ABBATTIMENTI. SU RICORSO DELL’AVV. BRUNO MOLINARO LA CASSAZIONE ANNULLA UN ORDINE DI DEMOLIZIONE DI UNA CASA DI CAVA DE’ TIRRENI PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ.

La recentissima sentenza della Cassazione, depositata il 27 gennaio
scorso, è senza dubbio una sentenza rivoluzionaria, destinata a fare
giurisprudenza, risultando già pubblicata, con approfonditi commenti, sulle più
prestigiose Riviste giuridiche italiane, compresa quella di Diritto e Giustizia.
Per i principi affermati, in linea con le sentenze della Corte Europea dei
diritti dell’uomo, tale pronuncia rappresenta, infatti, una importante apertura a
favore del condannato e dei propri familiari, i quali, in presenza di determinati
presupposti, hanno diritto ad ottenere una motivata valutazione ad opera del
giudice della esecuzione dei c.d. “elementi fattuali” prospettati in giudizio,
nell’ottica di un equo contemperamento dei diversi interessi coinvolti.
Il caso esaminato è quello di una controversia relativa ad una RE.S.A. (Registro Sanzioni Amministrative)
della Procura Generale di Salerno, che l’avvocato Bruno Molinaro aveva
impugnato con un articolato incidente di esecuzione presentato per conto di una
signora di Cava de’ Tirreni, destinataria dell’ordine di abbattimento, innanzi alla
Corte di Appello di Salerno.
Con l’incidente di esecuzione depositato, l’avvocato Molinaro aveva, in
particolare, denunciato la violazione del principio di proporzionalità della
sanzione, che la Procura intendeva, comunque, eseguire nei confronti della sua
assistita, sebbene quest’ultima fosse una persona oltremodo bisognosa e
vulnerabile, attese le sue precarie condizioni socio-economiche e di salute, fra
l’altro con marito e figli a carico, anch’essi in stato di necessità.

L’interessata – va detto – si era ripetutamente attivata, anche nell’aprile
2019 e nel novembre del 2021, per il reperimento di un alloggio alternativo,
presentando reiterate istanze al comune di Cava de’ Tirreni al fine di poter
beneficiare dell’utilizzo di qualsiasi immobile eventualmente in suo possesso,
anche acquisito al patrimonio comunale per ragioni di social housing, secondo
quanto previsto da un regolamento approvato nel marzo 2016, dichiarando, fra
l’altro, sotto la propria responsabilità, “di non essere, in uno con gli altri
componenti del suo nucleo familiare, titolare di diritto di proprietà, di usufrutto e
di abitazione, su di un alloggio ubicato in qualsiasi località la cui rendita
catastale complessiva sia uguale o superiore a quella media di un alloggio di
edilizia residenziale pubblica ubicato nella Provincia di Salerno”.
Tali istanze erano state però riscontrate negativamente dalla civica
amministrazione, stante la dichiarata “impossibilità per il comune di procedere
alla assegnazione di alloggi di edilizia economico-popolare”.
Intanto, era dimostrato che l’immobile da demolire costituiva l’unica
casa di abitazione della interessata, nemmeno autrice dell’abuso, la quale, in
effetti, non aveva la possibilità di reperire un altro alloggio sia perché priva di
capacità lavorativa e di sufficiente fonte di reddito sia per la grave crisi in cui
versava notoriamente da anni il mercato delle locazioni a Cava de’ Tirreni e
dintorni.
Ciononostante, discussa la causa dopo varie udienze di rinvio, la Corte
di Appello aveva rigettato il ricorso con motivazione incongrua e stereotipata e,
dunque, non rispondente ai requisiti richiesti.
Avverso tale ordinanza l’avvocato Molinaro aveva proposto tempestivo
ricorso per cassazione, lamentando che la Corte di Appello non aveva
adeguatamente valutato la proporzionalità della misura, essendo, peraltro, la
motivazione addotta solo apparente, frutto della tecnica del cd. “copia e incolla”, operazione resa possibile dalla moderna tecnologia informatica, laddove si
limitava a riprodurre sostanzialmente le affermazioni rese dal P.G. nel proprio
parere, secondo cui non vi era, nella specie, violazione del diritto alla
inviolabilità del domicilio (art. 8 CEDU), in quanto non sarebbe stata depositata
in giudizio “documentazione che provi le difficoltà economiche e la
impossibilità di procurarsi una diversa soluzione abitativa”.
Nel ricorso alla Suprema Corte il legale aveva, in buona sostanza,
eccepito e censurato il difetto di motivazione, in quanto le affermazioni sia dei
giudici di appello che dello stesso P.G. erano generiche e prive di riscontro,
atteso che la prova del particolare stato di disagio economico – sociale della
esecutata, la cui condizione era quella della casalinga, priva, peraltro, di ogni
capacità lavorativa per gravi problemi di salute, era stata puntualmente fornita
dal deposito telematico, effettuato nell’ottobre 2021, non solo dei certificati
medici della esecutata stessa e di una delle figlie, ma anche delle attestazioni
ISEE relative agli anni 2016-2020.
Così come manifestamente infondato era anche l’assunto della Corte di
Appello secondo cui la ricorrente non avrebbe fornito la prova “della
impossibilità di procurarsi una soluzione abitativa diversa”, dal momento che,
con due atti a propria firma del 12 aprile 2019 e del 29 novembre 2021, pure
depositati agli atti del giudizio, quest’ultima aveva chiesto al comune di Cava
de’ Tirreni di poter beneficiare dell’utilizzo di un immobile a qualsiasi titolo
acquisito al patrimonio dell’ente.
Con la richiamata sentenza del 27 gennaio u.s., la Cassazione ha
accolto il ricorso dell’avvocato Molinaro, annullando l’ordinanza impugnata e
rinviando la causa per nuovo giudizio innanzi alla stessa Corte di Appello di
Salerno, avendo ritenuto pienamente fondate « le censure in ordine alla mancata valutazione della documentazione prodotta sulle condizioni socio-
economiche e di salute della donna e del suo nucleo familiare ».
In premessa, i Supremi Giudici hanno ricordato che « il rispetto del
principio di proporzionalità nell’esecuzione dell’ordine di demolizione è rilevante
quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del
domicilio di una persona, configurabile, però, solo in relazione all’immobile
destinato ad abituale abitazione di quella persona, e non anche quando viene
opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà ».
Passando al caso concreto, cioè soffermandosi sui dettagli della
vicenda oggetto del processo, i giudici hanno, poi, riconosciuto che, come
sostenuto dal legale, « non è stata compiutamente valutata la documentazione
prodotta dalla donna in ordine alle condizioni socio-economiche e di salute del
nucleo familiare ».
In definitiva, è stata omessa « la valutazione della copiosa
documentazione di ordine sanitario ed economico allegata all’istanza ».
Entrando più nei dettagli, la Cassazione ha, infine, osservato che « il
giudice dell’esecuzione si è limitato ad affermare genericamente che le
condizioni di salute e di basso reddito, di per sé non risolutive, devono essere
valutate congiuntamente ai tempi intercorrenti tra la definitività della decisione e
l’ordine di ingiunzione alla demolizione, senza, però, fare alcun cenno alla
patologia che affligge una delle figlie minori della donna, né alle condizioni di
salute della donna né alle condizioni economiche difficoltose del nucleo
famigliare, dovute all’assenza di una stabile attività lavorativa per entrambi i
coniugi e attestate dalle dichiarazioni ISEE ».
Insomma, secondo la Cassazione, « il giudice dell’esecuzione non ha
dato in alcun modo atto dei tentativi posti in essere dalla donna di risolvere le proprie esigenze abitative né del ripetuto esito infruttuoso delle richieste da lei
rivolte al sistema di edilizia residenziale pubblica ».

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