“Dovete essere il cambiamento che volete vedere nel mondo” diceva il Mahatma Gandhi. E lui di cambiamenti se ne intendeva certamente.
Eppure non tutto dipende da noi come individui. Ci sono eventi che si impongono a società intere. Terremoti, guerre o mutati equilibri economici internazionali hanno poco a che vedere con la nostra disponibilità personale a cambiare stile di vita, ma ci sfidano tutti,come membri di una comunità, e ci chiedono di attingere a risorse comuni. Tra i fattori che influiscono sulla sopravvivenza o meno di una società,il più cruciale è la cultura,il modo in cui i popoli reagiscono agli stessi stimoli in maniera diversa, perché ogni comunità,piccola o grande che sia,ha una sua visione del mondo che ne influenza le reazioni. Esattamente come due fratelli,pur avendo gli stessi genitori,hanno personalità diverse che rispondono in modo differente di fronte alla stessa situazione.Cambiare la cultura e quindi anche il sistema dei valori è in realtà la sfida più difficile da affrontare sia per un individuo sia per una collettività,eppure, è proprio su questo punto che occorre entrare in gioco,sforzandoci di comprendere le nuove realtà e quindi agire anche nell’interesse comune. “Si è portati a pensare che il cambiamento sia una sorta di reazione a fattore traumatico” sostiene Roberto Cartocci, docente di metodologia della scienza politica all’ Università di Bologna. “In realtà da sempre le società cambiano,anxhe quando sembrano attraversare un periodo di stasi. Lo faranno a velocità diverse,secondo differenti dimensioni,ma ogni collettività è costretta al cambiamento,cosi come ogni uomo è costretto a invecchiare”. “Perché non tutte le comunità hanno la necessaria capacità di residenza, cioè la capacità di far fronte a eventi che mettono a rischio il proprio ambiente fisico e sociale”,afferma Luca Pietrantoni,docente di psicologia sociale all’ Università di Bologna.”La residenza non è ovviamente uguale per ogni comunità o in ogni frangente,e la sua maggiore o minore intensità dipende da moltissime variabili tra cui economia,politica e tradizioni culturali. Una comunità che affronta un disastro sismico,per esempio, sarà influenzata dalla sua capacità di reagire,dalla forza del suo sistema economico,dalle capacità decisionali della sua classe politica ma anche dalle risorse culturali della sua popolazione”. Un esempio positivo è il modo in cui il Giappone ha reagito allo tsunami e al terremoto del 2011,dimostrando al mondo che una società che sa gestire bene la sua ricchezza e che ha una sua classe politica solerte recupera velocemente delle condizioni di vita qualsiasi normali. A pochi giorni dal sisma le autostrade erano già state ricostruite. “Ovviamente” precisa Cartocci,”la reazione al cambiamento di tipo culturale si esprimerà anche nella scelta dei propri rappresentanti politici,ed ecco quindi che,nei momenti di maggiore crisi,nelle società più impreparate possono nascere movimenti che a volte possono generare dittature. Se per il singolo il cambiamento può essere un processo lungo e faticoso,per le comunità rischia di esserlo ancora di più. Perché la quota di libertà individuale è ridotta e perché i gruppi che compongono ogni comunità non condividono gli stessi interessi. Quello che è utile per i pensionati non può esserlo per gli studenti, così come quello che può aiutare la grande industria penalizza i piccoli artigiani. Così,la direzione presa dal cambiamento non potrà rendere tutti felici allo stesso modo. “Anche per questo motivo,la principale risorsa di una comunità quando si trova di fronte alla sfida del cambiamento è la relativa coerenza tra le sue diverse dimensioni:economia,cultura, società,istituzioni. Tutte queste componenti devono cambiare insieme”. Inoltre una società sarà in grado di rispondere bene agli urti del cambiamento se tra i suoi membri ci sarà un livello sufficiente di solidarietà e fiducia. “In ogni situazione di crisi e perciò di cambiamento”sostiene Pietrantoni,”ci sono sempre indicatori di fallimento e indicatori di risorse. L’attuale crisi economica, che non è piacevole per nessuno,sta però facendo crescere nuovi valori morali: l’ambiente,una maggiore attenzione ai consumi,la riduzione della mobilità. Quest’ ultimo dato, per esempio, se è vero che influisce negativamente sull’industria delle automobili, è altrettanto vero che crea anche degli effetti positivi: meno incidenti,meno inquinamento,il maggior uso del trasporto pubblico e di mezzi alternativi,come la bicicletta, che hanno un effetto positivo anche sulla salute. E da questi valori nuovi possono arrivare anche risposte virtuose che coinvolgono l’economia e la politica”. Gli esempi positivi di adattamento alla crisi economica e ambientale di questi ultimi anni,per fortuna,ci sono. Finlandia, Svezia e Danimarca risultano in testa nel “Rapporto sullo stato dell’economia verde”realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile con Enea, perché hanno saputo recepire prima la sfida e adeguare le proprie istituzioni e infrastrutture. E non è un caso che i Paesi che hanno il minore debito pubblico d’ Europa siano quelli che investono di più su ricerca e sviluppo. “Adattarsi a un cambiamento” dice Cartocci “significa comunque avere delle opportunità. Se pensiamo ad esempio all’ Italia negli anni Cinquanta/ Sessanta abbiamo una dimostrazione di come allora il nostro Paese,in tutte le sue componenti,abbia appoggiato l’enorme cambiamento che stava vivendo. Vi erano istituzioni politiche giovani, un’economia efficiente e un tessuto sociale aperto e nuovo”. Anche l’ Europa è stata un’opportunità. Oggi forse l’ Italia potrebbe coglierla meglio.