L’ADDIO DI D’ABUNDO: PAROLE STONATE DI UN PRESIDENTE CHE FUGGE. DI DANIELE SERAPPO

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Nel calcio come nella vita non di rado è utile ascoltare, opportuno riflettere, corretto attendere, lecito quindi esprimere alcune considerazioni, soprattutto se viene spesso richiesto un parere in maniera trasversale, una battuta sulla carta stampata, una comparsata tv, una chiacchiera al bar con gli amici.

(nella foto mister Daniele Serappo)

Poco più di ventiquattro ore dalle dichiarazioni del Presidente D’Abundo possono non esser sufficienti ma magari appena bastevoli per non esprimere concetti di pancia perché nel mezzo, una comoda notte può portare valido consiglio.

Quanto proposto dal Presidente attraverso gli organi di stampa che ha inteso preferire per palesare il suo pensiero di fine corsa si presta ad una serie di riflessioni.

IL DITO E LA LUNA

La nostra identità spesso può circoscriversi alla piazza principale del paese, al maresciallo dei Carabinieri, al sindaco, al parroco, al Municipio (con o senza torre dell’orologio) e ai colori della squadra di calcio. Ovunque, il solo fatto che un paese non avesse il proprio campo di calcio lo rendeva storicamente monco, anche se magari per tradizione tutti giocavano a basket !

Il primo pensiero è quindi legato al fatto che un Presidente è prima di tutto auspicabilmente non solo legato al territorio ma almeno fortemente unito a quei colori e a quella tradizione sportiva (il tifo può altresì fare curriculum) e pertanto, nel caso di specie, è doveroso chiedersi se a suo tempo il Presidente D’Abundo ha abbracciato questa causa per legame di sangue o per altre ragioni.

Tutti infatti possiamo ad un certo punto pensare di fare un passo indietro ma, se abbiamo reale rispetto, riconoscenza, vincolo con quel territorio e con quel popolo che lo anima, sarebbe opportuno pensare di lasciare solo dopo aver trovato un interlocutore capace di continuare un determinato percorso di crescita e non, come dichiarato, rilasciare il titolo dove era stato preso, sostanzialmente a quella “riserva legale” di memoria storica, sentimentale e passionale de “gli eroi del Rispoli” perché questa gente merita di esser ricordata come il punto di partenza e non certo come il (fin troppo) comodo punto di sbarco dello stanco di turno.

Così è troppo facile: per il futuro prima di osservare la fine di una storia, si faccia memoria di come una storia comincia per capire se e come appunto potrebbe un giorno chiudersi.

All’Ischia Calcio abbiamo avuto tantissimi presidenti “comodi” da questo punto di vista, indipendentemente da chi abbia messo qualcosa in bacheca o meno, perché ciò conta (relativamente) poco ma, per fare qualche esempio, anche a grandi livelli, chi ha inteso cedere il passo lo ha fatto sempre dopo aver ritenuto di poterlo fare cercando di garantire un futuro adeguato (Moratti all’Inter, Berlusconi al Milan, i vari passaggi al Madrid). Tutti sentono la responsabilità dell’arrivare/subentrare e ancor più quella di lasciare, anche quando la vita lo impone.

Oggi è questo che fa male del saluto di D’Abundo all’Ischia ed è questo che sinceramente allontana dalle menti di tanti l’idea che possa arrivare l’ennesimo “estraneo” di turno a gonfiare un palloncino per le feste con i clown per poi sgonfiarlo in un battibaleno lasciando nella disperazione i bambini-tifosi accorsi per vivere assieme il momento. Ischia non ha mai chiesto illusioni, Ischia chiede ed ha bisogno di un progetto serio fatto da persone che amino e che siano disposte ad amare (e amare non è solo l’idillio del primo bacio ma anche litigare e ritrovarsi e farlo più volte) e a programmare con competenza, lungimiranza.

CAPIRE GLI ALTRI ED ESSER CAPITO DAGLI ALTRI

Nessuno ha il diritto di criticare l’uomo o l’imprenditore che si è prestato al calcio ma senza dubbio, se si accetta di fare calcio, ciò significa esporsi alla critica (chiunque voglia fare polemica è ipso iure bannato da ogni dialogo anche con il sottoscritto), competere, trovare quasi più piacere nel rialzarsi e vincere dopo una sconfitta piuttosto che vincere sistematicamente, si cerca il sale della vita nella declinazione sportiva e non l’acqua dolce in un contesto confortevole dove si è “one man show”.

A D’Abundo, per come si è posto nei confronti dell’ambiente del calcio ischitano si può eccepire questo: non si è capito se avesse voglia di far parte della tribù che lo ha accolto a braccia aperte o quanto da questo contatto della “sua” gente fosse infastidito e inibito. Pressoché mai si è seduto sugli spalti del “Mazzella”, ha scambiato una chiacchiera con il tifoso storico, ha condiviso la trepidante attesa con i giovani bardati di vessilli nell’immediata vigilia di un fischio di inizio di una partita e, paradossalmente, non sarei in grado di affermare quante volte abbia fatto irruzione negli spogliatoi per far sentire la sua fisica vicinanza a quelle maglie sudate.

La gente gli ha chiesto più volte ed in ogni modo un contatto ma la sua ritrosia ha alzato un muro inspiegabile e di difficile interpretazione.

L’ISCHIA E’ SOLIDA

Se non altro ad oggi la solidità societaria (Società, anche questa praticamente una “one man show!”) rende l’Ischia appetibile perché non ha buchi, incagli, magagne e – udite udite – non c’è nessuno che possa alzare un dito perché potrebbe non aver ricevuto un rimborso spese. Rarità, perla quasi unica, bisogna dargliene atto ! Che sia anche questa una particolarità del non esser parte del mondo del calcio da parte di D’Abundo ? La si potrebbe ironicamente vedere anche così ma piace pensare che è anche parte del suo carattere.

PASSIONE E COMPETENZA

Che passione e competenza non siano la stessa cosa e che non sempre vadano a braccetto è noto a tutti. Vale in ogni campo, mica solo nel calcio !

Ecco, quel che forse avrebbe potuto fare il Presidente D’Abundo è slegarsi da determinati profili che condividono con lui l’esperienza nelle sue imprese cercando effettivamente quei soggetti professionalmente validi ed idonei che realmente avrebbero potuto dargli una mano nella profilazione e messa in opera di un progetto che riguardasse il territorio utilizzando la forza evocativa del brand “Ischia Calcio”.

Senza andare troppo lontano, il De Laurentis del Napoli, quando ha iniziato il suo percorso  sportivo ha fatto delle scelte, ha commesso – a suo dire – degli errori, ha corretto il tiro, gli interpreti per poi avere adesso una squadra di lavoro nella SSC Napoli che non mi pare coincida con quella della produzione cinematografica. Non ha mai mollato e ha sempre rilanciato cercando e contornandosi di persone competenti, capaci e più brave di lui in determinati (specifici) ambiti professionali. Ad ognuno il suo: qualcuno del resto lo aveva capito presto (diciamo), come Maurizio Pinto – eroe della prima ora – che ha ammesso che la sua passione, il suo viscerale legame con l’Ischia non collimava con le sue competenze e le sue possibilità di essere di concreto aiuto in un certo contesto. Il passo indietro di Pinto va visto in maniera illuminante ed “educativa”, si deve rispettare ed è di devastante forza dimostrativa nei confronti di chi invece all’Ischia evidentemente ha fatto (dato ?) solo molto poco.

Competenza e conoscenza delle regole si rifanno anche alla dichiarazione del desiderio di un allenatore all’inglese, un Manager che però, oltremanica, segue l’Academy, il mercato e molto altro. Tutto ciò in Italia non è possibile perché lo impediscono le norme e, tanto per curiosità, qualcuno crede che a Bilardi, Monti o Iervolino sia mai stato richiesto un incarico in  questi termini ?

Chi può certificare la costante presenza del tecnico della prima squadra ad allenamenti e gare della squadra “B” ?

Inoltre, se questo era quel che si è cercato, che senso ha avuto avere un Direttore Generale (Taglialatela) e un Direttore Sportivo (Lubrano Lavadera). E come mai loro hanno accettato poi di restare se questo era l’intendimento ?

Peraltro il presidente ha specificato  il “suo” intendimento di allenatore-manager come di un tecnico che si sceglie lo staff, ma ciò è così un po’ ovunque e mettere di suo un “secondo”, un preparatore atletico o altro non è uno scandalo (peraltro quest’anno non c’erano Migliaccio e Taglialatela a curare i portieri ? Il secondo è uomo di Iervolino, ma il primo ?).

GLI SCIVOLONI

Poi ci sono i numeri. E i numeri non mentono, mai. Anche i fatti.

Oggi l’Ischia dei giovani e degli ischitani non ha un settore giovanile proprio a dispetto di una proclamata mission in tal senso: una scelta senza dubbio scellerata e decisa da chi evidentemente crede che un settore giovanile sia un costo e non un investimento (ma sarebbe come dire comprare una nave e metterla a mare, faccio l’investimento e poi cerco il pubblico per riempirla perché so che ci può essere mercato). Nonostante ciò si paga un responsabile del settore giovanile perché con lui si è preso un impegno (ma impegno era anche quello con la piazza di strutturarlo questo benedetto settore giovanile !) e giustamente si deve mantenere.

L’esperienza della Juniores di Dinolfo – complimenti, giusto che questi ragazzi continuino questo personale sogno sportivo – è e resta isolata in quanto ricordo a me stesso che questa categoria non è per nulla settore giovanile tanto più che sono tanti i giovani di classe ’02 e ’03 che si allenano con la prima squadra e che poi sono andati a giocare con la Juniores (e non il contrario).

Quanti giovani che l’estate scorsa era stato promesso avrebbero giocato in prima squadra lo hanno fatto ? E dico “giocato”, non fatto presenze o esordi di pochi minuti perché questo a mio modo di vedere è solo vendere fumo, non attingere al vivaio.

Anche “l’Ischia dei giovani” non torna poi tanto: al di là dei valori (non affronto qui temi tecnici e tattici), via un portiere di 20 anni per uno di 30; via un Monti in difesa per una coppia di centrali non di primo pelo (ma non poteva restare con un ruolo alla “Ranocchia” ?), via Ciro Saurino (ma chissà se sarebbe stato comunque riconfermato) e a centrocampo ha sempre giocato almeno un under per necessità regolamentare e poi sempre over come over è anche Sogliuzzo, Castagna, Trani (che forse ha fatto meno minuti degli scorsi anni) e così via. Farei proprio attenzione a parlare di squadra “giovane”.

Ma stupisce anche la scelta del tecnico Iervolino, non tanto per la scelta in sé quanto perché il Presidente ha dichiarato di averlo preferito dopo aver visto giocare bene il Lacco Ameno: non ha avuto mai il tempo di vedere la sua Ischia e abbiamo invece scoperto che andava a vedere il Lacco Ameno, ma non è almeno strano ?

L’EQUIVOCO “MAZZELLA”

La dichiarata atavica mancanza di strutture sportive non può essere la causa di oggi per la mancata realizzazione del settore giovanile perché le condizioni erano tali anche all’inizio della storia. Le Academy si possono strutturare anche su campi di calcio a 5, in altri territori e in orari in cui le strutture non sono utilizzate ma soprattutto si deve cercare il dialogo con l’amministrazione per passare ad un “Mazzella” con erba sintetica perché ad oggi è anacronistico (e antieconomico) pensare di voler continuare a percorrere una strada (appunto) onerosa e limitante quale quella dell’erba naturale soprattutto se si pensa che oramai tutte le gare in trasferta la squadra le disputa comunque su manti artificiali che hanno delle peculiarità tali da costringere ad allenamenti specifici per abituare i calciatori a correre, saltare, calciare, affrontare la sfera dopo i rimbalzi e – mai banale – prevenire gli infortuni. E quando hai il tuo campo, il tuo fortino, hai casa e quei colori li senti ancora di più sulla pelle.

Ecco, alla fine è anche per questo che resta un grande rammarico.