La dimensione sociale vive solo nella quotidianità, che è tanta e bella, ma se ne sono ormai perse le parole. È la sola politica che può avere un senso, quella dell’etica e della dignità. C’è una censura, un distacco, una impermeabilità fra politica e società. Dovrebbe essere la prima il faro, la guida della seconda. Forse un tempo era così. Anzi, è la politica ad essersi formata per la gestione sociale ed era quindi lo strumento per massimizzare il benessere sociale sulla base delle esigenze della società stessa. In teoria dovrebbe esserlo ancora. Ma in realtà la politica ha da tempo abdicato a questo ruolo e non tutti se ne sono accorti, anche perché, andando a votare, ci si illude di esercitare una certa influenza su quelle che sono le politiche, specificatamente o indirettamente sociali.

(Antimo Puca)
In realtà, noi scegliamo – quando è possibile e nel migliore dei casi – i politici, e non le politiche, che sono già ben determinate o comunque condizionate da altri vertici che poco o nulla hanno a che fare con la democrazia. I politici eletti poi si dividono fra quelli che più o meno volentieri si adeguano (azzardo: la maggior parte) o tentano fra mille frustrazioni di ottenere qualche buon risultato (e spesso ce la fanno). Siamo schiacciati sotto il peso di una schiavitù mascherata da una lunga attesa di diritti che non arrivano mai. l’umanità, la giustizia sociale, la legalità, la democrazia, la cultura, insomma sono tutti i valori espressi dalla nostra Costituzione, che tutelano le persone. E proprio sui diritti, due parole sono necessarie. I diritti non sono più in agenda. Non se ne parla nei documenti politici, negli interventi pubblici. Sono dimenticati, ignorati, disconosciuti. Secondo Richard Titmuss, scienziato sociale inglese, si può parlare di welfare state quando “non solo la maggior parte dei lavoratori, ma dei cittadini, se non tutti, gode di diritti sociali. Per essere pienamente cittadini, non basta avere i diritti civili, che sono i primi arrivati, e neppure i diritti politici; bisogna avere i diritti sociali perché sono quelli che abilitano a esercitare anche gli altri. I diritti sociali non solo sono qualcosa in più, ma sono abilitanti gli altri diritti”. Ci scontriamo contro il muro di gomma di un apparato amministrativo, politico e istituzionale cieco e sordo, che non prende mai coscienza e conoscenza per trasformarla in un impegno, un programma, un intervento di sistema che produca risposte vere, tangibili, a più livelli. Non parlo di una rivoluzione impossibile, ma di un onesto, puntuale e responsabile lavoro quotidiano che si nutra di un contatto permanente col “vivo corpo sociale” (cit. Adriano Olivetti). Un corpo sociale che oggi il ceto politico dimostra di non conoscere se non per farvi appello nei propri accorati discorsi, in gare di retorica sui social media o nelle solite assemblee, al contempo auto fustiganti e autocelebrative, alla presenza sempre degli stessi, in cui il rituale converge di regola in quelle autoassoluzioni, di cui la politica delle anime belle è divenuta maestra. Basterebbe semplicemente avere come parametro il Bene Comune per eccellenza, che è la dignità delle tante, troppe persone ormai disumanizzate. Per usare il lessico popolare, basterebbe una politica human orienteed, non più self orienteed. Una politica che facesse uno sforzo di umiltà e ammettesse che gli strumenti che continua ad usare sono sempre gli stessi – pur se ribattezzati ciclicamente con nuovi nomi e traslocati in nuove stanze – e che si sono rivelati fallimentari proprio perché sono responsabili (si, lo sono!) della situazione attuale, a partire da quei personaggi che disdegna e disconosce, ma che non si sono certamente materializzati all’improvviso, autoproducendosi dal nulla; anche i funghi, quando spuntano, rappresentano il prodotto di una vita vegetativa durata molto tempo… Come insegnava lo psicologo Maslow, “la tentazione, se l’unica cosa che hai è un martello, è di trattare tutti i problemi come se fossero chiodi“. E allora andrebbe sostituito il martello con la responsabilità, etimologicamente intesa come abilità di dare risposte. Del tipo che, dinanzi ad ogni questione, “non si esce dalla stanza se non si trova una risposta efficace”. E la risposta efficace è quella che tutela la dignità di ognuno. Senza troppi giri di parole….non c’è nulla come l’esperienza concreta! Non c’è dignità politica senza esperienza diretta e concreta.
di Antimo Puca