Donne. ardimentose come corsare salgariane e sante (senza saperlo e senza volerlo) che hanno incontrato Cristo nell’uomo e nelle ferite inferte agli uomini.
Donne. Sale della terra; vanno dove tutti scappano, con un coraggio che meriterebbe espressioni hemingwayane di ammirazione soldatesca e che una «risolutezza gentile» radicalmente femminile spinge a «difendere, aiutare, comprendere» senza voler «insegnare, ordinare» e nemmeno convertire. Il loro amore, femminilmente impavido, condizionato dall’adesione al credo e alla fede in quel Cristo che è la loro vita e di cui esse sono i dolci e robusti tralci.

(Antimo Puca)
Donne scendono in strada, si mescolano alla vita più crudamente immediata e spietata, là dove l’amore è più difficile, nei lebbrosari africani o sui marciapiedi delle grandi città in cui padri vendono figlie bambine alla violenza; nelle fogne in cui famiglie vivono, mangiano, violentano, vengono violentate e muoiono; fra i tossicodipendenti e i loro carnefici, le sofferenze e gli abbrutimenti d’ogni genere.
Donne. conducono una vita claustrale di preghiera e di contemplazione che è anch’essa un’ardua avventura interiore, scevra di ogni mortificazione e aperta al nuovo, capace talora di uscire anch’essa ad affrontare la strada.
Il coraggio della santità non sa inginocchiarsi. Del resto chi s’inginocchia davanti a Dio è spesso capace di non inchinarsi dinanzi a nient’altro. Il picaresco coraggio delle donne è pervaso di un senso concreto del vivere che talora manca agli uomini e li rende spesso più codardi; pure sul Golgota e presso il santo sepolcro sono state le donne a seguire Gesù, mentre altri sono scappati.
La sofferenza logora non solo chi ce l’ha nella carne, ma anche chi sta accanto la fa toccare spietatamente con mano. Il male che si subisce, diceva già Manzoni, spinge a fare il male, a diventare malvagi. Gli oppressi appaiono quasi sempre nobili, assai presto pronti a riconoscere e ad accettare il bene che viene loro offerto.
La vita è un campo di battaglia permanente, a volte insanguinato, come diceva del proprio, durante il furore nazista, Etty Hillesum (il suo Diario dovrebbe essere proclamato un «patrimonio dell’umanità»). La sofferenza è una terribile gabbia di ferro dentro la quale spesso le persone urlano e si scarnificano le mani, si sfigurano il volto per uscirne. Quando non ce la fanno, possono diventare molto cattive e crudeli. Ma «è raro incontrare il male assoluto e gratuito, non intriso di quelle scorie di umanità che sono presenti in quasi tutte le azioni degli uomini, anche le più efferate». Su queste scorie, su questi brandelli d’umanità ferita, scommettono ogni giorno quelle «donne di Dio». L’impotenza che vivono di fronte a un rifiuto o a una reazione violenta – diverse sono uccise dai loro beneficiati – è quella di cui parla Bonhoeffer con parole che vanno contromano: «Dio non ci salva in virtù della sua onnipotenza, ci salva in virtù della sua debolezza, diventando fratello dell’uomo in Cristo, attraverso la sua impotenza e sofferenza».
Maria Maddalena gioca tutta se stessa: la capacità di riconoscere la legge della propria vita, di distinguere la vera chiamata che corrisponde al nostro essere da quella «ingannevole», come diceva Kafka, ossia dalle lusinghe e aspirazioni velleitarie. Ciò vale non solo per la vocazione religiosa, ma anche nei confronti dell’amore, del matrimonio, dell’azione politica, di ogni scelta di vita. Ogni chiamata – e in particolare quella religiosa – è difficile, dura, talora anche terribile («è terribile cadere nelle mani del Dio vivente», dice la Scrittura). È dunque comprensibile, anche facile soccombere, essere travolti e devastati da questo confronto con la propria verità. Una chiamata è un destino che abbiamo, la responsabilità di costruire in pienezza, nella fedeltà alla vita e alla verità. È una strada tutta in salita, ardua e spesso terribile.
Per chi si consacra con dono totale e gratuito di se stesso, quando si allentano i legami con lo Spirito e non c’è più quel colloquio ininterrotto con il Padre che rende possibile l’impossibile e crea la speranza al di là di ogni speranza umana, si rischia l’appiattimento, l’identificazione con l’Istituzione. Si diventa dei «funzionari di Dio» e, magari in nome suo, si compiono azioni perverse, come nel film The Magdalene Sisters. Può anche accadere di lasciarsi contaminare dall’ambiguo fascino del male, di perdersi con coloro che si voleva salvare.
Maria Maddalena non accetta di veder sacrificata la propria identità, la Sua sete e fame d’umanità, alla sopravvivenza delle strutture. Ella, senza più paracadute che non fosse la Provvidenza, reinventa con coraggio e fatica la Sua vita in Dio, una dimostrazione che l’amore è spesso arduo, insidiato, magari oltraggiato, ma possibile e necessario per ognuno. L’amore non giudica, come sta scritto. Ma sta anche scritto – è parola di Cristo – che il Principe di questo mondo, il male, è già giudicato.
Di Antimo Puca