Milano, 25 mar. <(Adnkronos) - Una difesa a prova di codice e una vittoria che sta facendo il giro d'Italia. Maria Erika Chiusolo, l'avvocato che ha difeso il ragazzo di 24 anni di Bollate finito a processo a Milano per non aver dichiarato il vero nell'autocertificazione legata ai provvedimenti per arrestare la pandemia da Covid e poi assolto, spiega cosa è successo in realtà e come ha fatto a evitare la condanna penale con gli oltre 2000 euro da pagare che si è visto recapitare il giovane.
”Il ragazzo -dice all’Adnkronos- è arrivato con una difesa d’ufficio dicendomi che lui, quel giorno era in realtà veramente al lavoro. Abbiamo aspettato come sarebbe andato il procedimento ed è arrivato il decreto di condanna penale. 2250 euro da pagare e 15 giorni di tempo per fare opposizione. Cosa che abbiamo fatto chiedendo il rito abbreviato subordinato al fatto che lui era effettivamente al lavoro”.
Perchè l’avvocato ha iniziato a chiedere documenti a fare i controlli, così come avevano fatto prima di lei gli agenti. ”Probabilmente -spiega- c’e’ stato un problema di chi ha verificato, forse un errore. Il ragazzo era un tirocinante in catena di negozi; io mi sono fatta dare tutti i documenti, ed era facilmente dimostrabile che era andato al lavoro. C’era perfino un responsabile della catena pronto a venire a testimoniare”.
Ma non ce n’è stato bisogno. ”Il problema sì è risolto subito. Effettivamente nel nostro ordinamento non c’e alcuna norma che prevede di essere puniti per certificazioni non veritiere e questo ha anche sostenuto il pm e anche lui ha chiesto l’assoluzione”. Spiega l’avvocato, che ”teoricamente queste autocertificazioni non sono in realtà degli atti destinati a provare la verità dei fatti e quindi non può esserci applicazione del reato di falsità e quindi non si può essere puniti penalmente”.