Milano, 30 ago. (Adnkronos) – Bar e ristoranti creano e danno lavoro, ‘accendono’ le città favorendo socialità, aggregazione e voglia di stare insieme e rappresentano spesso una leva per la riqualificazione e il decoro di intere aree urbane; non ultimo, costituiscono un importante presidio di sicurezza. Per questo è urgente e necessario sostenere queste imprese perché anche da loro dipende la tenuta del Paese. Lino Stoppani, presidente della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi di Confcommercio) e di Epam, l’omologa associazione provinciale in Confcommercio Milano, è un fiume in piena. In una chiacchierata con l’Adnkronos, parla delle difficoltà che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di decine di migliaia di imprese, dopo due anni di pandemia e lancia la sua ricetta per migliorare le prospettive del settore che, con la guerra in Ucraina ancora in atto e la caduta del governo Draghi, per ora restano un’incognita.
“Il settore dei pubblici esercizi -spiega Stoppani- è quello che, insieme al comparto alberghiero, più di tutti è uscito dalla pandemia come il settore più danneggiato. Le imprese hanno accumulato debiti per sostenere la fase emergenziale dal momento che in quel periodo sono stati bloccati i ricavi, ma non i costi, soprattutto quelli fissi collegati alle locazioni, alle utenze, agli aspetti assicurativi e al personale. Crisi di questa eccezionalità rischiano di minare ulteriormente il tessuto economico ed imprenditoriale del nostro territorio, creando grosse preoccupazioni per il futuro, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero”.
Del resto, osserva, “dietro questo pesantissimo peggioramento ci sono speculazioni e interessi di geopolitica e meccanismi di calcolo dell’energia profondamente sbagliati sui quali bisognerebbe intervenire”. Nel frattempo, “resta il fatto che il costo dell’energia che si pensava potesse fermarsi a 24 miliardi, e comunque rappresentava già più del doppio rispetto al 2021, è stimata in 33 miliardi, che vuol dire tre volte il costo del 2021 e più del doppio del costo del 2019”. In queste condizioni “i rischi sono sostanzialmente due: il fallimento e la chiusura delle imprese”. E questa situazione produrrà “effetti spaventosi sui conti economici delle nostre imprese che hanno già una bassa marginalità; se dovremo aggiungere costi di queste dimensioni, è evidente che la quadratura dei conti sarà impossibile”. A livello generale “stiamo parlando di 120mila imprese, delle quali 17mila pubblici esercizi, che sono nelle condizioni di non sostenere la pesantezza di questi aumenti. E dietro questi numeri c’è anche il rischio di perdere 370mila lavoratori complessivamente, con tutti i problemi che ne deriverebbero, incluso quello della dispersione delle competenze”.
Per Stoppani, si tratta di una situazione davvero “molto pesante” per via della quale “stiamo chiedendo essenzialmente tre cose: rafforzamento, potenziamento e maggiore inclusione degli interventi a brevissimo e a medio termine”. I primi, utili per sostenere l’emergenza: “servono interventi sul decreto aiuti, emanando il decreto energia sul quale abbiamo ascoltato la condivisione di esponenti qualificati della politica italiana”. Tra gli interventi a medio termine, invece, “servirebbe una ‘vera’ politica sulle energie rinnovabili, oltre che la revisione del meccanismo di determinazione del prezzo europeo, che evidentemente sconta un difetto di base, agganciando il prezzo dell’energia a quello del gas anche se l’energia viene prodotta anche con metodi alternativi”. E poi “c’è bisogno di approntare a breve un ‘recovery fund’ energetico a livello europeo e nazionale, includendo inoltre una riflessione sul ritorno all’energia nucleare di ultima generazione”.
In aggiunta a tutto questo c’è, da parte degli stessi imprenditori, un forte impegno per cercare di diffondere una cultura di buone pratiche: “Abbiamo ideato un decalogo con i quali invitiamo i nostri imprenditori a mettere in atto sin da subito una serie di buoni comportamenti, come ad esempio abbassare le luci quando non servono, tenerle spente nei locali di supporto come magazzini e spogliatoi, gestire più razionalmente gli utensili da lavoro, ad esempio non mettendo in moto le lavastoviglie se non sono a pieno carico e rispettare le indicazioni sui limiti delle temperature da mantenere all’interno dei locali”. Del resto, “dobbiamo pensare che diminuire di un solo grado la temperatura significa risparmiare il 10 per cento dell’energia”. Ma non si parli di chiusura anticipata: “Le attività di pubblico esercizio -sottolinea Stoppani- sono attività di servizio, oltre che di valore economico. Per cui quando chiudi un negozio viene meno un presidio di sicurezza e in certe situazioni rischia di essere oltremodo controproducente”.
Per trovare una soluzione “ci vorrebbero poi delle politiche attive per rinnovare e riqualificare nuove e vecchie professioni, abbandonando quegli interventi che offrono soltanto sussidi. Bisognerebbe fare un giusto orientamento al lavoro, partendo dalle scuole e dando dei messaggi corretti sui percorsi scolastici e formativi che possano poi dare prospettive professionali”. Perché “in Italia esiste anche un problema culturale su certi lavori che vengono considerati negativamente, senza pensare al forte insegnamento che certi lavori, soprattutto quelli più ‘umili’, riescono a trasferire nell’aspetto educativo e formativo dei giovani. Per non parlare dei tassi di disoccupazione attuali”. Non dovrebbero essere tralasciata neanche le politiche di welfare, “per dare la possibilità a chi ha dei figli di poter conciliare agevolmente i tempi del lavoro con quelli dedicati alla famiglia”. Infine, “dato che le politiche della famiglia purtroppo non possono dare risultati a breve termine, sarebbe utile anche valutare in modo diverso le politiche dell’immigrazione”. Perché “senza voler fare polemiche di carattere politico, se gli italiani non vogliono fare più certi mestieri, è un peccato non poter impiegare gli immigrati”. In fondo “il pubblico esercizio, in Italia, rappresenta anche un grande fattore di forte integrazione sociale”.
In vista del prossimo governo, in ogni caso, Stoppani è positivo: “L’imprenditore è per definizione obbligato ad essere ottimista -ironizza-. Ma sarà indispensabile accompagnare la crescita del Paese. E non soltanto perché se c’è crescita c’è ricchezza da distribuire, ma perché si potranno pagare di più i lavoratori, che oggi spesso hanno i contratti nazionali scaduti da anni, e si potranno fare investimenti”. L’Italia, conclude, è “un Paese con un debito pubblico di portata imponente e potrà permettersi di trovare le risorse per investire sulla crescita soltanto se cresce. Noi, quindi, ci auguriamo che le tante iniziative di cui sentiamo parlare sul fronte politico europeo e italiano diano qualche risultato. Siamo pronti a dare una mano. Ne va del nostro futuro”.