La storia che vede protagonisti Renata e Raffaele è simile a tante altre: una relazione turbolenta, consumata tra droga e alcol, sempre sul filo dell’illegalità. Solo che questa non è nata, e tristemente finita, nel degrado di una periferia metropolitana violenta e inumana, ma in un ambiente completamente diverso: Fontana. Un paese a vocazione agricola, con la chiesa in piazza e il monte Epomeo alle spalle.
Renata, nata in Polonia, risiedeva da tempo sull’isola di Ischia dove era nota per la sua vita di eccessi.
Era stata spesso fermata dalle forze dell’ordine in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.
La donna faceva uso di droga, alcol e farmaci, un terribile mix dal forte effetto psicotropo.
Renata era anche stata una madre. Aveva avuto una figlia toltale dagli assistenti sociali e affidata alla sorella che non vive sull’isola.
L’uomo oggi accusato di averla uccisa, Raffaele, ha trascorsi di tossicodipendenza ed è reduce da una condanna scontata agli arresti domiciliari.
Gli inquirenti ipotizzano che dopo aver consumato sostanze stupefacenti i due hanno litigato, e siano velocemente passati dalle parole alla violenza fisica. Probabilmente non sarà stata la prima volta, putroppo per Renata è stata l’ultima. Si chiude così nel dramma la storia di due vite borderline. E ora ci si interroga: si poteva fare qualcosa per evitarlo?