“LE INCHIESTE SULL’ ISOLA D’ISCHIA CONTRADDISTINTE DA UN DELIRIO D’ONNIPOTENZA”

C’è un fattore comune a molte delle inchieste che negli ultimi tempi hanno riguardato l’isola di Ischia: gli inquirenti lo definiscono come una sorta di «delirio di onnipotenza», una spavalderia dettata dal vivere l’isola come cosa propria e dal sentirsi impuniti, la sfrontatezza e la sicurezza con cui ci si muove sul terreno delle irregolarità, delle violazioni delle norme, degli abusi, dei raggiri. Seguendo questo ragionamento sembra non essere soltanto un caso il fatto che sull’isola si commettano soprattutto reati contro la pubblica amministrazione e violazioni in materia di tutela ambientale e paesaggistica. E così Ischia, la più grande delle isole del golfo di Napoli e anche tra le più apprezzate mete turistiche, quella che ha fatto innamorare la Merkel e conquistato, in quest’estate, un’ampia pagina del New York Times, finisce per diventare l’isola degli scandali, delle inchieste, delle bufere giudiziarie.

Dagli abusi edilizi ai lavori per la metanizzazione, dagli sversamenti illeciti in mare al bracconaggio, fino alle corruzioni con finte consulenze o con le classiche bustarelle con i soldi delle tangenti. L’ultimo caso ha scatenato una bufera su Barano: cinque misure cautelari, nel mirino la gestione di fiere e mercati e su alcune pratiche di condono edilizio, sotto indagine il sindaco, l’ex comandante della polizia municipale, una consigliera regionale di Fi e avvocato civilista, un magistrato della Corte d’appello. Per gli inquirenti che stanno indagando potrebbe trattarsi solo «della punta di un icerberg».

«Picchio pm e carabinieri». Èla reazione del tenente Stanziola quando l’11 dicembre del 2013 contatta il comandante della polizia municipale ipotizzando di essere lui l’oggetto della verifica in corso, sospettando di essere stato denunciato da un ex investigatore privato con cui aveva avuto a che fare per questioni legate a un appartamento. Gli investigatori intercettano il suo sfogo: «Io vado in Procura, picchio il pm che ha aperto l’indagine, picchio i carabinieri di Barano che su una denuncia strumentale di uno che io ho buttato fuori di casa». «Perché se è così – continua – vado dal capitano dei carabinieri e gli dico “volete capire la denuncia di questo è strumentale o no? O devo iniziare a denunciare pure voi”» sbotta. Lo sfogo nasce dalla notizia di una ispezione al mercato che era stata motivata come un controllo di routine in vista del periodo natalizio. Per questo la reazione dell’indagato «appariva da subito spropositata» scrive il gip riassumendo il contenuto delle intercettazioni. Ed è stato uno dei motivi per cui le indagini sono andate oltre, alzando il velo sulle tangenti imposte agli ambulanti del mercato del venerdì a Barano e su un episodio di falso legato a un tentativo di concussione finalizzato a fare in modo che l’hotel Casa Bianca fosse venduto a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di mercato (800mila euro il valore, tra i 600 e i 400mila euro la somma ribassata) dietro la minaccia implicita dell’abbattimento disposto da un ordine di demolizione.

Buoni pasto e marcatempo. È uno dei paragrafi dell’ultima inchiesta che ha spinto i pm della Procura di Napoli ad allungare lo sguardo sull’isola verde. Il riferimento è alla presunta truffa che si ritiene commessa in danno del Comune di Barano. Tutto ruota attorno a conversazioni del tenente della Municipale spiate dagli investigatori tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014 e una serie di accertamenti per verificare dove si trovasse l’indagato a una determinata ora di un determinato giorno e resi possibili sfruttando il localizzatore e altri strumenti di indagine. Truffa, il reato ipotizzato. Quella dei buoni pasto che l’indagato avrebbe percepito nei sabato mattina e durante i rientri settimanali del martedì e del giovedì facendo risultare che fosse in servizio anche in orari in cui dalle intercettazioni è emerso che si trovasse altrove e ciò grazie alla complicità di terze persone, in alcuni casi identificate e in altri rimaste ignote, che documentavano la sua presenza con il badge elettronico o digitando il codice segreto sull’apparecchio marcatempo. Frasi come «Vuoi farmi uscire? i numeri li sai?» oppure «Tu dicesti fallo più presto e io ho fatto alle otto che venivi…» farebbero riferimento, secondo la chiave di lettura degli inquirenti, alle circostanze in cui qualcuno registrava gli orari di ingresso e di uscita sul luogo di lavoro per conto del tenente che in quanto responsabile di settori organizzativi aveva l’obbligo di rispettare precisi orari di servizio e marcare il cartellino…

da il mattino.it

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