OMELIA DEL VESCOVO LAGNESE PER LA SOLENNITÀ DI SAN GIOVAN GIUSEPPE DELLE CROCE

Ecco l’omelia di sua Eccellenza Don Pietro Lagnese, Vescovo di Ischia, in occasione della santa messa del 5 marzo per la solennità di San Giovan Giuseppe della Croce.

Carissimi, nella Solennità di San Giovan Giuseppe della Croce,
celebriamo la Divina Eucaristia. Lo facciamo certi di averne bisogno
sempre, oggi più che mai. Abbiamo bisogno di nutrirci di Cristo,
farmaco dell’immortalità e Pane di Vita eterna. Abbiamo bisogno di
fare esperienza di comunione con Lui e, a partire da Lui, tra noi.
Lo facciamo consapevoli che, soprattutto in un momento come
questo, c’è bisogno, innanzitutto, di pregare. Stamattina leggendo il
Vangelo del giorno, ascoltavo il Signore che diceva: “Chiedete e vi
sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché
chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli
chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete
cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre
vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!”
(Mt 7, 7-11)
Anche noi, come i discepoli di cui abbiamo ascoltato or ora nel
Vangelo, sentiamo di manifestare al Signore tutta la nostra
impotenza e la nostra piccolezza: “Chi può essere salvato?”,
bisognosi come siamo di sperimentare rivolte anche a noi le parole
di Gesù: "Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è
possibile a Dio".
Vogliamo pregare per tutti gli uomini e le donne della terra. In
ognuno di noi c’è tanta apprensione per sé e per i propri cari.
Cresce la paura; il panico e un senso di smarrimento si diffondono
causando danni forse maggiori di quelli dello stesso coronavirus.
Abbiamo bisogno di sapere che Dio è con noi e che noi non siamo
soli! E di fare di questa esperienza certamente non facile
un’occasione di conversione: è l’invito che rivolgeva il nostro santo
in una lettera a suo fratello Tommaso: “affinché – così scriveva –
dalle tribolazioni [tu] sappia cavarne il bene, al quale Dio mira nel
permetterlo”.
Abbiamo anche bisogno di capire che o ci salveremo insieme o
non ci salveremo. Forse – pensavo – da questa epidemia dovremmo
imparare una cosa: che i muri, le barricate, i fili spinati, le dogane,
non servono; il mondo è una grande famiglia dove se non

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condivideremo i beni, di qualunque tipo, saremo costretti a
condividere il male, di qualunque tipo. Il senso di precarietà che tutti
sperimentiamo in questi giorni può aiutarci a capire un po’ di più
quelli che soffrono: gli ammalati, i poveri, quanti fanno i conti con la
stupidità della guerra, i migranti, i profughi. Penso alla Siria, a ciò
che sta accadendo in questi giorni, tra il silenzio omertoso di tanti, ai
confini tra la Turchia e la Grecia.
Vogliamo pregare per tutti i malati; per quanti sono stati colpiti
dal coronavirus nel mondo, in Italia, in Campania. Il Signore dia loro
guarigione e consolazione. Possano scoprire che Dio è loro alleato,
che sta dalla loro parte e che essi non sono abbandonati; e fare
esperienza della potenza del Suo amore.
Vogliamo pregare per i medici e gli scienziati, perché possano
trovare al più presto il rimedio per sconfiggere il virus e il contagio.
Ma anche per tutti coloro che operano a vario titolo in ambito
sanitario: il Signore doni loro forza e coraggio per stare con amore e
con generosità accanto a chi soffre, senza risparmiarsi come stanno
facendo tanti operatori sanitari in queste ore, in Italia e non solo.
Vogliamo pregare per tutti coloro che hanno responsabilità
istituzionali e per gli uomini e le donne che nei vari ambiti, civili e
militari, operano a servizio del Paese; per coloro che in qualità di
primi cittadini, amministrano le nostre città e per tutti i leader politici:
il Signore doni loro la luce e la forza per decidere per ciò che è
meglio, per garantire al massimo l’incolumità di tutti agendo con
prudenza ma evitando allarmismi e panico. Soprattutto doni loro di
comprendere che di tutto c’è bisogno in questo momento fuorché di
divisioni, di polemiche pretestuose, di strumentalizzazioni, di discorsi
demagogici, e di cose di questo tipo.
Vogliamo pregare ancora per la nostra Isola, di cui San Giovan
Giuseppe è patrono, alle prese con problematiche antiche e nuove:
penso al terremoto, dalle cui macerie ancora stentiamo a
riemergere; alla sicurezza stradale che dev’essere meglio garantita –
troppi i morti per incidenti stradali sulla nostra Isola! – alla questione
dell’abusivismo, alla vocazione turistica che certamente ha bisogno
di essere ricompresa con la collaborazione di tanti, alla questione
ambientale, alla problematica di un lavoro che sia per tutti, dignitoso,
equo, sicuro; al senso diffuso di illegalità e corruzione, di cui in
passato ho già detto, da cui non è esenta la nostra Isola,

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all’aumento di una violenza non solo verbale alla quale stiamo
assistendo negli ultimi anni; all’aumento del senso di disagio e di
vuoto di idealità e di valori che percepiamo soprattutto nel mondo
giovanile.
Di fronte all’epidemia che sta investendo, seppure in forme
diverse, a incominciare dalla Cina, tutto il pianeta, l’Italia intera, e
che, da qualche ora, sta interessando anche la nostra Isola,
avvertiamo il senso del nostro limite e la consapevolezza che non
tutto è possibile programmare, preventivare, gestire e che, al
contrario, ci sono cose più grandi di noi con le quali dobbiamo fare i
conti e dinanzi alle quali siamo chiamati a mettere da parte ogni
delirio di onnipotenza e di autosufficienza.
Siamo deboli, fragili, mortali. “Nel corso dei secoli e dei millenni
siamo di passaggio, davanti all’immensità delle galassie e dello
spazio siamo minuscoli. Siamo polvere nell’universo… Siamo
polvere, terra, argilla”: ce lo diceva, proprio nel giorno delle Ceneri,
Papa Francesco. Ricordarcelo quanto ci bene fa! Ma il Papa
aggiungeva che sì, è vero, siamo polvere, creature, ma creature
amate da Dio. Diceva: “siamo polvere amata da Dio. Il Signore ha
amato raccogliere la nostra polvere tra le mani e soffiarvi il suo alito
di vita (cfr Gen 2,7). Siamo polvere preziosa, destinata a vivere per
sempre. Siamo la terra su cui Dio ha riversato il suo cielo, la polvere
che contiene i suoi sogni. Siamo la speranza di Dio, il suo tesoro, la
sua gloria”.
Ciò è quanto ci dice la nostra fede. E la preghiera ci aiuta a
ricordarlo; anzi, ci dà grazia di sperimentarlo. Ogni volta di nuovo.
Ogni volta che ci mettiamo con fiducia davanti a Dio noi
sperimentiamo la certezza di essere amati da Lui; che non siamo
soli, e che di Lui possiamo fidarci.
È ciò che sperimentò San Giovan Giuseppe della Croce! Egli
fece la scoperta dell’amore di Dio. E sentì che quell’amore, fattosi
carne nel Cristo Gesù, suo Signore, era anche per lui. Sì, Cristo, per
amore nostro e di ognuno di noi, era morto sulla croce. Ed era
morto anche per lui. Fu la grande scoperta della sua esistenza! La
scoperta che gli cambiò la vita e che lo fece decidere per Cristo.
Deus meus et omnia. Dio mio e mio tutto. Sì, davvero sentì di
aver trovato tutto. In Gesù aveva scoperto la vera ricchezza. Per
questo, come per l’Apostolo Paolo, anche per lui, ciò che erano

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guadagni, li considerò una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritenne
tutto una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo
Gesù, suo Signore. Per lui lasciò perdere ogni cosa e la considerò
spazzatura, pur di guadagnare Cristo (cfr. Fil 3, 7-9).
Così, a differenza dell’uomo ricco del Vangelo, non esitò a
mettersi alla sequela di Gesù. Anch’egli, come il giovane ricco, si
sentì chiamato alla sequela del Signore: “Quand'ero ancora
giovane, prima di andare errando, ricercai assiduamente la sapienza
nella mia preghiera. […] fin da giovane ho seguìto la sua traccia. (Sir
51, 13.15)
A differenza di quell’uomo, però il nostro santo non ebbe dubbi:
sulle orme di Francesco d’Assisi e di Pietro d’Alcantara, seppe
scegliere: decise di vivere in maniera radicale il Vangelo; e proprio
nel Vangelo trovò il segreto della vera ricchezza e la chiave per
rimanere giovane per tutta la vita.
“Sei tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia, Signore,
fin dalla mia giovinezza. […] Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai
istruito e oggi ancora proclamo le tue meraviglie”: chissà quante
volte il nostro santo pregando con le parole di questo Salmo
(71,5.17) avrà pensato a Ischia e si sarà ricordato di quando qui
sentì rivolte anche a lui le parole di Gesù oggi ascoltate nel Vangelo:
“Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e
avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (10, 21). A quelle parole
egli non si fece scuro in volto, né se ne andò rattristato; nonostante
forse come il tale del pagina evangelica di oggi possedesse molti
beni. Al contrario, si fidò del Signore! E quell’atto di fiducia nella
Parola del Signore gli salvò la vita. Mai si pentì di aver speso la
propria esistenza per il Signore! Al contrario con il salmista poté con
sincerità di cuore proclamare: “Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore,
anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici.   Egli perdona tutte le
tue colpe, guarisce tutte le tue infermità,   salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia,   sazia di beni la tua vecchiaia, si
rinnova come aquila la tua giovinezza” (103, 1-5).
Sì, come aquila si rinnova la giovinezza quando si segue il
Signore. Quando si apre il cuore a Lui, allora è possibile
sperimentare che Lui non ci toglie nulla ma, anzi, ci sazia di beni e
rafforza e rinnova la nostra giovinezza.

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Carissimi, che cosa ci dice oggi San Giovan Giusepe della
Croce? Ciò che ci dicono tutti i santi. E "Che cosa ci dicono i santi,
oggi? Ci dicono 'fidatevi del Signore perché Lui non delude', è un
nostro amico e non delude mai. Con la loro testimonianza, ci
incoraggiano a non avere paura ed andare controcorrente o di
essere incompresi e derisi quando parliamo di Gesù e del Vangelo.
Ci dimostrano con la loro vita che chi rimane fedele a Dio e alla sua
Parola sperimenta già su questa Terra il conforto del suo amore e il
centuplo nell'eternità". (Così Papa Francesco, 1 novembre 2013).
Carissimi, guardando a San Giovan Giuseppe scopriamo che
non possiamo vivere per inseguire la polvere che svanisce. Papa
Francesco sempre nell’Omelia delle Ceneri di quest’anno ci invitava
a porci una domanda: “Io, per che cosa vivo?”. Se vivo per le cose
del mondo che passano, torno alla polvere, rinnego quello che Dio
ha fatto in me. Se vivo solo per portare a casa un po’ di soldi e
divertirmi, per cercare un po’ di prestigio, fare un po’ di carriera, vivo
di polvere. Se giudico male la vita solo perché non sono tenuto in
sufficiente considerazione o non ricevo dagli altri quello che credo di
meritare, resto ancora a guardare la polvere. Non siamo al mondo
per questo. Valiamo molto di più, viviamo per molto di più: per
realizzare il sogno di Dio, per amare. […] I beni della terra che
possediamo non ci serviranno, sono polvere che svanisce, ma
l’amore che doniamo – in famiglia, al lavoro, nella Chiesa, nel
mondo – ci salverà, resterà per sempre. Così fu per San Giovan
Guseppe della Croce; così sia anche per noi. Con l’aiuto di Maria.
Amen.

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