e del patrimonio culturale e artistico, politiche dell’alimentazione e altre cose ancora, di cui purtroppo l’italia, scarsamente capace sul piano della comunicazione, non sa dare efficace informazione. Cerchiamo di votare come cittadini italiani, come in questa circostanza siamo del resto esplicitamente chiamati a fare. Un po’ (anzi non poco) di pessimismo è necessario all’intelligenza e alla politica come il sale alla minestra. Ma un pessimismo eccessivo sarebbe sterile e retorico, una compiaciuta posa pseudo-metafisica, di cui il paziente lavoro dei costruttori di un’Italia che ancora non c’è non ha proprio bisogno.
 di Antimo Puca

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