La democrazia non è tale ma è dominata dagli interessi delle corporation, che si arricchiscono e si stanno
arricchendo a dismisura. Crescente è la disuguaglianza sociale. Mai si è riusciti a mostrare una capacità cosi
forte nel mescolare le grandi cose alle piccole, le mega teorie alla micro vita di tutti i giorni, quella
insignificante differenza che di solito gli intellettuali, i pensatori, non riescono neanche a vedere, spesso
limitandosi alla teoria o alla pura astrazione. Ricchezza e democrazia non possono coesistere, tema
approfondito dall’illuminismo e dal liberalismo classico, ma già indicato da Aristotele quando diceva che in
presenza di enormi disuguaglianze sociali non si può parlare seriamente di democrazia. Ogni vera
democrazia deve assumere la forma di quello che noi oggi definiamo lo stato sociale. Cosa possiamo fare?
Partendo dal presupposto che quella attuale è una società molto più civile di quanto non fosse trent’anni
fa, con un complessivo miglioramento del livello di tolleranza e di comprensione, un riconoscimento molto
più ampio dei diritti degli altri, delle diversità e delle necessità di riconoscere gli atti di oppressione in cui
noi stessi siamo stati coinvolti, se la gente acquista consapevolezza che esistono alternative costruttive,
allora i cambiamenti positivi potranno ricevere un grande supporto. Come? La risposta è: organizzandosi.
L’auto organizzazione è una logica diversa di organizzazione, che consente un passaggio della gestione da
una mente a molte menti. Le resistenze dell’auto organizzazione provengono sia dall’alto che dal basso
dell’organizzazione. Le resistenze dall’alto derivano dal timore di una diminuzione del potere. Però l’auto
organizzazione non implica una perdita del potere. Il potere è come la conoscenza: può essere duplicato. Il
potere non è una grandezza conservativa, bensi generativa, a somma maggiore di zero. Auto organizzazione
non è abdicazione di potere, né condivisione di potere, è duplicazione di potere. Ma le resistenze
provengono anche da chi sta in basso. L’auto organizzazione richiede auto attivazione. Le resistenze dal
basso non saranno mai superate se alla politica mancherà un’anima, una comune ispirazione, un dream,
una passione che coinvolga tutti nel gusto della scoperta, della costruzione del nuovo, nella soddisfazione di
qualcosa di proprio, di distintivo, per una società più giusta e solidale. L’auto organizzazione non ha luogo
se non vi è un flusso continuo di energia, necessaria affinchè i sistemi complessi adattativi si auto
organizzino. Questo flusso è garantito dall’intra imprenditorialità di coloro che passano da un ruolo classico
di “pianificazione e controllo” ad uno nuovo di “presidio” del contesto. Un contesto dove la vera
motivazione è l’auto motivazione, frutto di una visione condivisa, ottenuta con l’esempio del leader che
fornisce l’energia del cambiamento. Serve intelligenza distribuita, inter connessa, auto motivata e auto
attivata. Al centro non si risolve. Il futuro è nella periferia. Quella delle politiche auto organizzate. Famosa è
la definizione aristotelica che presenta l’uomo come un animale politico, cioè un essere che vive nella polis,
la città dei poloi, dei molti. La dimensione plurale dell’uomo è intrinseca alla sua natura. Ma tale
dimensione è intimamente connessa all’altro tratto ontologico fondamentale dell’uomo, la sua singolarità,
dimensione che indica il suo essere solo di fronte al progetto della vita. Quando facciamo esperienza di
questa solitudine radicale sentiamo insieme la tensione alla trascendenza, alla necessità di forma al nostro
proprio modo di esserci. Diventare ciò che siamo, dando corpo alle differenti possibilità di essere al mondo
che ci sono poste davanti. Ciò significa confrontarsi con le questioni essenziali del vivere, le questioni di
significato, quelle “questioni non rispondibili” che chiedono un continuo investimento di pensiero, ma che
sono inaggirabili per fare della vita un abitare con senso nel mondo. Praticare tali domande,
nell’interrogazione profonda e radicale, costituisce il cuore della pratica di spiritualità. Ne va della nostra
vita. Sembra una parola desueta spiritualità: è invece il termine fecondo che richiama all’uomo la sua
essenza più profonda, senza fare i conti con la quale perde sè stesso. Ma la spiritualità chiusa nel recinto
della vita privata diventa arida. Il senso delle pratiche di spiritualità sta nel trovare le strade per dare forma
a quella vita buona che costituisce il senso del lavoro politico. E la politica oggi più che in passato ha
urgenza di essere ripensata come quella pratica che è al servizio della comunità, orientata a costruire una
polis dove vivere una vita giusta, bella e buona. La politica, quella vera è chiamata a prendersi cura
dell’anima perché da una politica spirituale fiorisca una rinascita del bene comune. Tempo fa Mario
Moretti, che negli anni 70 fu il leader delle Brigate Rosse, è stato invitato a parlare agli studenti di un corso
tenuto dal giornalista Enrico Fedocci. Successivamente gli studenti hanno scritto dei commenti
sull’incontro. I commenti sono stati mostrati a Moretti, che ha risposto inviando una lettera a Enrico
Fedocci. Ne estrapolo qualche frase: “..In un modo o nell’altro la vicenda delle BR è di quelle che fungono
da specchio a chi le guarda. A volte uno specchio sociale, altre più semplicemente riflettono il modo
individuale con cui si pone di fronte ai grandi eventi, alla riflessione sulla vita, la morte, i valori fondanti la
propria esistenza. Si interroga me e la risposta che viene colta è soltanto quella più vicina al sentire
consolidato di chi ha posto la domanda. Ti faccio un esempio, non è domanda e risposta ma il più innocuo
degli argomenti e il più scivoloso per chi scrive, la descrizione del personaggio: qualcuno mi descrive come
uno che “ha un sorriso aperto e l’aria di chi ne ha passate tante nella vita”, un altro “volto tirato, scavato
dalle rughe… racconta senza tradire la minima emozione”, o al contrario “la voce si incrina, gli occhi si fanno
lucidi e lo restano per buona parte della conversazione”, per un altro “con un sorriso piuttosto commosso,
gli tremano le mani, suda visibilmente, deglutisce come avesse un nodo alla gola”, ancora “ha l’aspetto del
professore qualunque”, “ un uomo consunto”, “abbigliamento semplice e atteggiamento cordiale e
disponibile”, e cosi via. E’ chiaro che Moretti è un po' tutte queste cose messe insieme, ma volevo
sottolineare che, se guardando la medesima persona ognuno può “vedere” cose cosi contrastanti, e si
ripeterà ancor più per ogni argomento della conversazione, Moretti è soltanto un pretesto, un accidente in
una vicenda, quella delle Brigate Rosse, che rimanda a qualcosa di inestricabile dal proprio essere sociale:
se si parla delle BR ognuno ci mette il suo, sempre, non importa quanto egli sia lontano per età o per indole
da quella vicenda. Peccato che se ne parli cosi poco e malamente. …” Meminisse iuvabit. Chi ha orecchi
intenda.
Antimo Puca