Svegliamoci

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Le riflessioni svolte nei miei ultimi interventi sulla vicenda del Tribunale e sulla grave crisi economica che ha investito l’isola, hanno destato parecchi interrogativi e, in tanti, mi hanno manifestato la condivisione su quanto scritto. Poco. La condivisione è bella quando è seguita dai fatti. Non l’ho mai cercata ne per i miei trascorsi politici ne per risultati professionali che mai ho sbandierato dalle pagine del quotidiano, col quale collaboro da decenni, convinto da sempre che le vicende professionali sono dei clienti e come tali devono vivere e morire nel segreto dello studio e non riempire paginate allo scopo di propagandare il professionista. La condivisione su quanto scrivo, spero sensibilizzi e stimoli le tante organizzazioni associative esistenti sull’isola e che gli argomenti affrontati diventino “circostanze informate” e la gente, il popolo, possa poi dire di sapere. Sapere dove si trova, perché vi si trova e cosa potrebbe fare per uscirne. L’unica novità, nel grigiore e nelle ipocondriache menti ischitane, è stata la decisione del “nuovo” vescovo di portare in ritiro spirituale, lontano dall’isola, i preti che qui esercitano il loro magistero. Era ora. In un passato non molto remoto scrissi, con molta ironia, che un novello “Baldassarre Cossa” agitava i sonni della chiesa ischitana. Nessuno se ne ebbe, salvo qualcuno a ringraziarmi per il buon umore che gli avevo determinato, avendo messo a fuoco i protagonisti. Oggi potremmo dire che sono aumentati e ripetere l’ironia non servirebbe.

Benissimo ha fatto il “vescovo venuto da Caserta” a decidere per il ritiro, mettendo insieme anime molto diverse che dovrebbero essere i ministri di Dio tra gli uomini ove,ahimè, sembra si fatica sempre più, a trovare il primo e peggio ancora i secondi. Con la conseguenza che il sostantivo “ministro” resta legato, anche in riferimento ai preti, alle interpretazioni che in questo momento storico non sono certamente positive nella considerazione popolare. Ahimè. La storia ci insegna che quando i valori fondanti i paradigmi della civiltà (intendo occidentale) si riducono a “ciò che appare” non ci si deve poi scandalizzare di fenomeni, come la vicenda delle baby squillo o altri simili che stravolgono il comune sentire,solo a chi ferma la sua attenzione all’informazione televisiva. La società italiana, nella sua complessa e variegata aggregazione, vive oggi, purtroppo, l’assenza di quel filtro, di quella stanza di compensazione e di elaborazione delle idee che un tempo è statala Chiesa. DopoPaolo VI (grande da vescovo e da papa) che allevò da prete, la classe dirigente dell’Italia del futuro boom economico, la chiesa non ha più avuto una figura di indirizzo così lungimirante e pragmatica. Tutti si sono sbracciati nell’applauso del papa venuto dall’est. Un grande comunicatore che ha messo in movimento il mondo e che ha accellerato la deflagrazione del sistema comunista. Forse troppe cose insieme in un arco temporale che, nell’era di internet e della digitalizzazione, è risultato troppo breve visti gli esiti che viviamo, soprattutto in Italia, dove il sistema “società” è stato colto impreparato. L’aver aderito frettolosamente a certe “circonvenzioni” europee, è stato, per il nostro paese, non solo inutile ma dannoso. Eppure c’era stato qualcuno, negli anni 1976/78 definibili come lo starter della rovina dell’Italia (middas,brigate rosse, morte di Moro e di Paolo VI) che aveva lanciato l’allarme intravedendo, prima degli altri, il traguardo. Un grande prete italiano, forse poco amato nel luogo in cui prestava la sua opera ove era accusato di simpatie restauratrici, il cardinale Giovanni Benelli aveva visto la confusione che andava crescendo nella società Italiana ove, a seguito del non controllato accesso migratorio ed i conseguenti matrimoni tra soggetti di diverse religioni, il sistema stato/famiglia sul quale erano imperniate le regole del vivere civile, sarebbe stato infranto. Così è stato. Duro fu lo scontro col genovese Siri che,evolutosi in una realtà sociale dal cuore progressista, osteggiò senza mezzi termini le posizioni di Benelli. Per tal motivo, alla morte di Paolo VI, vi fu la svolta verso il papà del compromesso al quale, stando alle cronache, l’eccessivo peso della curia , giocò un brutto scherzo ed un infarto lo fulminò dopo solo 33 giorni di pontificato. Poi gli eventi successivi ai quali stava rimediando la finissima mente di papa Ratzinger che, accortosi che le forze gli venivano meno, ha rinunziato al soglio per poter meglio studiare e rimettere in carreggiata una chiesa che era già oltre la linea gialla. Di qui l’elezione dell’italo argentino Bergoglio di cui è dilagante la simpatia e che, guidando in proprio la sua autovettura, va spesso a trovare il suo predecessore che, sicuramente, più dello Spirito Santo lo potrà illuminare. E’ un momento di storia quello che si vive. Andando a ritroso nel tempo credo che solo ai tempi di Celestino V (quello che Dante colloca all’inferno in quanto, secondo il Poeta, “ per viltà fece il gran rifiuto”) e dell’ischitano Baldassarre Cossa (Giovanni XXIII – l’unico che perse anche il nome dopo essere stato deposto dal concilio di Costanza che lo classificò come antipapa), vi sono stati due papi in vita. Ma in questo così lungo, 1978/2013 la chiesa ha perso, almeno nella società italiana, quella funzione di ammortizzatore, di cuscinetto o di ingranaggio che aveva. Tante, troppe leggi sono state promulgate senza tener di conto l’ossatura portante della società italiana “la famiglia”. I preti defilandosi progressivamente dall’essere verso l’apparire, hanno assunto una posizione diametralmente opposta a quella di un tempo in cui amavano camminare “senza farsi vedere –strusciando le mura – mai alzando la voce per strada utilizzando solo il pulpito”. Oggi hanno il senso del palcoscenico, dello spettacolo, degli affari, dell’apparire senza più passare attraverso la cruna dell’ago di una robusta preparazione culturale, umanistica, filosofica, sociale che, un tempo, solo chi l’aveva maturata era chiamato in ruoli direttivi o dirigenziali. Chi non l’aveva acquisita restava un buon “prete di paese o di campagna” senza assurgere a dirigenziali come invece pur si è visto e in cui qualcuno ha giudicato più gravi le devianze sessuali di Berlusconi rispetto a quelle di Marrazzo. Con il corollario di non riuscire ad arginare le devianze che hanno fatto perdere alla chiesa prestigio, autorevolezza oltre che la storica funzione di riflessione e indirizzo nel fissare le regole della convivenza sociale. Chi, non ricorda lo scandalo dello Ior (la banca vaticana) o di recente, per stringere, di quel monsignore salernitano arrestato per importazioni di capitali o i crescenti scandali di pedofilia che hanno interessato da vicino anche noi. L’isola d’Ischia non è rimasta estranea. Tanti mormorii, tanti indizi non fanno e non faranno certamente una prova ma un capo spirituale serio, programmato e senza fronzoli, avverte per tempo l’insidia e tempestivamente riassume il da farsi. Sull’isola d’Ischia vi sono circa ottanta chiese e poco più di trenta preti di cui una decina ottuagenari. Che Dio ce li salvaguardi. Crisi di vocazioni? Senz’altro. Forse la crisi finanziaria l’ attenuerà. Qualcuno rilevava la necessità che venissero “preti da fuori” per riempire i vuoti. Sembra che nel recente ritiro spirituale padre Lagnese abbia espresso concetti molto semplici ed efficaci: chi ha fede va alla ricerca di Cristo, chi desidera sentir messa la va a cercare dove la si celebra e che il prete sia, quanto più possibile, del posto. Concetti semplici, efficaci e pragmatici. Un prete deve conoscere il linguaggio di coloro con cui si interfaccia, essere parte di essi incidendo con coerenza ed esempio concreto nella realtà in cui opera. La supponenza, il desiderio di apparire, sfarzi di rappresentatività o particolari inclinazioni personali che siano lasciati fuori della sagrestia. Ritengo che il passo, senza precedenti, fatto da Padre Lagnese, sia stato un magnifico esempio d’azione che mi convince,ancor di più che, per la nostra isola, la congiunzione nominale, invertita nell’importanza del nome per cui appare quasi astrale, di Francesco a Roma e di Pietro ad Ischia è il miglior auspicio per una rinascita dell’isola intera. Svegliamoci affinché ognuno faccia la sua parte.

(di V.Acunto)

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