RIINA FU IL MANDANTE DELLA STRAGE RAPIDO 904 NELLA QUALE MORI FEDERICA TAGLIALATELA. CHIESTO L’ERGASTOLO

‘Fu il mandante della strage nella quale morì Federica taglialatela
lapide-federica-taglialatelafederica-taglialatelaLa procura generale di Firenze ha chiesto l’ergastolo per Toto’ Riina come mandate della strage del Rapido 904 del 23 dicembre 1984 che causò 16 morti e oltre 260 feriti sul treno Napoli-Milano, affollato in quei giorni di Natale.
Tra le vittime di quella strage ci fu anche Federica taglialatela, la ragazzina ischitana in viaggio con la sua famiglia; anche il padre di Federica morì in seguito alle ferite riportate in quella tragica circostanza.
La richiesta stamani al processo davanti alla corte d’assise d’appello, presidente Salvatore Giardina, dopo che Riina era stato assolto in primo grado dall’accusa di essere il mandante e di aver concorso alla ‘strage di Natale’. Riina non è in aula ma segue il processo in videoconferenza dal carcere dove si trova anche il suo difensore Luca Cianferoni, il quale ha segnalato ai giudici l’esigenza di non proseguire l’udienza per l’intera giornata a causa delle precarie condizioni di salute del suo assistito.

Nella requisitoria il pg Vilfredo Marziani ha messo in evidenza la contradditorietà della sentenza di primo grado, emessa nel 2015, in particolare sottolineando l’incoerenza della descrizione di un quadro omertoso e mafioso in cui maturò la strage, rispetto all’assoluzione poi decisa per Riina. Il pm della procura di Firenze Angela Pietroiusti ha invece richiamato una serie di fatti, tra cui la circostanza che l’esplosivo usato per la strage, il Semtex 4, risultò dalle indagini uguale a quello nella disponibilità degli uomini più fidati di Riina. Lo stesso pm Pietroiusti ha riferito l’attentato del 904 alla stagione stragista mafiosa che iniziava in quel periodo e che fu la reazione contro lo Stato ai colpi inflitti alla mafia a metà anni Ottanta a partire dalle rivelazioni di Tommaso Buscetta. Altra circostanza evidenziata dal pm i rapporti con Pippo Calo’, il ‘cassiere’ di cosa nostra, di Toto’ Riina. Già in quegli anni, secondo l’accusa, Riina si era assicurato un controllo ferreo della mafia siciliana, per cui ogni iniziativa che avesse coinvolto qualcuno dei suoi ‘soldati’ a lui non sarebbe potuta sfuggire, sotto pena della morte. La decisione della corte d’assise d’appello non è prevista oggi ed il processo proseguirà il 7 ed il 15 giugno.

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