Esigenze di sanità e sicurezza tendono a travolgere gli argini dei diritti individuali e a sacrificare ogni libertà per un Bene superiore. Così si stanno diffondendo forme di controllo sulla salute dei singoli e di trattamento dei dati fuori da ogni regola e, sempre al fine di limitare il contagio, si alzano voci che reclamano la pubblicazione dei nomi delle persone infette, degli “untori”. È evidente che una emergenza può condurre a una limitazione di diritti, ce ne rendiamo conto quotidianamente. In molti chiedono di rivelare la identità delle persone contagiate e diffondere informazioni che lo rendono riconoscibile. La risposta pare tendenzialmente essere negativa. Possono essere diffusi tutti i dati personali veri ed essenziali per comprendere una notizia di interesse pubblico anche senza il consenso dell’interessato. Una disposizione di dettaglio però vieta la divulgazione di dati analitici di interesse strettamente clinico salvo che la persona non rivesta una posizione di particolare rilevanza politica o sociale. Comunque qualsiasi eventuale diffusione deve rispettare la dignità della persona. È divulgabile il generico stato di malattia di una persona, nonché la sua presenza in ospedale qualora siano di interesse pubblico, ma non lo sono i particolari riguardo alle patologie contratte. Bisogna lasciarlo coperto dal riserbo. Si tratta di confrontare il bene della salute pubblica messa in pericolo da una epidemia, che sarebbe contenuta da informazioni precise sui contagi conclamati, ma anche su quelli possibili,con il diritto alla riservatezza delle persone malate. La identificabilità consentirebbe alla cerchia di chi è venuto in contatto con il contagiato di assumere adeguate precauzioni e condotte volte a proteggere sé e gli altri. Dall’altro, la mancata pubblicazione della identità precisa limita la curiosità morbosa e la discriminazione che rischiano di sfociare in condotte ghettizzanti e fenomeni di isteria collettiva. In un intreccio di interessi confliggenti mi sento come Nanni Moretti che in Aprile così malinconicamente parlava tra sé e sé :” comunque io, con questo documentario, io voglio dire quello che penso..E come si fa in un documentario? E soprattutto, cosa penso?”.
di Antimo Puca