CARO SAN GIOVAN GIUSEPPE, ILLUMINA L’OSCURO CAMMINO DEI NOSTRI SINDACI! DI ANTIMO PUCA

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5 marzo. Memoria San Giovan Giuseppe, Isclano illustre. ‘O zelluso. 

 Se è vero che la politica è “la più alta forma di carità”, Paolo VI, allora è vero che il mestiere di Sindaco è una delle forme più esigenti di azione politica. Fare il sindaco è sempre stato un gravoso ruolo di frontiera tra lo Stato e i cittadini. Ma a suo tempo è stato anche una scuola che formava per successivi ruoli di governo nazionale. Oggi il ruolo è svilito. Da svolgere con poche risorse finanziarie e in solitudine. Molto esposto al rischio denunce. Se si accetta l’incarico è prudente davvero accendere un cero e affidarsi ai santi. Un sindaco deve essere capace di volare alto e guardare in basso.

(Antimo Puca)

In alto per avere un progetto che lo guidi nella sua azione. In basso perché l’impegno per il Comune è fatto di una infinità di attività quotidiane: strade da risanare, mezzi pubblici puntuali, giardini puliti e tanto altro. Servizi efficaci fanno un Comune bello e giusto. San Tommaso Moro, martire dell’Inghilterra, umanista, avvocato e lord cancelliere, protettore dei politici, ossia a quelle persone che Shakespeare definiva con l’epiteto di «spregevoli» e «vili», persone la cui «politica» viene sbeffeggiata come «spregevole e corrotta», «scialba» e perfino «diabolica». Tommaso Moro è un patrono paradossalmente scomodo, visto che la sua azione principale fu quella di dimettersi. In lui si trovava una bizzarra commistione di magnanimità personale e culturale, fermezza e al contempo divertito umorismo, caratteristiche di cui oggi si avverte decisamente la mancanza. Di lui colpiscono certamente la sua incorruttibilità – “se un tuo amico avesse in corso una causa davanti a me, potrei certo dare udienza prima a lui che non a un altro. Ma in ogni caso puoi star sicuro che se le parti avranno rimesso la causa nelle mie mani, allora, anche se uno dei contendenti fosse mio padre e l’altro il diavolo, e il diavolo avesse ragione, ti assicuro che sarebbe il diavolo a vincere la causa” – e la celerità con cui snellì la burocrazia processuale dell’epoca. Così come la sua clamorosa iniziativa presso il re, a cui chiese formalmente, in difesa della libertà di parola, “di dare a tutti coloro che fanno parte di questa assemblea la Sua generosa licenza e benevola assicurazione di poter liberamente parlare, senza temere di incorrere nel Vostro temutissimo sdegno, e francamente esporre il proprio pensiero su tutto ciò che concerne quello per cui siamo qui riuniti”. Fu giudice capace di distinguere eccome, soprattutto con i poveri – “quando si ha a che fare non con gente arrogante e maliziosa, ma con persone ignoranti o semplici e sprovvedute, io desidero che si usi grande misericordia e poco rigore”. Aveva sostenuto che “non si deve abbandonare la nave in piena tempesta, solo perché non potete comandare ai venti… se non potete far andare bene tutte le cose, dovete almeno aiutare, perché vadano il meno male possibile”. Ma a un certo punto capì di non poter fare più niente, e chiese solo di essere lasciato nel suo silenzio, che pure ai suoi nemici si fece clamore insopportabile come le domande di Socrate. Ed egli al pari di Socrate fu arrestato. Gli uomini di Enrico VIII, dopo le sue dimissioni in risposta allo scisma anglicano, cercarono di inchiodarlo con l’accusa di aver tradito. Ma egli ribatté loro che a quel re col quale si era spesso trovato non per discutere affari di stato ma per conversare e ammirare le stelle, egli non augurava che bene. Ma che non poteva accompagnarlo in una menzogna. Dignità, parola cara anche al presidente italiano Mattarella, e forse la parola che definisce meglio l’impegno di un sindaco. Cioè, operare affinché tutti i concittadini possano vivere la loro vita con pari dignità assicurando diritti e doveri per tutti perché, come ha insegnato il cardinal Martini, “chi è orfano della casa dei diritti difficilmente sarà figlio della casa dei doveri”. Affidiamo al Zelluso i nostri politici affinché li illumini nel “cercare la giustizia con fame e sete; guardare e agire con misericordia; mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore” – Gaudete et esultate-. Che L’Isclano illustre rammenti ai nostri politici che se per chi fa politica è indispensabile “sporcarsi le mani”, cioè accettare il confronto con la concretezza di situazioni anche delicate e imbarazzanti, non è però obbligatorio “sporcarsi l’anima”, ossia oscurare i valori per far prevalere le logiche contrarie al Bene Comune.

 5 marzo. Giovan Giuseppe della Croce. Isclano illustre. Auguri a tutti noi ischitani.

di Antimo Puca