Bloccate all’ultimo momento dai giudici due demolizioni di case di necessità a Napoli e a Salerno in accoglimento di motivate istanze di sospensione presentate dall’avvocato Bruno Molinaro, legale degli occupanti fra cui anziani pensionati, una donna incinta, un portatore di handicap e bambini in tenera età.
Le demolizioni, in una allo sgombero forzoso degli immobili da persone e cose, erano state programmate rispettivamente per il 3 e il 9 novembre 2020, all’esito di apposito “tavolo tecnico” cui avevano partecipato le forze dell’ordine e rappresentanti dei comuni di Napoli e Salerno.
La prima sospensione è stata disposta dalla Corte di Appello di Napoli in quanto a breve sarà discusso il ricorso degli interessati innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, che, pertanto, deciderà “definitivamente sulle questioni di diritto avanzate dalla Difesa”, sicchè “appare opportuno sospendere l’esecuzione dello sgombero in attesa della decisione dei giudici di legittimità”.
La seconda sospensione è stata, invece, disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno sino a settembre 2021, avendo l’avvocato Molinaro presentato un incidente di esecuzione basato su doglianze riguardanti plurime violazioni della Convenzione Europea dei diritti umani, oltre che su una eccezione preliminare relativa al fatto che la demolizione, secondo il titolo esecutivo, non interesserebbe l’intera abitazione, contrariamente a quanto ritenuto dal consulente del P.M., ma soltanto una superfetazione in sopraelevazione ed opere di completamento realizzate al piano terra.
Il dato che emerge da queste vicende, al di là dei risvolti processuali, è che, nonostante l’emergenza sanitaria da COVID-19, le demolizioni non si fermano perché non è stata varata né a livello nazionale né a livello regionale, a differenza di quanto accaduto in occasione della prima ondata epidemica, alcuna misura volta al “blocco” dei cantieri pubblici.
È noto, in proposito, che il cantiere allestito per una demolizione da una Procura della Repubblica o da una Procura Generale, la quale agisce quale stazione appaltante, è considerato a tutti gli effetti un cantiere pubblico sebbene ad eseguire i lavori venga chiamata quasi sempre una impresa privata e non il Genio Militare, istituzionalmente deputato a fornire all’Autorità Giudiziaria procedente tutto il supporto necessario a raggiungere gli obiettivi fissati dalla legge.
Vi è da dire, però, che la Procura Generale presso la Corte di Appello di Salerno, nel marzo scorso, sospese una demolizione a Cava de’ Tirreni, accogliendo anche in tal caso una istanza dell’avvocato Molinaro, “tenuto anche conto dell’attuale situazione sanitaria”.
A Napoli, invece, per un caso di Quarto, la Procura Generale, che ha già fissato per il prossimo 10 novembre lo sgombero di un immobile occupato da ben tre nuclei familiari sprovvisti di ogni alloggio alternativo, ha rigettato lo scorso 2 novembre una analoga istanza di sospensione, in quanto “l’attuale normativa ad oggi vigente non prevede alcuna sospensione delle attività di demolizione e di quelle edilizie in genere a seguito della emergenza COVID”.
Eppure, il caso di Quarto sembra paradossale sia perché il manufatto da abbattere risulterebbe anche regolarizzato a seguito di rilascio di un permesso in sanatoria, sia perché l’avvocato dei proprietari avrebbe rappresentato alla Procura Generale che “come appurato dal personale dell’Ufficio Affari Sociali del comune di Quarto, a seguito di una verifica effettuata il 26 ottobre scorso, la particolare situazione epidemiologica da COVID 19, che ha colpito il comune di Quarto, renderebbe profondamente disagevole l’individuazione di un nuovo alloggio per le famiglie (…) che, allo stato, potrebbero essere unicamente ospitate da familiari, con evidente pregiudizio delle regole di prevenzione epidemiologica vigenti”.
A creare sconcerto tra i pochi malcapitati (perché di pochi malcapitati si tratta a fronte di migliaia di condannati e di circa 300.000 demolizioni previste in Campania che mai saranno eseguite per ragioni facilmente intuibili) è soprattutto il fatto che queste demolizioni avvengono “a macchia di leopardo”, senza un criterio logico o temporale e, nella maggior parte dei casi, a danno dei più bisognosi, che, secondo le opinioni degli addetti ai lavori, è pur vero che hanno sbagliato a costruire la loro casa senza preventivamente munirsi dei permessi, peraltro pressoché impossibili da ottenere a causa della assenza in molti comuni della Regione di strumenti di pianificazione urbanistica, ma è altrettanto vero che hanno riposto ragionevole affidamento nella conservazione dello status quo a causa della tolleranza manifestata nei loro confronti per numerosi anni sia dalle civiche amministrazioni sia dalle stesse Procure, che, vuoi per carenza di mezzi e risorse economiche, vuoi perché distratte da altri obiettivi magari più meritevoli, hanno, comunque, consentito loro di fruire degli immobili, senza che nulla, nel corso del tempo, facesse presagire il peggio (l’inferno e non “il paradiso all’improvviso”, volendo parafrasare Pieraccioni).
Non bisogna dimenticare, poi, che l’ordine di demolizione è stato introdotto per la prima volta da una legge del 1985 (la n. 47, quella del primo condono c.d. Craxi-Nicolazzi) e per circa vent’anni vi è stata diffusa tolleranza, come a tutti ben noto.
Le Procure delegavano le demolizioni ai sindaci, i quali riponevano le sentenze nei cassetti delle loro scrivanie, lavandosi le mani.
La Cassazione, a Sezioni Unite, aveva però chiarito già nel 1996 che dovevano essere i pubblici ministeri e non i sindaci ad eseguire i provvedimenti.
Dopo una ispezione ministeriale, della quale ha dato notizia in un pubblico convegno il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica Ugo Ricciardi, le demolizioni, seppur parcellizzate, hanno avuto inizio, con tutto ciò che ne è conseguito.
Secondo Raffaele Cardamuro, Presidente dell’Associazione Io Abito e responsabile del Dipartimento Emergenza Abitativa del coordinamento provinciale di Forza Italia, “le demolizioni previste nella sola Regione Campania sarebbero come un enorme terremoto mai avvenuto al mondo; si dovrebbe radere al suolo più di quanto non abbiano raso, insieme, il terremoto dell’80 e l’esplosione del Vesuvio; è paradossale e demagogico pensare che non vi debba essere una nuova soluzione che si chiami sanatoria, ravvedimento operoso o recupero del patrimonio edilizio esistente; ma soprattutto in questo momento storico, in cui il mondo fronteggia l’emergenza Coronavirus, è paradossale poter pensare di buttare fuori interi nuclei familiari, che abitano da decenni in quegli immobili, in mezzo alla strada; e quindi costringerli a chiedere ospitalità a parenti”.
Un grido di dolore che, tuttavia, la Politica nazionale non sembra avvertire, essendo in altre cose affaccendata, o non vuole sentire perché ormai subalterna alla Magistratura, che ovviamente si preoccupa di far eseguire le sentenze.
Pazienza se l’esecuzione di tali sentenze avviene dopo svariati lustri e senza un criterio, generando paura e perplessità tra le persone, soprattutto quelle più umili che si guardano intorno e non capiscono perché mai, in prossimità delle loro case da abbattere, ci sono palazzi e talvolta interi quartieri abusivi che restano al loro posto, nemmeno sfiorati dall’azione di ripristino della legalità.
La Cassazione ritiene che lo status di indipendenza del Pubblico Ministero consenta allo stesso di operare con ampia discrezionalità, ovvero senza tener conto di alcun criterio, precisando, altresì, che, se anche un qualche criterio sia stato preventivamente fissato dalle Procure, questo è da considerare come un mero “criterio interno” che non vincola né il Pubblico Ministero né il Giudice.
Insensibile al grido di dolore appare stranamente anche il Governatore De Luca, sebbene prima dell’estate sia stata votata da tutti i gruppi rappresentati in Consiglio regionale una mozione volta a sollecitare il Governo nazionale a farsi carico della gravità del problema con l’obiettivo di ottenere, nell’immediato, quantomeno una graduazione degli interventi di demolizione sulla falsariga del famoso DDL Falanga, bocciato sul filo di lana proprio grazie al contributo determinante (ironia della sorte!) di un napoletano, l’ex assessore regionale all’urbanistica Marco Di Lello.
Ma questa è un’altra storia!