“ARIDATECE ER PUZZONE”. DI ANTIMO PUCA

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“Aridatece er puzzone” è da sempre una faccia dell’italiano medio e anche di quello chic. Ora però i veri puzzoni ci sovrastano, ché il Cav. era un Cumenda del “mi consenta”, e se era capace di anticipare il tardivo Trump (“sono il più grande statista americano a eccezione di George Washington”), la sua vanità aveva niente a che fare con il trucismo dei giorni nostri in tutte le sue varianti. La nuova genìa politica italiana è rasoterra, non ha grande carisma ma dispone di allacciamenti e radici internazionali.
La vocazione strategica è al dominio narcisista di cuori già infranti dalla cattiva e maleducata tendenza della vita quotidiana: riproducono il peggio degli amministrati per somministrare loro un devastante e volgarissimo, qui ci vuole, potere d’immagine, che è quello che loro chiedono a gran voce, stanchi delle buone maniere d’élite. Non possiamo non farci vedere divertiti, fino talvolta all’entusiasmo, quando assistiamo ai numeri da circo dei nuovi potenti unti dalla democrazia del consenso. Ma dobbiamo sapere che se l’obbedienza non è più una virtù, l’incompetenza, la parlantina babbea, il gusto pagliaccio del travestimento, e la sgrammaticatura sconocchiata del discorso pubblico andante sono purtroppo la nuova virtù politica dell’autorità non autorevole, sono la nuova macchina propagandistica di un consenso conformista e disobbediente le cui radici si vedono in lontananza, offuscate dal senso di colpa dei piacioni, ma si vedono: dispiacersi  e farsi dispiacere dispiacendo è ormai una tecnica altissima e sofisticatissima di governo virtuale della cosa pubblica, magari in nome dei rancori delle idiosincrasie delle frustrazioni e delle rabbie private. I Tory britannici scelgono tra un pagliaccio di genio, politici normali e un fantastico Rory Stewart, avventuroso nel senso migliore del concetto e sublime nell’eloquio politico diretto. Noi avevamo uno stile che poteva non piacere, dai formalismi eterei di un Forlani agli argomenti freddi di un Craxi, alle talleyrandate minori ma sapide di un Andreotti, fino ai ragionamenti politici di De Mita, abilmente e geneticamente sopravvissuti, e con gusto, al corso dell’età. Poteva non piacere, specie a chi rimpiangeva Einaudi, ma era uno stile. Lo stile del non-stile, la propensione coatta all’eccesso vernacolare, e tutto il resto dello sgorbio quotidiano, questo è quello che resta, ed è molto poco. Ma è un poco assai minaccioso. Pensare che molta gente sia felice di riflettersi nello specchio deformante di una classe dirigente che la classe non sa che cosa sia, e che la nega, in radice, come espressione di un vecchio mondo desueto, bè, questa è una minaccia in sé. Avremmo bisogno di un Macron, che parla come Racine o Molière, in versi alessandrini, o perfino di una Marine Le Pen, che conosce i protocolli anche se è un poco fascia, e invece dobbiamo accontentarci di registrare, dopo tante intemerate contro la volgarità ai tempi dell’antiberlusconismo, che qui i protocolli sono stati bruciati e riscritti da mano volutamene floscia, sporca e inesperta a vantaggio di una politica muscolosa, la più muscolosa del secolo a prescindere dal muscolo cardiaco e dalla materia cerebrale. Il capo dello Stato raccomanda a iosa serenità sociale, dialettica degna delle Istituzioni democratiche, rispetto della dignità di ciascuno, ma mi par di poter dire che, proprio per quanto ho appena scritto,  che dette raccomandazioni, del tutto disattese dagli interessati, non fanno altro che giustificare l’esistenza patologica di questo stato di cose.
Stante il fatto che gli Italiani non ne possono più delle pagliacciate. E che la democrazia, ormai ossidata al massimo pur restando il sistema  migliore in assoluto,  pare essere diventata uno strumento ad hoc  di cui ne beneficiano solo i profittatori disonesti e truffaldini a danno dei cittadini onesti. Che tra l’altro non hanno armi per farla valere.
Di Antimo Puca