Roma, 11 ott. (Adnkronos) – In Italia sono 3,5 milioni gli immobili iscritti nelle categorie fittizie, in molti casi usate per sottrarsi alla tassazione. E’ quanto rileva il Centro Studi Enti Locali (Csel) in un rapporto elaborato per l’Adnkronos sul tema della riforma del catasto prevista dal disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale, varato dal Governo il 5 ottobre scorso.
Che cosa sono le categorie fittizie’ Sono quelle voci sotto le quali, rileva il Csel, vengono iscritti quegli immobili, censiti nel gruppo F, che ‘ per varie ragioni ‘ non producono reddito e che non risultano pertanto avere una rendita ai fini della tassazione. Stando alle ultime statistiche catastali diffuse dall’Agenzia delle entrate, diffuse lo scorso agosto, appunto, “sono ben 3,5 milioni gli immobili che rientrano in questo gruppo che comprende: aree urbane (F/1), lastrici solari (F/5), unità in corso di costruzione (F/3), di definizione (F/4) o in attesa di dichiarazione (F/6), cioè unità che trovano in queste categorie una collocazione temporanea alla quale dovrà seguire una classificazione rispondente alle definitive caratteristiche che assumeranno quegli immobili”.
L’iscrizione nelle categorie F/3 ed F/4 dovrebbe essere di per sé temporanea. La norma parla di un periodo compreso tra 6 e 12 mesi che potrebbe essere teoricamente prorogata solo mediante la presentazione di una apposita dichiarazione che dimostri che effettivamente i lavori di costruzione o ristrutturazione non sono ancora stati completati. Di fatto però questa prescrizione è largamente disattesa e ci sono immobili che rimangono per anni o decenni in queste categorie senza che i Comuni o l’amministrazione finanziaria si attivino per accertarsi che effettivamente sussistano ancora i presupposti che legittimavano quella esenzione dalla tassazione. Nel 2020, gli immobili che risultavano essere in corso di costruzione erano 692.035 e quelli in attesa di dichiarazione, 149.764.
Rientrano, infine, nel gruppo F anche le cosiddette ‘unità collabenti’ (F/2). Si tratta di immobili fatiscenti, ruderi privi di autonomia funzionale, e si tratta di una categoria che è stata oggetto di una crescita vertiginosa nell’ultimo decennio. Siamo infatti passati dai 283mila immobili di questo tipo, iscritte nel Catasto edilizio urbano nel 2011, alle 575mila del 2020, con un aumento superiore al 100%.
In uno studio pubblicato nel 2019, l’Agenzia delle entrate, rileva il Csel, ha ipotizzato che questa impennata sia parzialmente imputabile al Decreto ‘Salva Italia’, che portò con sé un forte aumento della tassazione sugli immobili e che potrebbe quindi aver indotto alcuni proprietari, a rendere un proprio immobile, che magari avevano difficoltà a vendere, intenzionalmente ‘diruto, distruggendone la copertura e/o i solai, mantenendone comunque i muri perimetrali per un’altezza di almeno un metro. Ciò al fine di poterlo dichiarare inagibile al Comune e, trattandosi di un bene comunque individuabile e perimetrabile, ma privo di ogni autonomia funzionale e reddituale, poter variare la categoria catastale da C/2 (magazzino) a F/2 (unità collabente). La convenienza consiste nel fatto che l’unità collabente viene censita in catasto senza rendita e quindi senza base imponibile ai fini dell’Imu’.
Anche in questo caso la grande lacuna è il fatto che non ci siano verifiche periodiche volte ad attestare l’effettivo stato di collabente, ovvero che sussistano le condizioni che hanno determinato l’esenzione dall’Imu. Il Legislatore, nell’anno 2020, ha cercato di “mettere una pezza” a questi comportamenti elusivi facendo rientrare i “collabenti” all’interno della base imponibile solo qualora utilizzabili a scopi edificatori, ma si ritiene che questa problematica debba essere affrontata in maniera organica, posto che dalla rimessa in pristino degli immobili “collabenti” possiamo ottenere molti effetti positivi per il nostro Paese, come la riduzione del consumo del suolo e l’aumento dell’offerta di unità immobiliari con conseguente riduzione della pressione abitativa e dei prezzi di mercato. “Ben venga quindi l’aggiornamento del valore imponibile ai fini catastali passando, ad esempio, da una modalità di tassazione desueta in base ai vani a quella più attuale in base ai metri quadrati, ma se si vuole davvero raggiungere l’obiettivo ‘equità’ -sottolinea il Csel – è importante che non venga perso di vista il tema evasione fiscale e che vengano quindi censiti gli immobili che ad oggi non lo sono e controllare periodicamente, con l’aiuto dei Comuni, il corretto classamento delle unità immobiliari, rendendolo consono allo stato di fatto dell’immobile”.