Quest’anno San Giovan Giuseppe non è uscito in processione. Per fede, potente intercessore presso l’Altissimo contro ogni sorta di Mali, terremoti e maremoti. Scatta il divieto di processioni. Niente più Santi e Madonne portate a spalla per le vie del paese. Assembramenti da sciogliere per sospette infiltrazioni corona virus. Tutto giusto. Per carità. Con un virus che uccide nemici e innocenti la Chiesa non può certo tacere e far finta di non vedere. A costo di rinunciare a qualche manifestazione di pubblica fede. Scelte radicali e dolorose. Ma a volte necessarie. Tuttavia l’ordine di divieto della processione suona un tantino strano. Ma, soprattutto, orfano del suo scopo. Al di là di ogni buona intenzione, suona ambiguo. Quasi un calembour, al limite della comicità. Papa Francesco ricorda che occorrono un abbraccio e un incontro con l’uomo, che c’è bisogno di annunciare il Vangelo come risposta al Male. Quello delle processioni, delle confraternite, della religiosità popolare è un fenomeno antico e ricorrente. Per questo inevitabile. La tradizione popolare è un tesoro da custodire e da valorizzare come manifestazione della fede. È, per molti versi, una questione di mentalità. Ma la mentalità si cambia non vietando, ma, soprattutto, seguendo seri percorsi formativi come unico antidoto alla “non cultura” rappresentata dall’ignoranza, dalla tracotanza, dal disprezzo. Neppure un miracolo può avvenire vietando, per decreto (e senza discernimento) , uomini e tradizioni. Il vero scandalo non è una crisi di moralità, ma una crisi di fede. I comportamenti seguono sempre ciò in cui si crede. Più è debole la fede, più è debole la morale. Il vero scandalo è una Chiesa che si vergogna della propria storia, del proprio insegnamento tradizionale, in definitiva di sé stessa. Quando non ci si vergognava, si distingueva “fra gli uomini di Chiesa” e “la Chiesa”. I primi sono peccatori. Ma la seconda è impeccabile nell’annunciare quella che ritiene essere la verità. I cristiani sbagliavano come tutti, ma avevano il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome, e di stare nel mondo con un giudizio che era diverso da quello del mondo. Oggi, invece, c’è una Chiesa che lo insegue, il mondo, alla ricerca dell’applauso, diabolica tentazione. E, per nemesi, da quel politicamente corretto che ha ingenuamente blandito viene ora giudicata o condannata. Una processione è una comunità che annuncia il Vangelo. Ma una processione è un modo, per i cittadini, di tenere vive fede e tradizione dinanzi ad una Ischia latente sotto una coltre di qualunquismo e menefreghismo sia della classe politica che della popolazione. Un’ Ischia che tenta di tenere viva la propria anima e la propria identità. Chiara ed evidente la delusione da parte di molti ferventi di una fede che sconfigge tutti i Mali e le paure sotto e dietro La processione e per intercessione del Santo Patrono. Che dire? Forse la Curia Ischitana dimostra di non aver ben compreso la sete degli ischitani. Sete di fede. Sete di richieste personali da esaudirsi per intercessione del Santo. Ma anche sete di tenere vivo lo spirito, la cultura e la tradizione di un popolo, nonostante tutto, ancora illustre. Speriamo che tutto ciò non contribuisca ad allontanare ancor di più le due parti, Curia e popolo, che invece dovrebbero essere saldate tra loro. Una Chiesa complice e silenziosa fatichera’ a cambiare solo sulla spinta di un’altra che protesta e, quindi denuncia. In mezzo c’e un immenso spazio a disposizione per un’ opera più grande e più viva, per una comunità capace di scegliere ma, soprattutto, come insiste Francesco, di abbracciare e ridare speranza agli uomini.
“San Giovan Giuseppe della Croce, io Ti chiamo ad alta voce. Per i meriti di Maria, fammi grazia, San Giovan Giuseppe mio”. (giaculatoria di antica fede ischitana popolare).
Antimo Puca.