LA VERA FESTA DI SANT’ANNA APPARTIENE AL PESCATORE E ALLA TRADIZIONE. DI ANTIMO PUCA

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Festa a mare agli scogli di Sant’Anna: un sapere serbato negli occhi lucidi di pescatori antichi che, con semplici barche dai lunghi remi guidate da braccia forti e spalle possenti, si accostavano presso una baia incastonata tra cielo e terra. Li, dove l’occhio del divino sembra essersi abbandonato, i pescatori usavano rigorosamente pregare e ringraziare La Santa Matrona Anna, protettrice delle famiglie e delle partorienti, per una nascita avvenuta e sana o affinché non venisse a mancare latte dal petto materno, accingendosi ad addobbare le loro barchette con rudimentali ornamenti ed a celebrarne il culto in un misto tra fede e semplicità, scambiando poi pietanze sapientemente cucinate ed annaffiate di buon vino di collina in una sorta di mensa mista al sapore di mare. La memoria storica focalizza lo sguardo su gruppi numerosi di uomini e bambini, concentrati sulle rive della Mandra, con il petto acceso di orgoglio ed entusiasmo lanciati su piattaforme lignee di circa 250 metri quadri innalzate su bidoni di ferro alte 10 metri, completamente avvolti dalla passione, in un arco temporale lungo due mesi in cui era già festa il ritrovarsi nonostante una giornata di arduo lavoro per dare il meglio di se nella costruzione di una barca che, si auspicava, fosse la più bella. La luna padrona prepara lo scenario. In un misto tra stile, semplicità e genuinità le barche, preparate con cura, attenzione e dedizione, filavano sopra un olio blu e sotto un argento filo. Protagonisti assoluti, i pescatori della Mandra. Ma il mio pensiero suggerisce due figure: Giovan Giuseppe Sorrentino, il caro Nerone, pioniere della festa, 1932, promotore delle barche a figura e delle differenze dinamiche generate tra fuochi d’artificio fissi e razzi; e Vincenzo Funiciello, che con le Sue scenografie semplici realizzava le più belle barche. Nel mentre, il passeggio Ischia Pontino era inondato da voci di bimbi misti a chiacchiericci materni; attaccato al naso, l’odore caramelloso di mandorle e zucchero filato confuso a quello caldo intenso delle noccioline americane; bancarelle colorate riempivano i lati del passeggio tra un vicolo e una curva e nello slargo prima della cattedrale qualcuno vendeva palloncini, acqua e bibite fresche in una grande bagnarola blu piena di acqua e ghiaccio. Genti assiepate lungo il tratto costiero, lato baia, già dal primo pomeriggio, in attesa di rivivere l’antica emozione mozzafiato.

Passione, cura e dedizione sono le orme che hanno solcato il terreno all’alba di questa nostra festa identitaria. Si dice che ci vuole entusiasmo o grandi miti per smuovere gli inerti. Ma cosa può ispirare le coscienze più della piena espressione del se? Ammutolisce non poco la silente verità che una festa ischitana nata da esigenza religiosa si allontani sempre più dal proprio originario significato. Custodire la memoria alla cui radice si scorge un’isola erede di una straordinaria tradizione che inizio e crebbe largamente grazie a fedeltà e perseveranza, una grande eredità tramandata dai nostri pescatori nella fede ma che oggi non riconosce il suo fiorire nella mancata identità verso ogni tipo di realtà che può e deve essere estrinsecata dal luogo natio. Sant’Anna appartiene al pescatore, non può cadere in un banale divertissement. Abbiamo colpevolmente smesso di rispettare la vera protagonista, la nostra sant’Anna, perduti, come siamo, nelle nostre piccole faccende. Se l’indifferenza diventa maggioranza la festa ha cessato di esistere. Evitiamo l’aporia. È tempo di essere degni della nostra storia. Una conoscenza vera, quindi non intellettualistica o solamente erudita, è il presupposto per rispettarla. Chi non sa non può apprezzare ed inevitabilmente non rispetterà. Individuare una data ed onorarla ogni anno è prassi utile per indurre chiunque a riflettere, a fermarsi un momento, a ricordare, ad imbattersi in un viaggio. Una ricorrenza ha senso anche e soprattutto se è utile per l’avvio di una critica costruttiva dopo aver menzionato valenza e risultati. Si deve avviare un confronto circa la strada che sant’Anna sta prendendo, circa i suoi difetti. Sono cambiate le ragioni e le modalità con cui i valori sant’Anna vengono vissuti e questo, purtroppo, non è accaduto sempre al meglio. Sant’Anna è troppo spesso frutto di manovre ideologiche. Oggi la nostra sant’Anna deve sfidare la tempesta dell’apatia, dell’indifferenza e,la tempesta più importante, cioè la fatica a riconoscere, recuperare e difendere la propria identità. Conoscere e rispettare il proprio passato e le proprie radici, essere soldi rispetto ai valori della propria cultura e della propria storia è ciò che garantisce di poter partire sfidando la tempesta. Gli ischitani devono essere aiutati a cogliere La Sapienza e la ricchezza che si sprigiona dall’evento sant’Anna, soprattutto attraverso il recupero della memoria storica culturale, che non è assolutamente invecchiata, come alcuni sostengono, e pertanto necessita di tornare agli antichi splendori. Sono più le differenze che i punti comuni tra la festa di sant’Anna della semplicità di pescatori che addobbavano barche e gozzi con le canne e che con le loro famiglie si univano nella baia per pregare, ringraziare e festeggiare scambiandosi tra loro vicendevolmente parmigiane, coniglio, frutta e vino e la sant’Anna degli tempi recenti, in cui la semplice espressione artistica locale è stata barattata con una professionalità da show televisivo che poco o nulla ha a che vedere con la spontaneità del pescatore. Sant’Anna appartiene al pescatore. L’invito ad essere custodi nella memoria vuol dire fare tesoro delle grazie del passato e trarne le risorse per affrontare con lungimiranza e determinazione le sfide del futuro. Una forma attiva custodia protratta al futuro, salda nella propria cultura. Tra la propria gente. Sant’Anna è degli ischitani. Sia nostro impegno custodirla con gelosia. Per incantare e meravigliare ancora.

di Antimo Puca