GIUDA: NON PER SOLDI MA PER SCELTA… POLITICA! DI ANTIMO PUCA

La posizione opportunista di Giuda è tra le più interessanti dei Vangeli perché il suo tradimento sta ad indicare che, pur credendo nei medesimi ideali di giustizia degli altri compagni di lotta, un militante può compiere, spinto da motivazioni soggettive, cose che vanno in direzione opposta rispetto alla desiderata realizzazione di quegli obiettivi. La storia di Giuda ci insegna tre cose fondamentali: 1-la giustezza di un ideale non garantisce della sua corretta applicazione. 2- l’incoerenza tra teoria e prassi è un frutto della libera volontà dell’uomo e non può essere Impedita oltre un certo limite. 3- Tale incoerenza porta a falsificare lo stesso ideale in cui inizialmente si credeva. Giuda dunque non può aver tradito per denaro ma per motivi politici. Probabilmente credeva che l’insurrezione sarebbe fallita non avendo il movimento di Gesù tra i giudei il consenso sufficiente. Fu un errore. Perché il consenso lo aveva avuto proprio dopo la morte di Lazzaro, il cui movimento per i giudei costituiva una grande speranza. “La colpa più grave di colui che tradì Gesù per 30 denari resta quella della falsità, un vero e proprio marchio del diavolo. Giuda avrebbe potuto andarsene come fecero molti discepoli. Anzi, avrebbe dovuto andarsene se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Non per fede. Non per amore. Ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro”(Benedetto XVI). Giuda era uno zelota e voleva un Messia vincente che guidasse una rivolta contro i romani. Ma Gesù aveva deluso queste attese. Il problema è che Giuda non se ne andò e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici:”uno di voi è il diavolo”. “La politica è la forma più alta della Carità”, espresse convinto Paolo VI, avendo conosciuto personalmente personaggi della politica dicalibro come  Don Sturzo, De Gasperi, Dossetti, La Pira, Aldo Moro, Lazzati che avevano compreso la politica come servizio alla Res Publica del Paese. Ma lo scenario politico nazionale è cambiato. Siamo di fronte a una casta che tende a riprodursi per nomina e cooptazione più che per elezione diretta dei cittadini, che scarica su famiglie, anziani e lavoratori il peso della crisi senza per primi stringere la cinghia, rinunciando a privilegi e benefici. Diceva De Gasperi:”il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”. Non ci sono statisti in Italia. L’individualismo esasperato regna sovrano mentre il rigurgito di nazionalismo e populismo contamina le coscienze. Ciò che conta per molti, alla prova dei fatti, è l’affermazione del proprio “io” sugli altri contro ogni forma di alterità. Una classe dirigente adeguata non si mette a gridare al lupo, non lancia strali giornalieri contro chi cavalca il malcontento e la paura ma si erge sui demagoghi in forza delle superiori capacità di verità, sapienza e chiarezza di idee. Il problema è dei molti che sanno ma non parlano, non si compromettono, per viltà intellettuale o per conservare nicchie di privilegio in questo teatrino pirandelliano,frutto di maestà senza titoli, di chi non fa altro che ripetere che stiamo lavorando per cambiare il Paese. Non possiamo permettere che il dramma sia lasciato tra le mani di chi lo usa per alimentare paura e odio. Siamo di fronte a una tragedia epocale che deve scuoterci ed imporci risposte responsabili, non ambigue o cieche, destinate a provocare altri orrori. È preferibile una politica incidentata ma che sta sulla strada accanto agli uomini piuttosto che si ammali di autoreferenzialita’ nel chiuso dei sacri palazzi. In un paese con famiglie allo stremo, corruzione alle stelle, un tasso di natalità così basso da mettere in pericolo il futuro dell’Italia, i giovani senza lavoro che emigrano all’estero per realizzare i propri sogni, si fa fatica a distinguere il grano dalla pula nei palazzi del potere.  Gli italiani hanno preso atto della inadeguatezza di tutto l’arco costituzionale politico che ha la responsabilità del Paese che, ancor prima che morale e etica, è intellettuale. Di fronte ai gravi problemi sociali e culturali questa classe dirigente è incapace e irresponsabile. Qualsiasi cittadino non sorride nel sentire che la situazione è esplosa, che il nostro territorio è in pericolo, che la tassazione fiscale è straordinariamente alta, che dei professori di scuola invece di insegnare saranno impiegati in altro, che le Province non ci sono più, ma a volte si. Qualsiasi cittadino non sorride di fronte ai morti di corona virus oggi, come non sorride di fronte ai morti annegati nel mare che fu nostro ma che oggi non si sa di chi è, come non sorride ai morti sotto il sole dei campi agricoli in a Puglia, Campania e Calabria, non sorride ai suicidi di imprenditori che tracollano insieme con le loro imprese. Qualsiasi cittadino non comprende la via indicata dalla sua classe dirigente, che ondeggia tra la richiesta di sacrifici senza destino evidente e sbalzi di umore ottimistico per ogni dato statistico sfornato dalle centinaia di agenzie. Che sembra incerta e fumosa negli obiettivi che sono coperti da semplici e insensate parole d’ordine. Che sembra puerile negli scatti d’umore di fronte a eventi imprevisti. Come  le critiche di quei pochi che annunciano che “il re è nudo”. Le persone hanno paura. Sentono di camminare sulle sabbie mobili e riversano la propria rabbia su chi viene indicato come una minaccia prossima. Occorre un discernimento profondo, una spiritualità più intensa, un sapere più alto, una capacità di riflettere più vigoroso, una intelligenza più morale che ponga un freno al selvaggio e prorompente interesse di parte. Occorrono i “formatori” di un tempo, ossia gente colta, non schiava del pensiero. Mai servirsi delle associazioni, raccomandazioni, carriere,ma servirle contro la dittatura del pensiero unico. Siamo chiamati a cogliere cosa possiamo fare oggi in una politica immiserita dal litigare perfino sui poveri pur di un consenso labile. Meglio un ministro competente e dalla lunga visione nazionale che l’attuale sfacelo di svantaggi culturali o, se preferite, analfabeti di andata e ritorno, immemori della propria storia nazionale e di sé stessi. ” Quell’alma la su’ c’ha maggior pena, disse l’ maestro, è Giuda Scariotto, che l’ capo ha dentro e fuor le gambe mena” (Dante, inferno) L’obbedienza a Chiesa e a  Impero nell’ambito delle rispettive giurisdizioni è alla base del sistema politico morale di Dante. Sicché ben si comprende come a coloro che direttamente si sottrassero a essa il Poeta riserbi il luogo più basso dell’inferno, cioè consideri massimo il loro peccato. Essi non sono traditori solo di uomini, ma di basilari doveri umani.

Antimo Puca

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